In Europa Meloni e Salvini si stanno contendendo gli stessi alleati
Per ragioni diverse entrambi vorrebbero in coalizione Viktor Orbán e Marine Le Pen, ma anche movimenti sovranisti minori come quello del romeno George Simion
Il 3 dicembre scorso, con una manifestazione a Firenze, Matteo Salvini ha avviato la lunga campagna elettorale della Lega per le elezioni europee in programma per l’8 e il 9 giugno 2024. L’evento è stato significativo perché sul palco della manifestazione sono intervenuti i rappresentanti dei partiti europei con cui la Lega è alleata e di quelli con cui sta cercando di imbastire degli accordi. Nel complesso, i discorsi fatti in quell’occasione ribadivano tutti, con toni polemici e in certi casi piuttosto aggressivi, un orientamento molto critico verso le istituzioni europee.
La Lega fa parte del resto di un’alleanza chiamata Identità e Democrazia (ID), che riunisce partiti accomunati da un approccio fortemente antieuropeista e sovranista, spesso xenofobo: oltre alla Lega, i principali componenti di questa alleanza sono il Rassemblement National francese di Marine Le Pen, Alternative für Deutschland (AfD) tedesco, l’olandese Partito per la Libertà (PVV) di Geert Wilders. Dopo varie discussioni all’interno del suo partito, nel maggio scorso Salvini aveva deciso di confermare la strategia che la Lega segue dal 2019, e dunque le stesse alleanze: la manifestazione di Firenze era stata la celebrazione di questo approccio rinnovato.
L’evento venne accolto con un certo fastidio dai dirigenti di Fratelli d’Italia, il maggior partito della coalizione di destra al governo e quello attualmente più popolare in Italia. Alla base di questa insofferenza c’era la convinzione che Salvini stesse utilizzando la questione delle alleanze europee per provare a sottrarre consensi al partito della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Ribadendo la sua posizione oltranzista e radicale contro le istituzioni europee, il leader della Lega intende insomma presentarsi agli elettori come l’unico fedele interprete del programma storico della destra sovranista italiana, e ha più volte fatto allusioni critiche all’ipotesi che Fratelli d’Italia possa accettare alleanze politiche con liberali e socialisti europei a partire dal prossimo giugno. Salvini vuole quindi mostrarsi coerente con l’antieuropeismo sostenuto per anni, e che Meloni ora potrebbe invece rinnegare: la posizione di presidente del Consiglio in questo anno e più di governo le ha spesso imposto un approccio un po’ più moderato alla politica internazionale.
Anche per questo, all’indomani della manifestazione fiorentina organizzata dalla Lega, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, uno dei membri del governo più legati a Meloni (nonché suo cognato), diede un’intervista al Corriere della Sera in cui criticò in modo piuttosto perentorio alcuni degli alleati di Salvini. «Per noi alcuni paletti sono chiari in Italia e in Europa, tra questi il sostegno all’Ucraina e la difesa della libertà di Israele. E questo con alcune forze politiche impedisce ogni alleanza», disse Lollobrigida.
Il riferimento di Lollobrigida riguardava soprattutto AfD, il partito di estrema destra tedesco che da anni esprime simpatie e vicinanze verso il regime di Vladimir Putin in Russia. Anche tra Le Pen e Putin ci sono stati negli anni passati legami politici ed economici piuttosto diretti.
Tra gli altri, però, a fare particolare clamore tra gli interventi degli ospiti della Lega a Firenze era stato quello del romeno George Simion, presidente del partito di destra radicale Alleanza per l’unione dei romeni, che aveva pronunciato un discorso piuttosto accalorato nel quale, parlando in italiano, aveva definito «pazzi» e «malati» la presidente della commissione europea Ursula von der Leyen e uno dei suoi ex vice, il commissario Frans Timmermans. Anche per questo molti giornali e commentatori presero proprio l’intervento di Simion come rappresentativo degli eccessi verbali che avevano caratterizzato la manifestazione della Lega.
Il giorno prima di andare a Firenze, Simion era stato a Pistoia dove il gruppo dei Conservatori e riformisti europei (ECR), l’alleanza di cui fa parte Fratelli d’Italia, aveva organizzato un convegno sulle politiche agricole. Simion era stato invitato, e a margine dei lavori si era fatto fotografare insieme a Lollobrigida, pure lui presente all’evento, per poi condividere la foto su X (l’ex Twitter) commentando così: «Con Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura in Italia, contro le menti malate che vogliono rubare la nostra terra». La strana coincidenza venne notata: lo stesso ministro che metteva in guardia dalle alleanze europee con i partiti più estremisti si era fatto ritrarre insieme a uno degli ospiti più scalmanati dell’evento di Salvini.
With @FrancescoLollo1 – Minister of Agriculture în Italy – against the sick minds that want to steal our land! pic.twitter.com/ffWSCh8zMu
— 🇷🇴 George Simion 🇲🇩 (@georgesimion) December 3, 2023
Lollobrigida chiese perciò chiarimenti ai compagni del suo partito che avevano organizzato l’evento di Pistoia, dopo che diversi giornalisti avevano chiesto conto dell’incongruenza. Nel tentativo di dimostrare l’affidabilità di Simion sul piano diplomatico, i rappresentanti di Fratelli d’Italia inviarono ai giornalisti che si erano interessati al tema un articolo in cui il partito di Alleanza per l’unione dei romeni pubblicizzava un incontro tra Simion e l’ambasciatore di Israele a Bucarest, avvenuto il 28 agosto nella sede del parlamento.
Nelle settimane seguenti Simion ha continuato a dare grande rilievo pubblico agli incontri che aveva a Bruxelles sia con i Conservatori (ECR) sia con esponenti di Identità e Democrazia (ID), e in particolare coi leghisti. Poi però il 18 dicembre scorso aveva partecipato al raduno nazionale di Fratelli d’Italia a Roma, Atreju, intervenendo dal palco della manifestazione. Carlo Fidanza, capodelegazione di Fratelli d’Italia al parlamento europeo, ha spiegato in quell’occasione che Simion «ha fatto richiesta di ingresso in ECR già da un anno», e che è scontato che l’Alleanza per l’unione dei romeni sarà alleata del partito di Meloni alle prossime elezioni europee.
Per quanto apparentemente marginale, la vicenda di Simion è invece importante perché spiega bene una dinamica che sta emergendo in maniera sempre più chiara: il tentativo di Lega e Fratelli d’Italia di garantirsi accordi con gli stessi partiti sovranisti europei in vista delle elezioni di giugno. Entrambi stanno cercando di accaparrarsi l’alleanza con i movimenti politici che ancora non hanno deciso con esattezza come collocarsi nel prossimo parlamento europeo, o che magari potrebbero rivedere questa scelta.
Vale per Simion e vale ancor più per Viktor Orbán, il primo ministro ungherese che è anche presidente di Fidesz, partito di estrema destra. Dopo un lungo conflitto coi dirigenti del Partito popolare europeo (PPE), nel marzo del 2021 il principale partito del centrodestra europeo espulse Fidesz per via delle sue politiche illiberali. Da allora, sia Meloni che Salvini hanno tentato di rafforzare i rapporti con Orbán, con l’obiettivo più o meno dichiarato di includerlo nei rispettivi gruppi al parlamento europeo, dove Fidesz ha 12 eletti.
Nell’aprile del 2021, in particolare, Salvini tentò una ardita operazione politica per propiziare una ricomposizione delle alleanze tra i partiti sovranisti europei, e per questo fece un viaggio a Budapest dove incontrò Orbán e il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki (storico alleato di Meloni). L’ambizioso obiettivo finale era di fondere il gruppo di ID a cui appartiene la Lega con quello di ECR, inserendo anche Fidesz. Ma l’operazione di un nuovo ipotetico grande blocco sovranista avrebbe relegato Fratelli d’Italia a un ruolo marginale, e per questo Meloni fece in modo di sabotare il progetto di Salvini, col contributo fondamentale di Raffaele Fitto, all’epoca europarlamentare di FDI e ora ministro per gli Affari europei.
Negli ultimi mesi è emersa una preferenza di Orbán nei confronti di ECR, il gruppo di Meloni. Non tanto per una questione di numeri (i sondaggi infatti suggeriscono che il gruppo di ID sarà più numeroso di quello dei Conservatori al prossimo parlamento europeo), ma piuttosto per una questione di quello che potrà fare a livello politico Orbán in ambito europeo. Nelle istituzioni europee ECR non è considerato un gruppo di soli estremisti, anche per via di come è cambiata la posizione di Meloni da quando è presidente del Consiglio, ed è probabile che nella prossima legislatura ci sia un dialogo maggiore tra vari partiti dei Conservatori – a partire da Fratelli d’Italia – e il Partito Popolare, il partito di centrodestra europeo, più moderato. Visto la grossa importanza dei popolari anche ECR, pur essendo meno numeroso, potrebbe quindi avere un peso politico maggiore.
Non a caso da quando è presidente del Consiglio Meloni ha curato con grande attenzione i rapporti con Orbán, ribadendo la vicinanza su molte questioni identitarie e valoriali. In alcune circostanze, poi, durante varie trattative tra i governi europei, Meloni ha tentato di giocare un ruolo di mediazione, provando cioè a dissuadere Orbán dall’esercitare poteri di veto su importanti decisioni di politica estera al Consiglio europeo, dove è necessaria l’unanimità dei leader dei 27 Stati membri. È un compito che si è rivelato spesso piuttosto complesso, e in varie circostanze Orbán ha mantenuto a lungo posizioni ostruzionistiche, per esempio nei confronti del sostegno all’Ucraina, ma anche paradossalmente su questioni che interessavano molto a Meloni (su politiche migratorie e sull’utilizzo dei fondi europei per l’industria).
Al di là delle singole questioni, la questione che rende complicata per Meloni un’alleanza con Orbán è proprio la politica estera, e in particolare l’esplicito sostegno del primo ministro ungherese al regime di Putin: uno di quei limiti evocati da Lollobrigida per la definizione delle alleanze europee. Orbán è di gran lunga il più filorusso dei capi di stato e di governo europei, e questo lo rende inconciliabile con l’approccio rigidamente filoatlantico di Meloni, risoluta nel sostenere l’Ucraina e sempre attenta alle sollecitazioni degli Stati Uniti sui temi di politica internazionale. Per questo le trattative tra Fratelli d’Italia e Fidesz al momento sono sostanzialmente ferme, e la Lega potrebbe approfittarne.
Un discorso analogo vale infine per Marine Le Pen, la leader storica della destra radicale francese. Il suo partito, il Rassemblement National, è da anni alleato della Lega e membro di ID. Nel settembre scorso l’amicizia tra Salvini e Le Pen era stata ribadita a Pontida, il raduno annuale della Lega, dove la politica francese era stata invitata a parlare sul palco. Anche Le Pen è stata per anni una accanita ammiratrice di Putin, e il suo partito è stato al centro di inchieste giornalistiche per i rapporti finanziari con le istituzioni russe. In particolare, nel 2014 il Front National (allora si chiamava così il partito di Le Pen) aveva ricevuto un prestito di oltre 9 milioni di euro da una banca russo-ceca, in un’operazione che aveva poi coinvolto anche Aviazapchast, un’azienda russa del settore del trasporto aereo.
Dall’avvio dell’invasione russa in Ucraina, però, Le Pen ha iniziato a prendere progressivamente le distanze da Putin, rinnegando in maniera sempre più esplicita le sue precedenti dichiarazioni. Questa posizione si inserisce in un ripensamento più generale delle posizioni di Le Pen, che sta affrontando un processo di relativa moderazione in vista delle elezioni presidenziali francesi del 2027, seguendo un percorso per certi versi analogo a quello che Meloni ha fatto in Italia negli ultimi anni per arrivare al governo. In questa transizione Le Pen ha anche esplicitamente condannato l’invasione russa, e ha poi fatto sapere di aver rimborsato il cosiddetto “prestito russo” ricevuto nel 2014.
Durante la tradizionale conferenza stampa di fine anno, il 4 gennaio scorso, Meloni ha espresso chiaramente apprezzamento per questo nuovo approccio di Le Pen, contrapponendola invece ai tedeschi di AfD. «Credo che, mi pare evidente oggi, con AfD ci siano delle distanze insormontabili, potremmo citarne diverse, ma insomma a partire dal tema del rapporto con la Russia, sul quale invece per esempio il Rassemblement National di Marine Le Pen sta facendo secondo me un ragionamento interessante», ha detto Meloni.
In queste parole alcuni osservatori hanno visto un implicito riferimento a un possibile accordo tra Le Pen e Fratelli d’Italia. Pare in realtà complicato che il Rassemblement National possa entrare a far parte di ECR, a cui invece ha già fatto richiesta di adesione Reconquête!, il movimento di estrema destra francese guidato Éric Zemmour e di cui è vicepresidente Marion Maréchal, nipote di Marine Le Pen e moglie di Vincenzo Sofo, europarlamentare di Fratelli d’Italia. Allo stesso tempo, a evocare una maggiore collaborazione tra ID e ECR è stato Jordan Bardella, attuale presidente del Rassemblement National e persona fidatissima di Le Pen, durante un incontro con la stampa in cui lanciava la campagna elettorale europea del suo partito.