La parola “ribelli” ormai sta stretta agli Houthi
È molto usata per definire il gruppo armato yemenita responsabile degli attacchi recenti nel mar Rosso contro le navi commerciali, ma ormai non riflette più davvero lo stato delle cose
Nelle ultime settimane l’intensificarsi degli attacchi dallo Yemen contro le navi commerciali nel mar Rosso ha portato i media internazionali a parlare e scrivere molto degli Houthi, il gruppo armato che controlla buona parte dello Yemen e che è responsabile degli attacchi: questo ha creato alcuni problemi di definizione.
Gli Houthi sono un gruppo con uno status particolare e operano in un conflitto – quello in Yemen – che è uno dei più lunghi e complicati degli ultimi decenni. Molti media internazionali e la stragrande maggioranza dei governi occidentali definiscono gli Houthi “ribelli”, perché tra il 2014 e il 2015 conquistarono un’ampia porzione del territorio yemenita, compresa la capitale Sanaa, dopo essersi sollevati contro il governo del paese. Ma via via che il controllo degli Houthi sullo Yemen si è rafforzato, questa definizione è diventata sempre più problematica e controversa. Oggi agli Houthi la parola “ribelli” sta stretta.
Breve storia degli Houthi
Il movimento Houthi (si pronuncia con una piccola aspirazione della seconda H) emerse tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso nello Yemen del nord, dove la maggior parte della popolazione appartiene a una corrente dell’Islam sciita chiamata zaydismo, che esiste solo in Yemen e viene praticata da circa il 35 per cento della popolazione (il 65 per cento della popolazione è invece sunnita). Gli Houthi sono la principale tribù dello zaydismo yemenita, che ha sempre espresso i leader del gruppo e ha quindi dato il nome a tutto il movimento.
Nel 2004 gli Houthi organizzarono una prima ribellione armata contro il governo, che fu repressa con la forza. Ma nel 2011 le proteste della primavera araba in Yemen crearono un vuoto di potere: dopo mesi di proteste il presidente Ali Abdullah Saleh, che governava il paese dal 1990, fu costretto a dimettersi e gli Houthi approfittarono della situazione.
Si diedero il nome di Ansar Allah, che significa “difensori di Dio”, e nel 2014 organizzarono un’ampia insurrezione contro il governo. In poco tempo raggiunsero la capitale Sanaa, occuparono tutta la parte nord-ovest del paese e costrinsero il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi a fuggire nella città meridionale di Aden.
Ne seguì una durissima guerra civile, in cui il governo di Hadi fu sostenuto da una coalizione di paesi capeggiata dall’Arabia Saudita, tutti decisi a eliminare gli Houthi dallo Yemen. La guerra fece 350 mila morti, ci furono crimini di guerra feroci da entrambe le parti e si aprì una delle più gravi crisi umanitarie della storia recente, ma non ebbe l’effetto sperato dal governo: nel 2022 ci fu un cessate il fuoco che riconobbe di fatto (ma non formalmente) che gli Houthi controllavano una parte importante del territorio yemenita e la sua capitale. Lo fanno ormai da dieci anni. Il governo riconosciuto dalla comunità internazionale, invece, è stanziato ad Aden.
In queste circostanze, per un lungo periodo è stato appropriato definire gli Houthi “ribelli”. Quella degli Houthi fu effettivamente una ribellione armata in cui il gruppo si sollevò contro il governo riconosciuto a livello internazionale con l’intento di rovesciarlo e di prenderne il posto.
La complicazione nasce dal fatto che nel 2015 questa ribellione ebbe successo e gli Houthi stabilirono il proprio potere su Sanaa e buona parte dello Yemen. Il punto fondamentale, dunque, è cercare di capire se un gruppo armato radicale che controlla un territorio e le sue istituzioni da quasi dieci anni possa ancora essere definito ribelle.
Spoiler: la risposta è no, ma ci sono comunque alcuni ragionamenti da fare.
Ribelli
La definizione di “ribelle” è già piuttosto complicata di per sé. Il diritto internazionale umanitario, cioè quel complesso di trattati e regole su cui gli stati si sono accordati tra loro per regolamentare la guerra e l’utilizzo della violenza, non usa quasi mai la parola “ribelle”. Distingue tra “conflitti armati internazionali”, cioè le guerre tra stati, e “conflitti armati non internazionali”, cioè le guerre tra stati e gruppi non statali.
Nei documenti su cui si basa il diritto internazionale, questi gruppi non statali sono definiti in vari modi: “gruppi armati”, “attori armati non statali”, ma quasi mai “ribelli”. Per esempio la Terza convenzione di Ginevra, che assieme alle altre Convenzioni di Ginevra (sono quattro in tutto) è di gran lunga il documento più importante del diritto internazionale, parla in vari punti di «milizie», «corpi di volontari» o «movimenti di resistenza organizzati», ma mai di «ribelli».
Applicare queste definizioni alla guerra che da dieci anni va avanti in Yemen è piuttosto complesso. Agli occhi del diritto internazionale la guerra in Yemen è ancora un “conflitto armato non internazionale”, che vede contrapposti il governo yemenita internazionalmente riconosciuto da una parte e gli Houthi dall’altra. In questo contesto, gli Houthi sono visti come un gruppo non statale. Questo perché, benché non controlli più la capitale e le istituzioni, il governo che oggi si trova nella città di Aden (quello cacciato dagli Houthi) è ancora considerato il legittimo governo del paese dalla comunità internazionale.
La parola migliore
Benché gli Houthi siano dunque unanimemente considerati come un gruppo non statale, e quindi non possano essere ritenuti come il governo legittimo dello Yemen, trovare una parola che li definisca rimane comunque complicato.
“Ribelli”, la parola usata da molti media e governi occidentali, ha vari pregi. Consente di descrivere in maniera sintetica il fatto che gli Houthi siano un gruppo che si è sollevato contro il potere del governo e che tuttora è ritenuto un’entità non statale, che non è il legittimo rappresentante dello Yemen. Il problema, dicevamo, è che la ribellione è di fatto terminata, perché gli Houthi da quasi dieci anni hanno cacciato il governo e controllano buona parte del paese.
Questo controllo non è soltanto militare, ma anche civile, economico e istituzionale. A Sanaa, la capitale, gli Houthi controllano il governo (che formalmente sarebbe un governo di unità nazionale, anche se di fatto è una creatura del gruppo) e i ministeri. Controllano la banca centrale (il governo di Aden ne ha istituita un’altra, alternativa) e l’esercito.
Andrea Carboni, che è analista capo del centro studi americano ACLED (Armed Conflict Location & Event Data Project) racconta per esempio che perfino il sito internet dell’agenzia di stampa statale yemenita, Saba, è controllato dagli Houthi, e che il governo di Aden ha dovuto fare un sito-clone per avere la propria agenzia di stampa.
«Ad ACLED non consideriamo più gli Houthi come ribelli a partire dal 2015», dice Carboni (il 2015 è l’anno in cui gli Houthi hanno rovesciato il governo e dissolto il parlamento), «e quando è necessario li definiamo “un gruppo armato che controlla parte dello Yemen”». Carboni fa notare come tanto gli inviati speciali quanto le risoluzioni dell’ONU che si sono occupate dello Yemen negli ultimi anni (per esempio la risoluzione 2216 del 2015, che aprì la strada all’intervento della coalizione a guida saudita contro gli Houthi) non parlino mai di «ribelli», ma citino sempre direttamente gli Houthi, parlando al massimo di «gruppo».
Di recente questo atteggiamento è stato adottato anche da alcuni media internazionali. Il New York Times e il Washington Post, per esempio, nel corso di quest’ultima crisi non hanno quasi mai usato la parola “ribelli” per parlare degli Houthi. Il Wall Street Journal invece continua a usarla. Anche il Post finora ha scelto di continuare a usarla.
I governi occidentali come quelli di Stati Uniti e Regno Unito, ma anche il governo italiano, continuano invece a parlare di ribelli. Alcuni mesi fa sembrava che le cose sarebbero cambiate: gli Houthi, l’Arabia Saudita e altri paesi della regione, secondo varie indiscrezioni, stavano negoziando un accordo di pace che avrebbe in qualche modo riconosciuto il dominio degli Houthi. La guerra a Gaza e gli attacchi degli Houthi nel mar Rosso hanno interrotto le trattative.