La prescrizione cambierà di nuovo
Alla Camera ha avuto una prima approvazione la quarta riforma in sette anni, stavolta per reintrodurla dopo la sentenza di primo grado
Martedì alla Camera ha ricevuto una prima approvazione la proposta di legge che reintroduce la prescrizione, l’istituto giuridico che rende non più perseguibile un reato dopo il passaggio di un certo periodo di tempo da quando è stato commesso. Negli ultimi sette anni la prescrizione è cambiata quattro volte per volere di quattro diversi governi. Dal 2020 era di fatto abolita dopo la sentenza di primo grado a causa della riforma sostenuta dall’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dal Movimento 5 Stelle. Ora il governo l’ha riproposta anche dopo il primo grado con l’obiettivo di ridurre la durata dei processi e dare più garanzie alle persone imputate.
La Camera ha approvato la riforma con 173 “sì” e 79 “no”, ora la proposta di legge dovrà essere discussa e votata al Senato, dove dovrebbe passare senza problemi né interventi di modifica.
La prescrizione è appunto una forma di garanzia contro l’eccessiva lunghezza dei processi – visto che i processi hanno un grande impatto sulla vita degli imputati, anche nel caso poi si concludano con un’assoluzione – ed è uno strumento che lo Stato può utilizzare quando non è più interessato a perseguire alcuni reati. L’idea alla base della norma è che nessuno – tra proroghe delle indagini, processi lunghissimi e magari da ripetere – possa e debba restare sotto processo per un tempo irragionevole (potenzialmente a vita), con gli enormi costi economici e personali che questo comporta, e anche che tra il presunto reato e la condanna debba passare un tempo congruo.
La prescrizione serve anche a ridurre gli errori giudiziari, dal momento che più passa il tempo più le indagini e i processi si fanno complicati perché le prove si deteriorano, i testimoni muoiono e comunque è più complicato ricostruire cosa è accaduto.
Tutti i reati possono finire in prescrizione a eccezione di quelli che prevedono l’ergastolo. Fino a una ventina di anni fa il tempo necessario alla prescrizione era piuttosto lungo, accorciato poi da una serie di leggi approvate in particolare dai governi di Silvio Berlusconi.
Fino al 2020 in Italia la prescrizione interveniva quando, dal momento in cui era stato commesso il presunto reato, trascorreva un numero di anni pari alla pena massima prevista per quel reato. Alcuni atti nel corso del procedimento, dall’ordinanza di arresto alle sentenze, interrompevano il calcolo dei tempi, altri lo sospendevano (come la messa alla prova dell’imputato oppure un rinvio chiesto dalla difesa). Le interruzioni però non potevano rimandare all’infinito la prescrizione, che arrivava in ogni caso quando erano trascorsi i termini previsti, cioè un tempo pari alla massima condanna prevista per quel reato più un quarto.
La riforma Bonafede tolse i limiti e quindi la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. La prescrizione è rimasta in vigore soltanto per limitare i procedimenti penali che arrivavano al processo di primo grado molti anni dopo l’inizio delle indagini.
Nel 2021 la riforma proposta dalla ministra Marta Cartabia ha confermato l’eliminazione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, ma ha introdotto dei limiti massimi di tempo per il processo di appello (due anni) e per quello in Cassazione (un anno). Superati questi limiti, scattava l’improcedibilità e il processo doveva dunque fermarsi. Il giudice poteva comunque stabilire una proroga senza limiti di tempo per alcuni reati (terrorismo, associazione mafiosa, violenza sessuale aggravata e traffico di stupefacenti), e che poteva durare al massimo tre anni per l’appello e un anno e sei mesi in Cassazione per i reati con aggravante mafiosa, e di un anno in appello e di sei mesi in Cassazione per tutti gli altri reati.
La nuova riforma proposta dal governo ha reintrodotto i limiti dopo la sentenza di primo grado che erano stati tolti dalla riforma Bonafede, tornando di fatto alle regole della riforma precedente, introdotta dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, del PD, nel 2017. Significa che il corso della prescrizione rimarrà sospeso per un tempo non superiore a due anni dopo la sentenza di condanna di primo grado, e per un tempo non superiore a un anno dopo la sentenza di appello di conferma della condanna di primo grado.
Se la sentenza di impugnazione non interverrà nei tempi previsti, la prescrizione riprenderà e tutto il periodo di sospensione verrà di nuovo preso in considerazione nel conteggio della prescrizione. Anche in caso di successivo proscioglimento o annullamento della condanna in appello o in Cassazione, il periodo di sospensione andrà comunque conteggiato.
L’Associazione nazionale magistrati (ANM), una sorta di sindacato dei magistrati, aveva chiesto al parlamento di introdurre una norma transitoria, cioè un insieme di regole per evitare di applicare la nuova riforma ai processi in corso. Anche se in teoria il ritorno della prescrizione dovrebbe aiutare a smaltire i processi troppo lunghi, infatti, secondo i magistrati potrebbe anche creare una confusione tale da ingolfare il sistema e non consentire di rispettare le promesse fatte dall’Italia all’Unione Europea sui tempi della giustizia: dimezzare la durata media dei processi e smaltire quelli arretrati.