Il caso di un ex dipendente comunale che potrebbe cambiare un pezzo di amministrazione pubblica
Nel rispetto della legge italiana non gli erano state pagate le ferie non utilizzate: ora la Corte di Giustizia europea dice che quella legge non va bene
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha emesso una sentenza che obbliga il comune di Copertino, in provincia di Lecce, a pagare le ferie non godute a un dipendente che si era dimesso nell’ottobre del 2016 con ancora 79 giorni di ferie disponibili: il comune non gliele aveva pagate perché la legge italiana vieta ai dipendenti pubblici di monetizzare le ferie non utilizzate. Cosa che invece non succede per i dipendenti privati, che in caso di interruzione del rapporto di lavoro possono chiedere il pagamento delle ferie residue.
Il comune aveva rispettato la legge, ma l’ex dipendente, che si chiama Antonio Giuseppe Verdesca, aveva comunque avviato un procedimento legale per recuperare la somma. Dal tribunale di Lecce la vicenda dell’ex dipendente e del comune di Copertino – poco più di 23mila abitanti – è arrivata fino alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Nonostante il caso possa sembrare marginale, la sentenza avrà con ogni probabilità conseguenze più ampie che potrebbero riguardare tutta l’amministrazione pubblica.
Per esempio la sentenza potrebbe estendersi dal caso specifico del lavoratore di Copertino a tutti gli ex dipendenti che avevano ferie non godute, ma che non hanno ricevuto una somma a compensazione. La sindaca di Copertino Sandrina Schito ha detto al Corriere della Sera di aver «sempre applicato la legge» e che «è giusto riconoscere ciò che spetta a chi ha servito la città». Rispetterà «anche la sentenza della Corte dell’Unione Europea, applicando il suo contenuto in tutti i casi previsti. Attendiamo di leggerla per procedere».
Schito ha detto però che questa sentenza potrebbe essere problematica per quegli enti locali che fanno fatica con i loro bilanci. «Se le cose rimarranno in questo modo, cioè come stabilito dalla Corte dell’Unione Europea, non è escluso che i comuni possano andare in affanno, qualora tutti i dipendenti che vantano ferie non godute pretendessero l’indennità finanziaria», ha detto Schito. Su questo punto però la sentenza della Corte dice espressamente che «il diritto dei lavoratori alle ferie annuali retribuite, compresa la loro eventuale sostituzione con un’indennità sostitutiva, non può essere subordinato a considerazioni puramente economiche, come il controllo della spesa pubblica».
Verdesca, l’ex dipendente di Copertino, aveva lavorato per il comune da febbraio del 1992 a ottobre del 2016 come istruttore direttivo, un funzionario che negli enti locali svolge mansioni piuttosto specifiche in campo edile e urbanistico, per esempio. Diede le dimissioni nel 2016 per accedere al pensionamento anticipato. Nel corso degli anni aveva accumulato molte ferie, che non era riuscito a utilizzare per ragioni soprattutto organizzative: negli ultimi anni aveva infatti una posizione di responsabilità, che aveva influito sui carichi di lavoro e sulla possibilità di assentarsi dal lavoro.
Il comune era consapevole di questa difficoltà, dicono gli avvocati di Verdesca, ma allo stesso tempo sosteneva che il funzionario sapesse del suo obbligo di prendere i giorni residui di ferie prima delle dimissioni, e che sapesse anche che non avrebbe ricevuto alcun pagamento a compensazione.
Quest’obbligo è definito da una norma del 2012 per il contenimento della spesa pubblica: al tempo al governo c’era Mario Monti, economista a capo di un governo tecnico il cui obiettivo principale era introdurre le riforme economiche necessarie per far uscire l’Italia dalla grave crisi economica e finanziaria in cui si trovava. Il decreto-legge 95 del 2012, che limita alcuni benefit per i dipendenti pubblici, era una di quelle riforme, volte tra le altre cose a ridurre molto la spesa pubblica.
Il decreto-legge vieta anche il pagamento delle ferie non godute, che possono costare alle amministrazioni anche migliaia di euro per lavoratore. Per esempio, i 79 giorni di Verdesca sono quasi quattro mesi di ferie, quindi all’incirca quattro mesi di stipendio.
Quando Verdesca ha fatto causa al comune il giudice del lavoro del tribunale di Lecce ha riscontrato una possibile incoerenza tra la legge italiana del 2012 e quella europea. Le leggi nazionali non devono essere mai in contrasto con le leggi europee, perché quest’ultime sono di rango superiore, e se lo sono devono conformarsi: il giudice si è dunque rivolto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Giovedì la Corte ha emesso la sentenza e ha confermato l’incompatibilità: secondo le leggi europee «un lavoratore che non ha potuto esercitare tutto il suo diritto alle ferie annuali retribuite prima della fine del periodo del rapporto di lavoro ha diritto a un’indennità sostitutiva dei giorni di ferie annuali retribuite non godute». Verdesca ha dunque diritto al pagamento delle ferie che non ha utilizzato.
Della dubbia legittimità del decreto 95 del 2012 si era discusso già nel 2016, nell’ambito delle dimissioni di un medico della azienda sanitaria di Roma che al momento delle dimissioni nel 2013 non era riuscito a usare 222 giorni di ferie a causa delle sue condizioni di salute: la causa arrivò alla Corte Costituzionale, che però disse che il decreto del 2012 rispettava la Costituzione e le normative europee. Individuò comunque alcune eccezioni e alla fine l’interpretazione data dalla giurisprudenza aveva consentito finora il pagamento delle ferie residue solo quando non siano prese per motivi fuori dal controllo del lavoratore, come per esempio la malattia.