È difficile ripetere “Mean Girls”
Vent'anni dopo è uscito un musical che riprende la celebre commedia adolescenziale con Lindsay Lohan, uno dei film più citati di quegli anni
Da qualche giorno è uscito al cinema Mean Girls, adattamento cinematografico di un musical del 2018 che era a sua volta un adattamento di Mean Girls, celebre film del 2004 che fu tra le commedie di maggiore culto per chi è stato adolescente negli anni Duemila. Del nuovo film, diretto da Samantha Jayne e Arturo Perez Jr. e scritto dalla stessa Tina Fey che aveva creato anche l’originale, si sta parlando abbastanza bene. Gran parte della critica, però, concorda su una cosa: non è nemmeno lontanamente sagace come l’originale, che per moltissimi spettatori è rimasto indimenticabile per via delle sue battute provocatorie, capaci sia di raccontare i drammi tipici dell’adolescenza, sia di ridicolizzarli e inquadrarli nelle loro giuste e trascurabili dimensioni.
Tina Fey, che oggi è conosciuta anche come ideatrice e attrice di sitcom di successo come 30 Rock e Unbreakable Kimmy Schmidt, scrisse Mean Girls mentre lavorava come autrice per il Saturday Night Live, il più famoso programma comico televisivo americano. Fey ha raccontato di avere avuto l’idea per la storia mentre stava leggendo un libro di auto-aiuto intitolato Queen Bees and Wannabes, scritto da Rosalind Wiseman per aiutare i genitori di figlie adolescenti a discutere con loro le difficoltà degli anni delle scuole superiori, tra insicurezze, bullismo, pettegolezzi e formazione di circoli sociali spesso escludenti.
Si rese conto che sarebbe potuto diventare un film molto divertente sulla cosiddetta “aggressività relazionale” tra ragazze, cioè quell’insieme di comportamenti cattivi (mean, per l’appunto) e competitivi che si possono instaurare tra ragazze nelle scuole medie e superiori. Ne discusse con lo storico produttore del Saturday Night Live Lorne Michaels, che le rispose: «ok, ma possiamo comunque metterci dentro belle macchine e bei vestiti?».
Ne uscì un film ispirato in parte al libro di Wiseman, in parte all’adolescenza di Fey, e narrato dal punto di vista di Cady Heron, una sedicenne tornata a vivere nella cittadina di Evanston, in Illinois, dopo aver trascorso tutta la sua vita in Africa per il lavoro dei genitori, ricercatori universitari che si occupano di zoologia. Heron, totalmente all’oscuro del funzionamento delle gerarchie sociali all’interno della scuola e per nulla preparata dai suoi genitori a quello che l’aspetta, arriva alla North Shore High e fatica a fare amicizia, fino a quando non viene presa in simpatia da due coetanei, Janis e Damian, che sono tra le persone meno popolari della scuola ma molto bravi a spiegarne le meccaniche sociali.
Cady era interpretata da Linsday Lohan, all’epoca già molto nota per i suoi ruoli da protagonista in vari film adolescenziali di grande successo, come Genitori in trappola e Quel pazzo venerdì, ma che proprio grazie a Mean Girls raggiunse una fama enorme, a soli 18 anni. Nel film scopre quindi dell’esistenza delle “Barbie”, un gruppo di ragazze popolarissime guidate da Regina George, la ”ape regina”: una ragazza che il resto della scuola teme e invidia, molto bella e ricca ma crudele (o, come dice Damian, «divina ma maligna»).
Cady attira l’attenzione di Regina, interpretata da Rachel McAdams, allora relativamente sconosciuta, e delle altre Barbie: Karen (Amanda Seyfried nel suo primo ruolo in un film) e Gretchen (Lacey Chabert), e comincia a frequentarle. Nel farlo viene istigata da Janis, che ha un conto in sospeso con Regina perché ha fatto circolare una voce sul fatto che fosse lesbica, rovinando così la sua reputazione e la loro amicizia. Nel frattempo sviluppa anche una cotta per Aaron Samuels, ex di Regina, che le promette di aiutarla a mettersi con lui per poi tradirla e tornarci insieme. Cady e Janice escogitano quindi un piano per sabotare Regina, che porta Cady a diventare presto la ragazza più popolare della scuola, ma anche a cambiare personalità, diventando arrogante e crudele quanto Regina.
Dopo varie vicissitudini esagerate e un po’ assurde, Cady impara che «dire che uno è grasso non ti fa dimagrire, dire che uno è scemo non ti rende più intelligente, e rovinare la vita di Regina George non mi aveva certo resa più felice».
Il film fu un immediato successo e contribuì a rendere molto più famose Lindsay Lohan e Rachel McAdams, ma soprattutto rimase impresso nella memoria di moltissime persone. Nei vent’anni seguenti diverse citazioni del film – da «You can’t sit with us» a «On Wednesdays, we wear pink» – divennero iconiche ed entrarono nel vocabolario collettivo statunitense ma non solo. Tantissime linee di prodotti, canzoni, film e pubblicità negli ultimi vent’anni hanno preso diretta ispirazione dal film. Ogni anno, il 3 ottobre un bel po’ di persone condividono ancora meme o screenshot di una scena del film in cui Cady parla per la prima volta ad Aaron per chiedergli che giorno sia, e lui le risponde «è il 3 ottobre».
Il film – definito tra le altre cose «una delle uniche cose dei primi anni Duemila di cui dovremmo essere nostalgici» dalla rivista di cultura pop /Film – ebbe probabilmente tutto questo successo non solo per via della sua scrittura particolarmente brillante, ma anche perché riuscì con particolare efficacia a parlare sia agli adolescenti sia agli adulti.
Ai primi cercò di insegnare l’importanza di rimanere sé stessi e di essere persone gentili e amichevoli con il prossimo, senza per questo risultare un film stucchevole o moralista. I secondi ci videro una satira sull’assurdità di dare così tanta importanza alle gerarchie sociali negli anni del liceo, finendo per ridere dei propri sé più giovani. Fey stessa ha detto che crede che il segreto della longevità di Mean Girls stia nella sua universalità. «È come una piccola rete che attira le ragazze che stanno passando dall’età prepuberale ai primi anni del liceo. Mi succede spesso che le ragazzine vengano a dirmi che il film le ha aiutate a tollerare anni terribili», ha raccontato.
«Il film gioca con quella sensazione che tutti hanno provato a scuola: essere fighi o volerlo essere. Ma subito dopo aver finito la scuola ti rendi conto che tutti erano sfigati allo stesso modo. Non fa alcuna differenza che tu fossi popolare o meno: i liceali sono forse il gruppo demografico più sfigato di tutti», ha scritto sul Guardian il critico Sam Wolfson.
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