Alla fine nessuno ha ricevuto in regalo dallo Stato un terreno agricolo per il suo terzo figlio
Era una misura voluta da Lega e Movimento 5 Stelle nel 2018; è riemersa in una discussione alla Camera e si è saputo che non poteva funzionare
Alla fine del 2018 il governo guidato da Giuseppe Conte e sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle approvò una norma che prevedeva di concedere gratuitamente per almeno vent’anni un terreno agricolo alle famiglie con almeno tre figli. Fu una norma che all’epoca fece un certo clamore, e poi come molte altre venne dimenticata. Fu inserita nella legge di bilancio del 2018, il provvedimento con cui il governo stabiliva come utilizzare le risorse per l’anno seguente, con l’obiettivo «di favorire la crescita demografica», dunque incentivare le famiglie a fare figli.
Mercoledì, dopo più di cinque anni dall’introduzione di quella norma, il deputato di Italia Viva Luigi Marattin ha chiesto al governo cosa ne fosse stato della misura e quanti lotti di terreno fossero stati assegnati. Attraverso il sottosegretario all’Agricoltura, il leghista Luigi D’Eramo, il governo ha risposto ammettendo che la norma non è di fatto mai entrata in vigore e che non sono stati concessi terreni a nessuna famiglia. Non è così raro che i provvedimenti annunciati da un governo poi non entrino in vigore, ma è comunque un esempio indicativo della fine che fanno certe norme di cui si parla molto per un periodo e che poi scompaiono dal dibattito pubblico.
Nel dettaglio, la norma prevedeva che le famiglie con tre o più figli, almeno uno dei quali nato negli anni 2019, 2020 o 2021, potessero ricevere la concessione gratuita «per un periodo non inferiore a vent’anni» di un terreno statale individuato tra quelli classificati “a vocazione agricola”, cioè non utilizzabile per altre finalità e dove è tendenzialmente impossibile costruire case o fabbricati, e tra quelli abbandonati e incolti. Contestualmente, per le stesse famiglie che avessero avuto accesso a questa misura, sarebbe stato possibile chiedere un mutuo a tasso zero fino a 200mila euro per la durata di vent’anni da utilizzare per l’acquisto della prima casa in prossimità del terreno assegnato.
Per fare in modo che ne avessero accesso anche le famiglie che risiedevano in città, la norma stabiliva che il terreno agricolo potesse essere assegnato in concessione gratuita a società costituite da giovani imprenditori agricoli, a patto che questi imprenditori riservassero alle famiglie una quota di almeno il 30 per cento della loro società. Nel complesso per finanziare questa misura veniva istituito un fondo al ministero dell’Agricoltura e del Turismo di 5 milioni di euro per il 2019 e di 15 milioni per il 2020 (20 milioni di risorse pubbliche in totale).
Gian Marco Centinaio, ex ministro leghista dell’Agricoltura e del turismo che oggi è vicepresidente del Senato, rivendicò di essere l’autore della norma. Spiegò che il provvedimento serviva a favorire la natalità da un lato e a promuovere lo sviluppo economico delle aree rurali dall’altro. Del resto la norma assegnava proprio al suo ministero la responsabilità di definire i criteri e le modalità di attuazione della misura, dunque a prendere tutte le disposizioni necessarie a renderla davvero operativa (per esempio scrivere e approvare i decreti attuativi, ci torniamo).
Dal dicembre del 2018 a oggi però non è stato fatto nulla. In questi tre anni sono cambiati tre governi: dopo il primo governo Conte, con Lega e M5S, c’è stato il secondo governo Conte, sostenuto da M5S, Partito Democratico e Italia Viva; poi è arrivato il governo di Mario Draghi, appoggiato da tutti i partiti tranne Fratelli d’Italia, e ora il governo di Giorgia Meloni, sostenuto dalla coalizione di destra con Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Proprio quest’ultimo governo ha dovuto dare conto dello stato di attuazione di quella norma. Ha dovuto farlo perché Italia Viva, tramite Luigi Marattin e Maria Chiara Gadda, aveva presentato un’interrogazione su questo nella commissione Agricoltura della Camera.
Nel 2019 il governo Lega-M5S approvò una norma secondo cui chi avesse fatto il terzo figlio avrebbe avuto in regalo dallo Stato un terreno agricolo, allocando in tutto 20 milioni di euro di soldi dei contribuenti a questo scopo.
Abbiamo chiesto al governo Meloni (in cui c’è la… pic.twitter.com/WBovxn8iIz
— Luigi Marattin (@marattin) January 17, 2024
Mercoledì il sottosegretario all’Agricoltura Luigi D’Eramo, esponente della Lega, ha spiegato che nessun lotto di terreno è stato assegnato e non è stato concesso nessun mutuo agevolato. «L’impianto legislativo» di quella norma, ha detto D’Eramo, «sebbene improntato al perseguimento di un obiettivo di carattere generale totalmente condivisibile è apparso poco credibile e ha portato ad avanzare una serie di dubbi e criticità teoriche e pratiche». Si sono accorti che il solo fatto di avere a disposizione un terreno non era una condizione sufficiente a garantire ai potenziali beneficiari, cioè alle famiglie con tre o più figli, «l’avvio di una profittevole attività agricola e la conseguente permanenza della stessa in alcuni contesti rurali».
Come ha ammesso D’Eramo, dopo aver inserito quella norma nella legge di bilancio, il ministero si è reso conto che non tutti i genitori con tre o più figli avessero capacità imprenditoriali e competenze specifiche nel settore dell’agricoltura per il solo fatto di essere genitori.
Inoltre, l’87 per cento dei terreni non utilizzati che sarebbero dovuti essere assegnati è di proprietà dei comuni, molti dei quali, ha spiegato D’Eramo, «non hanno avviato efficaci strumenti di ricognizione e catalogazione di tali tipologie di terreni», cioè non hanno compilato un elenco indicando i vari terreni a disposizione. Ma le mancanze non sono tutte da attribuire ai soli sindaci. Anche il ministero dell’Agricoltura, infatti, avrebbe dovuto costruire una «piattaforma informatica» attraverso cui gestire le procedure di assegnazione dei vari terreni alle famiglie richiedenti. Ma questo strumento non è mai stato realizzato.
Non è stato mai fatto neanche «un censimento qualitativo dei terreni», cioè una mappatura completa delle aree sfruttabili, e queste aree non sono mai state suddivise in lotti: erano operazioni preliminari necessarie a definire le unità di terreno da assegnare poi alle famiglie.
Per tutte queste ragioni, ha detto il sottosegretario leghista D’Eramo, «le disposizioni normative sono apparse sin dal primo momento poco efficaci e di difficile attuazione pratica». Pertanto si è deciso di spostare le risorse inizialmente stanziate per questo progetto «verso fondi più promettenti in termini di capacità operativa e di impatto sul tessuto socioeconomico delle aree rurali e dell’agricoltura». La norma è stata quindi abrogata, cioè cancellata. A farlo fu in particolare il secondo governo guidato da Conte, dove a guidare il ministero dell’Agricoltura fu la renziana Teresa Bellanova, di Italia viva: e così i 20 milioni vennero assegnati a fondi per i giovani che vogliono avviare piccole e medie imprese e a fondi per finanziare le imprese agricole guidate da donne.
Non è una cosa così insolita che norme approvate dal governo e dal parlamento non vengano poi effettivamente attuate. Per fare in modo che una misura entri davvero a regime, infatti, c’è bisogno che le istituzioni coinvolte nella sua realizzazione pratica facciano provvedimenti specifici per fare in modo che ciò che è previsto dalla legge diventi operativo: ministeri, comuni, regioni, devono in questi casi emanare norme che regolino la gestione delle risorse, pubblicare bandi di gara per l’assegnazione dei lavori o delle agevolazioni previste, dare direttive al personale su come comportarsi, cosa fare, quali protocolli seguire, e in che modo realizzare tutte quelle operazioni preliminari che servono a rendere possibile che la norma entri in funzione. Tutta questa mole di piccoli ma fondamentali provvedimenti vengono detti decreti attuativi, specie quando ci si riferisce agli atti di competenza del governo.
Secondo l’analisi più recente, fatta da Openpolis, il governo deve ancora produrne 400 per smaltire gli arretrati, che sono stati in parte ereditati dal passato. In molti casi questi ritardi sono particolarmente gravi perché impediscono di erogare effettivamente le risorse stanziate per finanziare progetti, che restano in questo modo sospesi: sono circa 9,2 i miliardi di euro disponibili ma che non vengono assegnati.