Che diavolo sta facendo l’Iran?
Negli ultimi giorni ha bombardato paesi che in apparenza non c’entrano con Israele e la guerra a Gaza, cioè Pakistan e Siria: una ragione c’è, anche se non è immediata
Negli ultimi giorni le situazioni tese e problematiche in Medio Oriente provocate dalla guerra nella Striscia di Gaza si sono estese in maniera inattesa. L’Iran, il principale paese sciita della regione, anziché compiere azioni contro Israele ha colpito con attacchi missilistici l’Iraq, la Siria e il Pakistan. Di questi tre attacchi soltanto uno – quello in Iraq – riguardava Israele, mentre gli altri due, quelli in Siria e in Pakistan, avevano più che altro a che fare con contrasti prettamente legati alla politica iraniana. Il Pakistan ha peraltro risposto all’attacco iraniano, bombardando a sua volta il territorio dell’Iran. E tutto questo avviene mentre gli Stati Uniti bombardano il gruppo dei ribelli Houthi in Yemen, che sono alleati dell’Iran e compiono attacchi contro le navi commerciali nel mar Rosso.
Insomma, in Medio Oriente sono in corso tante crisi legate tra loro ma che è difficile ricostruire, anche per la complessità dei rapporti di amicizia e inimicizia tra i vari paesi, e per la presenza di gruppi che pur essendo legati a qualche governo si muovono con qualche grado di autonomia. Cerchiamo di spiegare cosa sta succedendo, per quanto possibile.
La guerra a Gaza
La novità più sorprendente degli ultimi giorni sono sicuramente i bombardamenti dell’Iran contro alcuni paesi a maggioranza musulmana.
Dal 7 ottobre dell’anno scorso, il giorno dell’attacco di Hamas contro i civili israeliani, le tensioni in Medio Oriente si sono concentrate tutte attorno a Israele e alla Striscia di Gaza. Tutti i rischi di nuovi scontri e di un’estensione del conflitto finora sono stati fatti risalire alla guerra a Gaza e alla possibilità che l’Iran e i suoi alleati, come il gruppo libanese Hezbollah, decidessero di intervenire contro Israele, il loro più grande nemico. In realtà i timori di un’estensione del conflitto in questo senso si sono rivelati alla fine esagerati: in più di un’occasione l’Iran e Hezbollah hanno fatto capire che, allo stato attuale delle cose, non intendono attaccare direttamente Israele.
Diverso è invece il discorso sui ribelli Houthi, che controllano metà dello Yemen dopo avere iniziato una guerra con il governo centrale yemenita dieci anni fa. Da dicembre i ribelli hanno cominciato ad attaccare con razzi e missili le navi commerciali che passano per il mar Rosso. Gli Houthi hanno detto che gli attacchi contro le navi sono una risposta alla guerra a Gaza, e che si interromperanno quando Israele smetterà di attaccare la Striscia. Gli Stati Uniti, davanti a una crisi commerciale che rischiava di diventare molto grave, hanno deciso di bombardare obiettivi militari degli Houthi.
Fin qui i legami tra tutte queste vicende, benché complicati, sono piuttosto chiari: le azioni di tutti i paesi e dei gruppi coinvolti ruotano attorno alla guerra a Gaza. Poi però l’Iran ha cominciato a bombardare altri paesi.
Cosa combina l’Iran
Di questi bombardamenti soltanto uno, compiuto martedì contro il Kurdistan iracheno, ha almeno ufficialmente un legame con Israele: i media iraniani hanno detto che è stato bombardato un «quartier generale» del Mossad, l’agenzia di spionaggio israeliana per l’estero.
In Siria, l’Iran sostiene di aver bombardato le postazioni di alcuni gruppi terroristici sunniti, e in particolare dell’ISIS, gruppo che aveva rivendicato l’attacco terroristico compiuto a Kerman, in Iran, all’inizio di gennaio, in cui erano state fatte esplodere due bombe ed erano state uccise 84 persone. Quello di Kerman era stato uno degli attentati più gravi della storia recente dell’Iran, che aveva messo estremamente sotto pressione il regime sciita che governa il paese. I bombardamenti in Siria contro l’ISIS sono con ogni probabilità una risposta all’attentato.
Sui bombardamenti iraniani in Pakistan le interpretazioni sono meno chiare. L’Iran ha detto di aver colpito postazioni del gruppo sunnita Jaish al Adl, che opera al confine tra Iran e Pakistan e che viene considerato terroristico sia dal governo iraniano sia da quello statunitense. I miliziani di Jaish al Adl hanno fatto in passato (anche negli scorsi mesi) attentati terroristici gravi sia in Iran sia in Pakistan, ma è la prima volta che l’Iran reagisce con questo tipo di violenza.
Tutto è collegato
Quindi, almeno in apparenza, i bombardamenti iraniani contro Siria e Pakistan sono eventi isolati, che l’Iran ha compiuto contro altri nemici e non hanno niente a che fare con il crescente aumento della tensione in Medio Oriente provocato dalla guerra a Gaza. In realtà non è proprio così.
Benché le ragioni immediate degli attacchi non riguardino Israele, questi bombardamenti sono la prova che l’Iran e i suoi alleati sono sotto pressione, e questa pressione è stata ovviamente creata dalla guerra a Gaza.
Da un lato l’Iran, che è il principale nemico di Israele della regione e alleato di Hamas, da mesi utilizza una retorica estremamente aggressiva per condannare la guerra, e subisce una pressione sia da parte dell’opinione pubblica sia dall’ala più conservatrice del regime per rispondere agli attacchi di Israele nella Striscia di Gaza. Ma al tempo stesso finora la leadership iraniana ha cercato di evitare di coinvolgere direttamente il paese e i suoi alleati nella guerra, sapendo che questo porterebbe a problemi e instabilità che potrebbero mettere in discussione la sua stessa esistenza. Per questo, nella guerra a Gaza, l’Iran ha l’esigenza di mostrarsi intransigente contro Israele, senza però provocarne la reazione militare.
L’attentato dell’ISIS nella città iraniana di Kerman, però, ha parzialmente cambiato le cose: il regime iraniano, che già si trovava in una posizione scomoda con la guerra a Gaza, è stato colpito internamente in un attacco devastante, e a quel punto, in una situazione in cui l’Iran si è sentito attaccato, la leadership del paese ha cercato di dimostrare di essere pronto a rispondere a ogni minaccia.
Mercoledì, parlando con i giornalisti, il ministro della Difesa iraniano Mohammad Reza Ashtiani ha detto: «Siamo una potenza missilistica mondiale». «Ovunque vogliano minacciare la Repubblica islamica di Iran, noi reagiremo, e la reazione sarà proporzionale, dura e decisa». Come ha spiegato il New York Times, che ha parlato con alcune fonti iraniane, quella dell’Iran è stata una «dimostrazione di forza» che aveva il compito di «rassicurare i conservatori interni e gli alleati all’estero, e di mettere in guardia Israele, gli Stati Uniti e i gruppi terroristici che l’Iran colpirà se viene attaccato».
A ulteriore dimostrazione delle forti pressioni che in questo momento l’Iran sta subendo, internamente ed esternamente, c’è il fatto che le forze armate iraniane siano intervenute direttamente, bombardando loro stesse gli obiettivi scelti. Questo fatto è relativamente inusuale: molto spesso l’Iran preferisce fare affidamento sulla sua rete di alleati nella regione per portare avanti i propri obiettivi militari.
Per questo, come già avvenuto più volte in questi mesi, la retorica del regime è stata particolarmente violenta, ma le azioni molto più misurate. Martedì in piazza della Palestina, nel centro di Teheran, sono apparsi enormi manifesti raffiguranti missili con un messaggio in persiano ed ebraico: «Preparate le vostre bare». Al tempo stesso, però, gli analisti sostengono che i bombardamenti iraniani di questi giorni sono stati calibrati in maniera molto attenta per consentire al regime di fare una dimostrazione di forza che però non provocasse reazioni ed evitasse rischi di nuovi conflitti.