La popolazione cinese è calata per il secondo anno di fila
Nel 2023 ci sono state ancora meno nascite e più decessi rispetto al 2022: la popolazione è sempre più vecchia e per il governo cinese è un grosso problema
Per il secondo anno di fila la popolazione cinese è calata. I dati sono stati diffusi dall’equivalente cinese dell’Istat italiano, sono riferiti al 2023 e riguardano solo la popolazione di cittadinanza cinese (non gli stranieri) e solo la Cina cosiddetta “continentale”: sono quindi escluse le due regioni amministrative speciali di Hong Kong e Macao. Sono il risultato di un progressivo e costante calo delle nascite, che è abbinato da tempo all’invecchiamento della popolazione. La popolazione era già scesa nel 2022, per la prima volta in oltre 60 anni.
Nel 2023 si sono confermate tutte le tendenze che erano iniziate l’anno precedente. Alla fine del 2023 la popolazione cinese era di 1,409 miliardi di persone, 2,08 milioni in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. È il risultato del fatto che il numero dei decessi (11,1 milioni) ha superato quello delle nascite (9,2 milioni): la differenza si è ulteriormente ampliata rispetto al 2022, quando la popolazione si era ridotta di 850mila persone.
In termini di genere, la popolazione maschile ha superato anche quest’anno quella femminile di 30,97 milioni. I dati indicano poi una popolazione generalmente più anziana: alla fine del 2023 le persone con più di 60 anni erano il 21,1 per cento della popolazione, in aumento rispetto alla fine del 2022 quando erano il 19,8 per cento del totale. Le persone sono anche più concentrate nelle città: quelle che abitano nelle zone rurali sono 7,31 milioni in meno, quelle che abitano in zone urbane 11,96 milioni in più.
I dati diffusi dall’Istituto nazionale di statistica non sono sorprendenti. Sono anni che in Cina si parla di crisi demografica e si discute delle sue potenziali conseguenze sul mercato del lavoro. A lungo andare infatti avere sempre meno persone all’interno del mercato del lavoro potrebbero mettere a repentaglio il ritmo di crescita e sviluppo dell’economia cinese, già piuttosto compromesso: nel 2023 il Prodotto Interno Lordo è cresciuto del 5,2 per cento, sotto le attese degli analisti che invece si attendevano una crescita ancora più forte dopo la fine della strategia zero Covid.
Una popolazione che invecchia ha poi come conseguenza anche quella di aumentare il costo generale delle cure, dell’assistenza e delle pensioni.
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Secondo diverse analisi, su questi dati ha pesato soprattutto la rigida politica del figlio unico, introdotta in Cina nel 1979 per rallentare la crescita della popolazione e rimasta in vigore fino al 2016 (chi violava le regole rischiava multe o addirittura la perdita del lavoro). Da quando ha abbandonato questa politica, il governo cinese ha tentato in vari modi di incoraggiare le famiglie ad avere un secondo o anche un terzo figlio, anche attraverso incentivi fiscali, senza particolare successo: le nascite sono in calo per il settimo anno di fila.
Benché le nuove norme abbiano l’obiettivo esplicito di invertire questi processi, gli esperti sono concordi nel sostenere che la crisi demografica cinese ha radici profonde e che difficilmente consentire alle coppie di avere tre figli potrà cambiare la situazione. Il problema principale è che la maggior parte delle coppie in Cina non ha intenzione di avere più di un figlio.
Il presidente cinese Xi Jinping parla da tempo della necessità che le donne ritornino a ruoli più tradizionali in casa. Recentemente ha esortato i funzionari governativi a promuovere una «cultura del matrimonio e della maternità» e a influenzare ciò che i giovani pensano riguardo «all’amore e al matrimonio, alla fertilità e alla famiglia». Sulla scelta di fare pochi figli sembra che continui a pesare la profonda disuguaglianza di genere sia culturale che sul mercato del lavoro, che si traduce in un eccessivo carico sulle donne nella cura e nella gestione dei figli, con pochi aiuti per quelle che lavorano.
Gli ultimi dati sul tasso di fecondità della popolazione cinese sono relativi al 2022: il numero medio di bambini nati da ciascuna donna è stato di circa 1,09, molto sotto il cosiddetto “livello di sostituzione” di 2,1, che consente alla popolazione di restare stabile senza la necessità di immigrazione dall’estero. Questo dato è molto sceso nel tempo, e non è mai stato così basso, addirittura minore di quello di altri paesi come Singapore (1,12), Italia (1,25), Giappone (1,3), Germania (1,46).
Ma mentre la maggior parte dei paesi con un tasso di fecondità molto basso e poche nascite in rapporto alla popolazione si colloca tra i più ricchi del mondo, la Cina è ancora in via di sviluppo, con un PIL pro capite piuttosto basso (circa 13mila dollari contro i 32mila dell’Italia e i 43mila della Germania) e molte persone che ancora vivono sotto la soglia di povertà. Questo significa che la Cina rischia di «diventare vecchia prima di diventare ricca», come dicono molti economisti da anni, e di dover affrontare i problemi di una società che invecchia (carenza di forza lavoro, eccessivo peso delle pensioni e della cura degli anziani sul bilancio dello stato e così via) senza essere riuscita a raggiungere lo stato di benessere e le garanzie di welfare di cui godono i cittadini di paesi in simili condizioni demografiche.
La Cina inoltre ha politiche rigidissime sull’immigrazione, che non consentono di alleviare la scarsa natalità con l’ingresso di nuove persone dall’estero, come succede per esempio negli Stati Uniti.
– Ascolta Globo: La fine del miracolo cinese?, con Francesca Spigarelli