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  • Lunedì 15 gennaio 2024

Calvin Klein e il “doppio standard” per gli uomini e le donne che si spogliano

Due recenti pubblicità e il modo diverso in cui sono state accolte hanno riaperto una questione complicata

Lo spot del marchio di abbigliamento intimo Calvin Klein con l’attore Jeremy Allen White uscito una decina di giorni fa e diventato rapidamente virale online è stato un caso di campagna pubblicitaria di enorme successo. White è uno degli attori più in vista del momento – vincitore, appena pochi giorni dopo l’uscita del video, del premio come miglior attore ai Golden Globe per il suo ruolo nella serie tv The Bear – e ha un fisico sufficientemente scolpito da poter fare il modello di intimo con un risultato molto più che convincente.

Il video è piuttosto esplicito nel fare leva sulla quasi nudità di White, ed è stato apprezzato soprattutto per questo: lo si vede salire al rallentatore sul tetto di un palazzo di New York mentre si spoglia fino a rimanere in mutande, fare delle trazioni e stiracchiarsi al sole. Oltre a circolare moltissimo e rapidamente, ha stimolato commenti, battute e meme: ai Golden Globe una youtuber ha avvicinato White per ringraziarlo «a nome di tutte le donne di internet», mettendolo visibilmente in imbarazzo.

Quasi nessuno però ha sollevato il dubbio che la componente sessuale della campagna potesse essere in qualche modo problematica. Almeno finché, pochi giorni dopo, Calvin Klein non ha fatto parlare di sé per un’altra pubblicità in cui a essere svestita è una donna, la cantante britannica FKA Twigs. La campagna è stata ritirata nel Regno Unito perché accusata di sessualizzare il suo corpo, e la notizia ha sollevato un dibattito su come, anche con le maggiori sensibilità che si sono diffuse negli ultimi anni – e forse anche per queste – le immagini dei corpi femminili e di quelli maschili continuino a essere interpretate in modo diverso.

La pubblicità di Calvin Klein con FKA Twigs era uscita diversi mesi fa senza riscuotere particolare attenzione. Ritrae la cantante con una camicia sopra al corpo nudo, di cui si vede il profilo del sedere e il lato di una tetta. Pochi giorni fa l’Advertising Standards Authority (ASA), l’organizzazione di autoregolamentazione dell’industria pubblicitaria del Regno Unito, ha fatto ritirare la campagna con la motivazione che «orienta l’attenzione di chi guarda sul corpo della modella anziché sul capo d’abbigliamento pubblicizzato» e che «la presenta come un oggetto sessuale stereotipato».

Sia il marchio, che ha plausibilmente speso molti soldi per la campagna, sia la cantante hanno criticato pubblicamente la decisione dell’ASA: FKA Twigs ha scritto sui suoi canali social che «alla luce di altre campagne passate e attuali di questo tipo, non posso fare a meno di pensare che ci sia un doppio standard».

 

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L’espressione “doppio standard” viene spesso usata per descrivere quei casi piuttosto ricorrenti in cui lo stesso comportamento viene decifrato e giudicato in maniera diversa quando a esercitarlo è un uomo o una donna. In questo caso in particolare il doppio standard a cui si riferisce FKA Twigs è piuttosto lampante per via del paragone con lo spot con Jeremy Allen White, che è stato fatto dalla stessa azienda di moda ed è uscito proprio pochi giorni prima della notizia del ritiro della campagna da parte dell’ASA.

Sebbene la cantante appaia senza biancheria intima, infatti, le immagini di White sono probabilmente molto più esplicite nel proporre un immaginario con forti allusioni sessuali. È difficile, insomma, negare che anche lo spot con White orienti «l’attenzione di chi guarda sul corpo del modello anziché sul capo d’abbigliamento pubblicizzato» e che «lo presenti come un oggetto sessuale stereotipato». Nonostante questo però, e nonostante lo spot con White sia circolato molto di più della foto di FKA Twigs, l’ASA non è intervenuta.

L’ASA ha fatto sapere che la decisione di far ritirare la pubblicità con FKA Twigs è arrivata dopo un’indagine scaturita dai reclami di due persone, e che altre due persone avevano sollevato la stessa obiezione per un’altra campagna di Calvin Klein con la modella Kendall Jenner. In questo secondo caso però l’ASA aveva ritenuto che Jenner non fosse stata ritratta «come un oggetto sessuale» e che non fosse più nuda di quanto ci si potrebbe aspettare dalla pubblicità di un marchio di abbigliamento intimo. L’ASA ha inoltre rivelato di aver ricevuto dei reclami anche per lo spot pubblicitario con White, ma che quella pubblicità non è al momento oggetto di indagine.

 

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Calvin Klein ha sempre fatto parlare di sé con le sue pubblicità sensuali e provocatorie fatte di corpi seminudi – muscolosi ma anche emaciati, come nelle foto cosiddette “heroin-chic” – e spesso accusate di sfiorare la pornografia e la pedopornografia per la giovane età delle modelle. Contribuì a rendere “icone sexy” celebrità come Brooke Shields negli anni Ottanta (non senza polemiche, visto che aveva 15 anni), Kate Moss e Mark Wahlberg negli anni Novanta, Eva Mendes nel 2008 e Justin Bieber nel 2015, solo per citarne alcuni.

– Leggi anche: Le pubblicità di Calvin Klein, leggendarie e controverse

Ma negli ultimi anni le campagne pubblicitarie hanno cominciato a ricevere maggiori attenzioni rispetto al modo con cui usano e rappresentano i corpi femminili, dopo che la diffusione di maggiori sensibilità sul tema ha fatto emergere quanto sia diffusa e radicata la tendenza a usare nudi e pose sensuali col solo fine di attrarre l’attenzione del pubblico. E con l’effetto di alimentare stereotipi dannosi e una cultura che oggettifica e sessualizza le donne a prescindere dal contesto in cui si trovano.

La questione però è parecchio complessa, e si accompagna a un altro discorso molto attuale che riguarda invece il diritto delle donne di mostrare e usare il proprio corpo liberamente, senza che questo ne danneggi la reputazione o la credibilità. Per gli uomini invece questo discorso vale in misura estremamente minore, visto che la tendenza a oggettificarli e sessualizzarli è stata molto meno insistente nella pubblicità e nei prodotti culturali fino a qui, e non si è tradotta in una cultura sessista diffusa come è sempre stato per le donne.

Non è raro quindi che il tentativo di aziende, enti regolatori e commentatori di tenere insieme tutti questi discorsi si risolva in dibattiti o provvedimenti che appaiono (come in questo caso) eccessivamente bacchettoni e anacronistici, oltre che comunque discriminanti.

Un esempio è quello dell’azienda di intimo femminile Victoria’s Secret, che negli ultimi anni ha provato a cambiare drasticamente la sua comunicazione, da sempre molto incentrata sulla sensualità e sulle forme delle sue modelle (i cosiddetti “angeli”), per poi decidere che fosse invece accettabile così com’era. Sullo sfondo di questi ragionamenti c’è la consapevolezza che le campagne pubblicitarie sono diventate sempre più simili ad altri prodotti culturali per la loro capacità di far parlare di sé, suscitare dibattiti e portare novità, col risultato che non è raro che alcuni marchi finiscano al centro di grosse polemiche per uno spot o una foto. È successo per esempio di recente con Balenciaga e con Zara.

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In questo caso però non sembra che Calvin Klein ne sia uscito danneggiato, e anzi il post di FKA Twigs che difende il proprio diritto di apparire nuda potrebbe aver procurato visibilità positiva a una campagna che era finora passata perlopiù inosservata. La cantante ha detto di «non vedere l’“oggetto stereotipato” con cui è stata etichettata» e ha ringraziato Calvin Klein e i due fotografi, la coppia creativa Mert & Marcus, per averle dato lo spazio di esprimersi «proprio come voleva».