Lo strano ma prevedibile successo di Gypsy Rose Blanchard sui social
Nel 2015 uccise la madre che per anni aveva abusato di lei attribuendole malattie inesistenti: ora è uscita dal carcere ed è un fenomeno di TikTok
Lo scorso 28 dicembre è uscita dal carcere dopo 8 anni Gypsy Rose Blanchard, la donna statunitense che il 14 giugno 2015, quando aveva 24 anni, uccise la madre Dee Dee con l’aiuto di Nicholas Godejohn, il suo fidanzato dell’epoca, a Springfield, in Missouri. La madre di Blanchard, venne fuori, aveva una sindrome che aveva reso la vita della figlia impossibile fin dall’infanzia, cosa che fece sì che il caso venisse molto discusso e commentato dai media, oltre che ripreso da molte opere di finzione.
Da quando è uscita dal carcere il seguito di Blanchard sui social network è aumentato molto e rapidamente: attualmente è seguita da 9,8 milioni di persone su TikTok e 8,3 milioni su Instagram. All’inizio di gennaio è inoltre uscita la sua autobiografia, Released: Conversations on the Eve of Freedom, diventata da subito un caso editoriale, e sta andando attualmente in onda sull’emittente Lifetime The Prison Confessions of Gypsy Rose Blanchard, una docuserie in cui Blanchard racconta la sua esperienza in carcere. In un’intervista al settimanale People, Blanchard aveva detto di volere far crescere la propria popolarità «per stimolare un cambiamento»: al momento però gran parte della sua fama sembra derivare più banalmente da un largo interesse per le storie di true crime, che negli Stati Uniti da un po’ di anni muove moltissime persone.
L’immediato successo che Blanchard ha riscosso sui social e non solo è dovuto al fatto che, nell’ultimo decennio, il caso che l’ha vista coinvolta è finito un po’ ovunque. Nel 2019 è uscita The Act, una serie tv statunitense (disponibile anche in Italia) con Patricia Arquette e Joey King andata in onda sulla piattaforma di streaming Hulu e ispirata proprio alla storia che ha portato all’omicidio di Dee Dee Blanchard. Due anni prima la casa di produzione HBO aveva realizzato Mommy Dead and Dearest, un documentario dedicato allo stesso tema.
Il caso di cronaca in cui Blanchard fu coinvolta nel 2015 suscitò un grande interesse soprattutto per un motivo: sua madre Dee Dee era affetta dalla cosiddetta “sindrome di Münchausen per procura”, che prende il nome dall’omonimo barone tedesco vissuto nel XVIII secolo, famoso per la sua spasmodica tendenza a raccontare gesta inventate e inverosimili con il solo scopo di attirare l’attenzione. Nello specifico, la “sindrome di Münchausen per procura” è una rara malattia psichiatrica e comportamentale che porta chi ne soffre a simulare o provocare dei malanni in altre persone, per appagare il suo bisogno di prendersene cura.
Per anni la madre di Blanchard le ha fatto credere di essere affetta da malattie che non aveva per davvero e l’ha costretta a subire operazioni e trattamenti medici di cui non aveva bisogno, compresa la rimozione di più denti. Dee Dee Blanchard adottò una serie di accortezze per rendere le false malattie di sua figlia credibili e convincere il personale medico della necessità delle cure: per esempio, le rasava periodicamente i capelli a zero per farla assomigliare a una paziente chemioterapica e la costringeva a utilizzare una bombola di ossigeno in pubblico per dei presunti problemi respiratori.
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Negli anni riuscì anche a ottenere il supporto di diverse associazioni impegnate nell’aiuto di bambini malati. Nel 2007 ottenne un finanziamento dalla Oley Foundation, una fondazione benefica con sede ad Albany, nello stato di New York, affermando che sua figlia avesse bisogno di un tubo per potersi nutrire. Infatti, pur non avendone effettivamente necessità, fino ai vent’anni Blanchard è stata alimentata da sua madre con una sonda gastrica ripiena di PediaSure, un integratore alimentare per bambini.
A lungo Blanchard non ebbe possibilità di denunciare gli abusi a causa dei pochi contatti di cui disponeva: i suoi divorziarono pochi mesi prima della sua nascita, e anche se frequentò il padre durante i primi anni della sua vita, con il tempo la madre iniziò a vietarle di vederlo. Inoltre, a causa delle malattie che le venivano attribuite da sua madre, non frequentò mai le scuole. Blanchard iniziò a parlare della situazione con qualcuno soltanto nel 2012, quando conobbe su Facebook Nicholas Godejohn, un suo coetaneo che viveva in Wisconsin.
Secondo la ricostruzione del processo, il 14 giugno 2015, d’accordo con Blanchard, Godejohn andò a Springfield, appostandosi vicino alla casa dove le due vivevano. Quando la madre si addormentò, Blanchard fece entrare in casa Godejohn, che la uccise con diverse coltellate; poco dopo Blanchard rese pubblico l’omicidio della madre con un post su Facebook. Nel 2017 Blanchard accettò un patteggiamento che teneva conto di quel che aveva subito e fu condannata a 10 anni di carcere per omicidio di secondo grado. L’anno dopo Godejohn fu giudicato colpevole di omicidio di primo grado (la tipologia di omicidio più grave) e fu condannato all’ergastolo.
Nelle ultime settimane la popolarità ottenuta da Blanchard è al centro di un dibattito molto polarizzato negli Stati Uniti. C’è chi ritiene che questa eccessiva pressione mediatica potrebbe rivelarsi problematica e che Blanchard dovrebbe tenersi lontana dai social, anche perché in tutta la sua vita non ha mai potuto disporre di un periodo di tempo da dedicare interamente alla propria vita privata e alla propria salute mentale.
Anche alcuni influencer e creatori di contenuti online hanno criticato la sovraesposizione di Blanchard sui social, sostenendo che si tratti di un momento di fama temporaneo e che tra qualche mese, quando sottoscriverà i primi accordi con marchi importanti, il pubblico inizierà a rivoltarsi contro di lei. C’è anche chi pensa che questo momento di fama sia tutto sommato “meritato”, dato che è arrivato dopo anni di grande sofferenza personale.
Infine c’è chi sostiene che la presenza di Blanchard sui social potrebbe avere dei lati positivi: Edith Jennifer Hill, docente della Flinders University (Australia) che si occupa da anni di come la salute mentale venga rappresentata su social come TikTok e Instagram, ha scritto su The Conversation che Blanchard potrebbe contribuire a sensibilizzare il pubblico su un tema poco conosciuto come la sindrome di Münchausen per procura. In un video pubblicato mercoledì, Blanchard ha spiegato che la sua attività social sarà indirizzata proprio a questo scopo.
@gypsyroseblanchard727 Introduction into a discussion about Munchausen Syndrome by Proxy. This video is a discussion piece about mental health awareness, Please stay on topic. #munchausenbyproxy #mentalhealthawarenes #gypsyroseblanchard ♬ original sound – Gypsy Rose Blanchard
Tuttavia, finora Blanchard ha utilizzato TikTok soprattutto per motivi promozionali: per esempio, in alcuni video ha parlato della sua autobiografia e ha ricordato gli orari di messa in onda di The Prison Confessions of Gypsy Rose Blanchard, la docuserie attualmente su Lifetime. In altri casi ha pubblicato dei vlog – dei video in cui gli autori si registrano per mostrare ai follower cosa fanno durante la giornata – per raccontare le sue prime settimane fuori dal carcere.