Da dove viene questa idea della “doggy bag”
L'usanza di portarsi a casa gli avanzi dal ristorante è diffusa in alcuni paesi ma molto poco in Italia, dove si comincia a pensare di introdurla per legge
Mercoledì il deputato di Forza Italia Giandiego Gatta ha presentato un disegno di legge che prevede di introdurre l’obbligo di fornire ai clienti dei ristoranti la cosiddetta “doggy bag” (traducibile con qualche approssimazione come “borsetta per il cane”), ossia un contenitore usa e getta in cui mettere gli avanzi del cibo che non è stato consumato per portarlo a casa. A dicembre una proposta di legge analoga era stata presentata in Senato dalla parlamentare leghista Mara Bizzotto. Tra le altre cose, la proposta presentata da Bizzotto prevede che i ristoratori debbano esporre un logo all’esterno dei loro locali per informare la clientela della possibilità di portare a casa gli avanzi. In entrambi i casi l’obiettivo della proposta è «contribuire a contrastare lo spreco alimentare».
L’abitudine di chiedere un contenitore in cui conservare gli avanzi dei pasti al ristorante è poco diffusa in Italia ma sdoganata in diversi paesi, in particolare negli Stati Uniti, dove si fa da più di ottant’anni. In un articolo pubblicato su Smithsonian Magazine, la rivista culturale pubblicata dalla Smithsonian Institution, un’organizzazione di ricerca finanziata dal governo statunitense, Jesse Rhodes ha scritto che questa usanza ha avuto origine negli anni Quaranta, quando il cibo a disposizione scarseggiava e i contadini iniziarono a conservare gli avanzi per nutrire il bestiame.
Nel 1943 a San Francisco, in California, alcuni ristoratori iniziarono a fornire ai clienti su richiesta i cosiddetti “pet pakit”, “pacchetti per animali domestici”: dei contenitori di cartone in cui conservare il cibo che non erano riusciti a consumare per darlo a cani e gatti. L’iniziativa era stata intrapresa dalla San Francisco Restaurant Association, la principale associazione di ristoratori della città, per invogliare le persone a portare gli avanzi della cena ai loro cani. Nello stesso periodo a Seattle iniziarono a diffondersi i “Bones for Bowser”, dei sacchetti in cui venivano inserite le ossa scartate da dare ai cani.
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Negli anni questa consuetudine è stata integrata in tutti i ristoranti, che nel frattempo hanno iniziato a creare delle confezioni sempre più fantasiose e gradevoli alla vista, realizzando “doggy bag” a forma di cigno o cavalluccio marino, per esempio. Inizialmente le “doggy bag” venivano utilizzate soltanto per conservare il cibo, ma alcuni ristoranti hanno iniziato a fornire anche dei contenitori adatti per le bevande, e in particolare per le bottiglie di vino non terminate durante i pasti. Secondo Shaun Hergatt, chef australiano che gestisce il ristorante Vestry di New York, le “doggy bag” sono un’usanza diffusa principalmente negli Stati Uniti, dove «molti ristoranti sono piuttosto generosi con le porzioni e a volte non riesci proprio a finire tutto quello che c’è nel piatto».
Negli ultimi anni in Europa diversi paesi hanno adottato delle leggi per rendere obbligatorie le “doggy bag” nei ristoranti. Questo perché vengono considerate utili per tutelare i consumatori (che pagano per quello che ordinano e dovrebbero avere il diritto di portarselo via) e limitare il più possibile gli sprechi alimentari. Nel 2022 in Spagna è entrata in vigore una legge che obbliga i ristoratori a fornire le doggy bag ai clienti che ne facciano richiesta e a informarli di questa possibilità prima dell’inizio del servizio.
In Francia la legge che obbliga a fornire le “doggy bag” è entrata in vigore nel 2021, e da allora è stata criticata da molti ristoratori, che la considerano poco igienica e non incline alla loro cultura. «Negli Stati Uniti, in Asia o anche in Medio Oriente, le porzioni sono molto abbondanti, mentre in Francia i piatti sono generalmente più modesti. Inoltre, in molte famiglie si insegna ai bambini molto presto a finire tutto ciò che c’è nel piatto», aveva detto a Le Figaro Denis Courtiade, direttore di sala del ristorante Plaza Athénée di Parigi.
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In Italia l’abitudine di portare gli avanzi a casa è scarsamente diffusa. Nel 2019 YouGov, una società internazionale che si occupa di ricerche di mercato, aveva svolto un’indagine relativa alla diffusione delle “doggy bag” in Italia, stimando che meno di un italiano su due fosse favorevole alla loro utilizzo. In particolare, era emerso che il 43 per cento delle persone evitava di chiederle perché abituato a consumare cibo e bevande per intero, e di conseguenza riteneva di non averne bisogno. Tuttavia, c’erano altri motivi che spingevano le persone a evitare di portare a casa gli avanzi, e in particolare uno: la vergogna. Il 21 per cento delle persone che YouGov aveva intervistato per realizzare lo studio era abbastanza riluttante all’idea di portare a casa gli avanzi: temeva che questa richiesta potesse essere considerata maleducata, o indice di taccagneria, e di conseguenza preferiva evitare.
Tuttavia, negli ultimi anni l’avversione degli italiani nei confronti delle “doggy bag” è diminuita: secondo un’analisi svolta da Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) per conto di Coldiretti (la principale organizzazione italiana degli imprenditori agricoli) pubblicata a gennaio, dopo la presentazione del disegno di legge di Bizzotto, attualmente quasi un italiano su due (il 49 per cento) è favorevole al loro utilizzo.
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Anche i ristoratori italiani hanno poca familiarità con le “doggy bag”: nella maggior parte dei casi sono favorevoli al loro utilizzo, ma non a renderlo obbligatorio per legge. Michele Casadei Massari, titolare del ristorante italiano Lucciola, a New York, ha detto che questa pratica limita l’esperienza dei clienti, che idealmente dovrebbe iniziare e concludersi in sala. Per evitare sprechi alimentari, Massari ha adottato altre accortezze. Ad esempio, incoraggia i clienti a non strafare con le ordinazioni, in maniera tale da essere sicuri da finire tutto il cibo che sarà servito.
Andrea Alfieri, chef del ristorante Magna Pars di Milano, ha affermato di vedere positivamente l’utilizzo della “doggy bag”, ma di essere contrario alla loro obbligatorietà. «Non ho mai avuto nessun pregiudizio in merito, trovo assolutamente una cosa normale poter chiedere ciò che non si mangia e che noi diamo in contenitori in materiale compostabile. Ma l’obbligo no», ha detto in un’intervista a Repubblica.
Ha espresso un giudizio simile anche Alessandro Gilmozzi, chef del ristorante El Molin di Cavalese, in Trentino: «Non riesco a capire che senso abbia questa proposta di legge, quale sia lo scopo. Già si fa da anni, è nella sensibilità del ristoratore combattere lo spreco. Da noi può accadere che portino via il pane che mettiamo in sacchetti di carta biodegradabile. È raro che chiedano di portarsi a casa dell’altro: mangiano tutto». Secondo Luca Marchini, chef del ristorante stellato L’Erba del Re a Modena, l’obbligatorietà delle “doggy bag” finirebbe per andare contro agli interessi dei consumatori, perché il costo aggiuntivo che verrebbe richiesto ai ristoratori per l’acquisto dei contenitori «ricadrebbe sullo stesso cliente in modo evidente con l’aumento del prezzo del piatto».
Durante la presentazione del disegno di legge Gatta ha citato i dati diffusi dalla Fondazione Barilla, secondo cui ogni italiano spreca in media 65 chili di cibo ogni anno. Secondo Waste Watcher, un osservatorio sullo spreco alimentare nel mondo, in Italia nel 2022 erano stati buttati poco più di 4,2 milioni di tonnellate di cibo, per un valore economico di 9,3 miliardi di euro.