La crisi nel mar Rosso coinvolgerà anche i combustibili fossili?
Dopo la risposta guidata dagli Stati Uniti potrebbero esserci problemi nel commercio di petrolio e gas verso l'Europa: il rischio è che aumenti di nuovo il costo dell'energia
Il passaggio delle merci tramite il mar Rosso è stato reso ancora più complicato di quanto non fosse diventato nelle scorse settimane, dopo che negli scorsi giorni una coalizione di paesi guidata dagli Stati Uniti ha bombardato diverse postazioni militari usate dai ribelli Houthi in Yemen. È una risposta agli attacchi che il gruppo armato sciita – che controlla metà del paese ed è sostenuto dall’Iran – aveva compiuto nelle ultime settimane contro le navi cargo in transito nella regione, per ritorsione contro l’invasione israeliana della Striscia di Gaza. Il rischio degli attacchi guidati dagli Stati Uniti è che, invece di risolvere i problemi del traffico di navi, potrebbero farli aumentare, se dovessero estendersi anche al commercio di materie prime come petrolio e gas naturale liquefatto.
Nonostante la rotta del mar Rosso sia tra le più importanti al mondo, finora le conseguenze di questi attacchi erano state notevoli, ma tutto sommato circoscritte: hanno reso più costosi e difficili i trasporti nella regione, ma ancora non ci sono stati effetti diretti sul prezzo e sulla disponibilità dei beni per i consumatori. Dagli attacchi degli Houthi peraltro non sono state interessate le petroliere, evitando per il momento problemi ai rifornimenti energetici. Con il coinvolgimento dei paesi occidentali e soprattutto degli Stati Uniti – il cui intervento doveva essere risolutivo ma che è stato seguito già lunedì da un altro attacco a una nave mercantile da parte degli Houthi – c’è però il rischio che la questione si allarghi e si prolunghi, con conseguenze economiche più dirompenti e dirette sull’economia globale.
Dal mar Rosso e dal canale di Suez passa la stragrande maggioranza delle merci spostate tra Europa e Asia e tra l’Asia e la costa orientale dell’America: ogni anno viaggiano su questa rotta il 30 per cento dei container e il 12 per cento delle merci globali, compreso l’8 per cento del grano, il 12 per cento del petrolio e l’8 per cento del gas naturale liquefatto trasportati via mare.
È proprio il commercio di combustibili fossili che potrebbe diventare problematico, se coinvolto nella crisi: dal canale di Suez nella prima metà del 2023 sono passati ogni giorno circa nove milioni di barili di petrolio, e quella rotta è fondamentale anche per il traffico del gas naturale liquefatto, trasportato in particolare da Qatar, Stati Uniti e Russia. Finora gli attacchi Houthi non hanno coinvolto le petroliere, ma se il traffico dei combustibili fossili dovesse complicarsi i paesi produttori della regione, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti al Qatar, potrebbero reagire in modi che farebbero aumentare le tensioni in Medio Oriente, che sono già a livelli altissimi.
Secondo i dati sul traffico marittimo analizzati da Bloomberg il Qatar avrebbe già sospeso l’invio di alcune petroliere che trasportano gas naturale liquefatto attraverso il mar Rosso, e almeno cinque navi gestite dal paese sono ferme da venerdì. La riluttanza del Qatar a usare la rotta è un segnale che il rischio percepito dagli operatori è aumentato a seguito degli attacchi guidati dagli Stati Uniti: le sue navi erano tra le poche rimaste a usare la rotta del mar Rosso nelle spedizioni di combustibili fossili verso l’Europa.
Il Qatar è il più grande fornitore europeo di gas naturale liquefatto, dopo gli Stati Uniti, e lo scorso anno ha rappresentato circa il 13 per cento del consumo dell’Europa occidentale. Se il commercio di materie prime dovesse avere delle interruzioni, è possibile che i prezzi di petrolio e gas tornino ad aumentare. Per il momento né il prezzo del gas né quello del petrolio hanno però avuto variazioni significative in tal senso. Questo perché, come scrive sul Sole 24 Ore Sissi Bellomo, giornalista esperta di materie prime, per ora le forniture di energia non sono davvero a rischio: l’offerta di petrolio è ancora sostenuta e le scorte di gas dei paesi europei sono sufficienti per far fronte alla domanda di energia della stagione fredda.
Se però le condizioni dovessero cambiare e il costo dell’energia tornasse ad aumentare, ci sarebbe ovviamente un impatto sull’economia: quando era salito due anni fa a causa della guerra in Ucraina aveva fatto aumentare notevolmente il costo generale della vita. Da allora il calo dei costi energetici è stato un fattore essenziale per il calo dell’inflazione, ma questa tendenza potrebbe interrompersi in caso di una nuova crisi energetica. L’economista Tomasz Wieladek ha detto al Financial Times che secondo le sue stime un aumento del 10 per cento del prezzo del petrolio potrebbe tradursi in un aumento dell’inflazione europea dello 0,4 per cento entro un anno.
La crisi dei commerci tramite il mar Rosso potrebbe avere conseguenze anche sui costi di spedizione, in notevole aumento nelle ultime settimane.
Da quando gli Houthi hanno iniziato ad attaccare sistematicamente alcune navi cargo che percorrevano il mar Rosso il traffico di navi è drasticamente diminuito. Secondo il Kiel Institute for the World Economy, un importante centro di ricerca tedesco di economia internazionale, i flussi di container nella rotta del mar Rosso a dicembre sono stati meno della metà di quanto si registra di solito. A gennaio sono addirittura scesi sotto il 70 per cento dei volumi consueti in questo periodo.
Sembra dunque che molte aziende abbiano deciso di cambiare rotta per non esporsi al rischio di attacchi. Le navi che devono spostarsi tra il mar Mediterraneo e l’oceano Indiano non passano più davanti allo Yemen e dallo stretto Bab el Mandeb per risalire dal mar Rosso verso il canale di Suez, ma circumnavigano l’Africa: fanno il giro dal capo di Buona Speranza, risalgono l’Africa ed entrano nel Mediterraneo dallo stretto di Gibilterra. La rotta è più lunga di diverse migliaia di chilometri e, a seconda del tipo di mercantile, richiede fino a due settimane in più di viaggio.
Circumnavigare l’Africa comporta evidentemente un aumento dei costi, tra gli altri per il carburante e il personale, oltre a richiedere fino a due settimane in più per arrivare alle medesime destinazioni, con tutte le conseguenze per quanto riguarda ritardi, riorganizzazione delle spedizioni e disponibilità delle navi. In generale le tariffe di trasporto per un container standard trasportato dalla Cina al Nord Europa sono aumentate di circa 1.500 dollari di novembre a più di 4.000 dollari.
Le tariffe sono comunque ancora molto al di sotto dei picchi raggiunti durante la pandemia, quando i trasporti arrivarono a costare anche 14.000 dollari per tratta e il blocco dei porti causò una crisi dei commerci internazionali che ha avuto conseguenze pesantissime per l’economia, causando carenze di beni e ritardi nelle produzioni, con un generale aumento dei prezzi per i consumatori.
A differenza di allora l’intoppo nei commerci riguarda solo una rotta, e quindi un volume limitato di merci: come ha detto al Financial Times Julian Hinz, direttore del Centro di ricerca sulle politiche commerciali dell’Istituto di Kiel, finora non ci sono state conseguenze evidenti sui prezzi al consumo perché le aziende sono state capaci di riadattare le loro produzioni e le loro consegne, ma non è detto che riescano a farlo anche nel medio termine. Per esempio, Tesla ha già annunciato di avere fermato la produzione in alcuni stabilimenti tedeschi per la mancanza di alcuni componenti bloccati dalla crisi nel mar Rosso.
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