In Veneto non è passata la legge sul suicidio assistito
La proposta di legge è stata rinviata in commissione, dove con tutta probabilità resterà senza essere discussa
Martedì, dopo un Consiglio regionale durato oltre sei ore, la Regione Veneto ha approvato il rinvio in commissione della proposta di legge regionale Liberi Subito, che punta a regolamentare il ricorso al suicidio assistito nella regione. Anche se tecnicamente non equivale a una bocciatura, il voto del Consiglio è considerato di fatto un affossamento della legge: il presidente del Consiglio regionale Roberto Ciambetti ha spiegato che il rinvio in commissione non comporterà necessariamente un nuovo esame della proposta e una sua eventuale ridiscussione in aula: «il progetto di legge diventerà un progetto di legge “ordinario” e perderà le prerogative previste dallo statuto per le proposte di iniziativa popolare», ha detto.
Il rinvio in commissione è stato approvato dopo la bocciatura in aula degli unici due articoli della legge, l’1 e il 2, su cui si è votato: servivano 26 voti favorevoli e in entrambi casi ce n’erano 25 (oltre a 22 contrari, 3 astenuti e un assente). I 3 astenuti, la cui presenza in aula ha alzato il quorum e i cui voti hanno di fatto contato come voti contrari, sono uno del Partito Democratico e due della Lega. Ciambetti ha spiegato di aver dovuto chiedere il voto sul rinvio in commissione in particolare dopo il voto sfavorevole sull’articolo 2 della legge: un articolo fondamentale, quello che disciplina il modo in cui il sistema sanitario regionale veneto avrebbe dovuto attrezzarsi per garantire l’accesso al suicidio assistito.
Il suicidio assistito è la procedura con cui ci si autosomministra un farmaco letale a determinate condizioni: in Italia è legale grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, ma una legge che definisca in modo chiaro tempi e modalità di attuazione non è mai stata approvata, né a livello nazionale né a livello locale, nonostante ripetuti inviti da parte della stessa Corte.
Il Veneto era stata la prima regione italiana a discutere di una legge regionale sul cosiddetto “fine vita”, e quindi a poter garantire quello che la Corte Costituzionale ha riconosciuto, a determinate condizioni, come un diritto. A livello nazionale invece l’unica proposta di legge esistente al momento è ferma al Senato (ed è ritenuta da molti comunque decisamente inadeguata). Nel frattempo ogni caso è stato affidato volta per volta alla gestione delle singole aziende sanitarie locali, con vari problemi.
C’è chi è morto prima di riuscire ad accedere alla pratica, dopo molte sofferenze, chi ha dovuto intraprendere una lunga battaglia legale e chi alla fine ha scelto di andare all’estero per accedere comunque al suicidio assistito. Queste grosse carenze avevano spinto nei mesi scorsi dodici regioni italiane ad avviare la raccolta firme per presentare e depositare una proposta di legge regionale, in modo da dotarsi in maniera autonoma di norme sul suicidio assistito.
La proposta di legge appena rinviata era stata sviluppata dall’associazione Luca Coscioni, che si occupa di libertà di ricerca scientifica e diritti civili. Prevede che possa ricorrere al suicidio assistito chi possiede i quattro requisiti stabiliti dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019: la persona che fa richiesta deve essere in grado di prendere decisioni libere e consapevoli, deve essere affetta da una patologia irreversibile e fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ritiene intollerabili, e infine deve essere «tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale». In quest’ultimo requisito vengono fatti rientrare per esempio un ventilatore o un respiratore meccanico, anche se un’importante sentenza del 2021 ha esteso questa definizione anche ad altri trattamenti sanitari, per esempio farmacologici, che se interrotti possono portare alla morte del paziente. Affinché la richiesta possa essere approvata, questi quattro requisiti devono essere presenti tutti insieme.
La proposta di legge su cui si è appena concluso il voto in Veneto prevede che i quattro requisiti e le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura sanitaria pubblica della regione, che entro 15 giorni dall’entrata in vigore della legge dovrebbe istituire una commissione medica multidisciplinare permanente in grado di gestire le richieste. La Commissione potrà poi essere volta per volta integrata a seconda delle necessità del singolo paziente. La legge prevede inoltre che il servizio sanitario regionale assista il paziente in ogni fase, fornendo gratuitamente il farmaco per il suicidio assistito, l’eventuale macchinario per assumerlo (quando serve) e l’assistenza medica necessaria. È un punto particolarmente rilevante: finora, senza una legge, solo una persona è riuscita ad ottenere l’assistenza completa del servizio sanitario nazionale.
Sui tempi la proposta di legge prevede che le richieste di accesso al suicidio assistito siano valutate entro 20 giorni da quando vengono presentate: finora ci sono voluti anche due anni, spesso al termine di vicende legali intricate, nate da rifiuti o ritardi delle aziende sanitarie locali nel valutare le condizioni del paziente. I ritardi sistematici in quest’ambito sono stati spesso giustificati proprio dalla mancanza di una legge. La proposta veneta prevede poi che entro cinque giorni la relazione della Commissione venga inviata a un Comitato etico territoriale, che a sua volta entro altri cinque giorni deve inviare il proprio parere. Anche il parere del Comitato etico territoriale è uno dei requisiti previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale del 2019.
Se si riceve un parere positivo, il ricorso al suicidio assistito potrà ovviamente essere rinviato dal paziente a seconda della sua volontà, come già successo nel caso di Stefano Gheller: un uomo di 49 anni affetto dalla nascita da una forma grave di distrofia muscolare, che proprio in Veneto aveva ottenuto l’autorizzazione al suicidio assistito e che nonostante questo aveva poi deciso di aspettare e di poter eventualmente ricorrere alla morte assistita più avanti, quando riterrà le proprie condizioni non più sopportabili.
– Leggi anche: La disobbedienza civile sul suicidio assistito
In Veneto il voto è stato fin da subito combattuto. Nel corso delle audizioni in Commissione erano state invitate a discutere la proposta diverse organizzazioni tradizionalmente contrarie a questo diritto, come l’associazione Family Day, l’associazione Scienza & Vita e il Movimento per la Vita, tra le altre.
In Veneto il voto sulla proposta di legge regionale è stato discusso anche come una misurazione del consenso di cui gode il presidente del Veneto, Luca Zaia, all’interno del Consiglio regionale. Zaia è della Lega, che come altri partiti di destra in questi anni ha mantenuto una linea generalmente contraria a proposte come quella del Veneto sul suicidio assistito (e infatti in altre regioni amministrate dalla Lega, come la Lombardia, sul tema c’è un grosso ostruzionismo del governo regionale): negli ultimi tempi però il presidente del Veneto su certi temi ha avuto un approccio più moderato, a volte progressista rispetto alla linea nazionale della Lega, di stampo molto conservatore ed esplicitamente di destra. Zaia aveva detto che una legge sul fine vita è «un fatto di civiltà», tra le altre cose.
– Leggi anche: Il Veneto, l’Italia e Luca Zaia in mezzo
Il Veneto è stata la seconda regione italiana a depositare la proposta di legge sul fine vita, lo scorso giugno, dopo aver raccolto circa 9mila firme (su 7mila firme necessarie per procedere al deposito). La prima regione era stata l’Abruzzo, in cui però non è ancora iniziata la discussione in Consiglio regionale. Le raccolte firme che hanno portato al deposito della legge sono state organizzate da circa 1.700 volontari dell’associazione Luca Coscioni, riuniti in decine di città italiane nelle cosiddette “cellule”, che si sono mobilitati per organizzare la raccolta e l’autenticazione di tutte le firme.
Secondo i dati dell’associazione Luca Coscioni, nel 2023 in Veneto sono state fatte sei richieste di suicidio assistito. Di queste due sono state accolte: quella di Gheller e quella di Gloria (nome di fantasia), in cui tra l’altro l’azienda sanitaria locale aveva riconosciuto come “trattamenti di sostegno vitale” i «farmaci antitumorali mirati» che assumeva, e senza i quali sarebbe morta.
– Leggi anche: Perché il caso della morte assistita di Gloria è importante