Gli evangelici statunitensi sono sempre più simili a Trump
Sono cambiati negli ultimi anni: si sentono anche loro «sotto attacco» e vedono le elezioni come una battaglia per la sopravvivenza «fra il bene il male»
Negli ultimi quarant’anni, dall’elezione di Ronald Reagan in poi, le Chiese cristiano evangeliche statunitensi hanno sempre sostenuto i candidati e i presidenti Repubblicani. Hanno contribuito a consolidare nel partito le istanze più conservatrici riguardo ai temi etici e relativi ai diritti civili e hanno mobilitato attraverso le chiese e i pastori un numero importante di voti.
Hanno continuato a sostenere i Repubblicani anche nel 2016, quando Donald Trump vinse le primarie e poi divenne presidente, nonostante fosse un politico pluridivorziato magnate dei casinò che aveva mostrato fino a quel momento poca o nessuna attenzione alla religione. Allora il sostegno delle Chiese evangeliche era per lo più strumentale e finalizzato a portare avanti battaglie identitarie, come la soppressione del diritto all’aborto.
Oggi, otto anni dopo e a pochi giorni dall’inizio delle primarie Repubblicane, Trump è con ampio margine il candidato preferito dall’elettorato che si riconosce come evangelico e analisti ed esperti di movimenti religiosi evidenziano come non ci sia mai stata una convergenza così compatta e convinta su un candidato. A cambiare è stato però anche lo stesso movimento evangelico, che ha modificato abitudini, priorità e approccio alla fede: oggi essere evangelici è spesso più una scelta politica che religiosa.
L’evangelicalismo non prevede autorità religiose o la necessità di chiese consacrate: è un movimento teologico all’interno del protestantesimo (ampiamente maggioritario negli Stati Uniti) che si concentra sulla lettura della Bibbia, che non deve essere interpretata, ma considerata come “parola di Dio” e per questo insindacabile. Rifiuta ogni sovrastruttura teologica e contempla anche atteggiamenti aggressivi e verbalmente violenti nei confronti di chi è visto come un oppositore. A livello politico, molte delle Chiese evangeliche si concentrano sull’opposizione al diritto all’aborto, ai movimenti LGBT+, al femminismo e genericamente alla droga, criminalizzata in ogni sua forma e in ogni genere di consumo.
Creare una chiesa o un gruppo di preghiera è semplice perché possono bastare una sala con alcune sedie di plastica e un microfono: ogni fedele con carisma e volontà può diventare pastore.
Da alcuni anni, però, all’interno di un più generale allontanamento degli statunitensi dalle Chiese tradizionali, anche le comunità evangeliche stanno perdendo fedeli. Nel 2021 per la prima volta nella storia meno del 50 per cento degli americani si definiva “membro di una chiesa”. Nel 2006 i cristiani evangelici bianchi rappresentavano il 23 per cento della popolazione: oggi sono il 14 per cento. Il calo è ancora più visibile se si considera l’effettiva partecipazione alle funzioni: nel 2008 metà dei Repubblicani evangelici diceva di frequentare la propria chiesa almeno una volta al mese: ora la metà dice di farlo una volta l’anno. Il calo è visibile e confermato dalle stesse chiese, che in alcuni casi hanno spostato le proprie sedi in edifici più piccoli.
Chi si è allontanato dalle funzioni e dalla partecipazione attiva lo ha fatto per vari motivi: per esempio gli anni della pandemia hanno creato una certa disabitudine ad andare in chiesa, mentre sono emerse alternative online su Facebook e YouTube. Ma per molte persone abbandonare la Chiesa non ha significato abbandonare la religione in generale. Varie ricerche e studi raccontano di un nuovo tipo di evangelicalismo, basato su preghiere personali e fruizioni di contenuti online, come podcast, video su YouTube e pagine di gruppi religiosi.
Questo nuovo approccio è caratterizzato da una maggiore focalizzazione sull’identità culturale e politica: i nuovi evangelici abbracciano prima di tutto una visione del mondo che li vede come rappresentanti del bene messi in pericolo dal “male”. Il male viene identificato nell’evoluzione dei costumi in senso liberale, nelle strutture dello stato viste come “oppressive”, nella presunta attività persecutoria nei confronti della religione da parte dei Democratici.
Questa visione si sposa perfettamente con molte della teorie dell’estrema destra americana e con gran parte del messaggio politico di Trump, che si racconta come paladino perseguitato dei «veri valori americani», quelli che hanno «fatto grande» il paese. Anche lo stile di religiosità di Trump, definito come personale e autonomo, è vicino alla nuova concezione evangelica: nel 2020 Trump annunciò di non riconoscersi più come presbiteriano, ma come cristiano aconfessionale, una definizione spesso associata all’evangelicalismo. Nonostante le sue rare partecipazioni alle funzioni religiose, è percepito come un “uomo di fede” dalla gran parte dell’elettorato americano.
La sua retorica ricalca spesso le visioni più radicali e cospirative degli evangelici, che si definiscono sotto attacco dalle forze del “male”. Trump in un recente comizio ha accusato l’amministrazione Biden, ma anche «i comunisti, i marxisti e i fascisti» di perseguitare i cattolici, aggiungendo che «gli evangelici saranno i prossimi».
Il concetto di un’America sotto attacco da «forze interne alla nazione che la vogliono allontanare dai propri fondamenti biblici» non è nuovo: fu promosso negli anni Settanta e Ottanta da Moral Majority, un movimento della destra cristiana che contribuì a spingere vari movimenti protestanti verso posizioni sempre più vicine ai Repubblicani. Trump sta riproponendo la stessa idea, sfruttando anche l’opera e il sostegno di predicatori online, oggi forse più influenti dei pastori evangelici tradizionali.
Negli ultimi mesi anche Ron DeSantis ha provato a corteggiare l’elettorato evangelico. DeSantis è governatore della Florida e per un periodo era stato considerato il più temibile avversario di Trump come candidato Repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti (poi la sua candidatura ha cominciato a scricchiolare). DeSantis ha investito molto per ottenere l’appoggio degli evangelici in Iowa, il primo stato in cui ci saranno le primarie, forte anche delle sue battaglia antiabortiste e culturali: per esempio ha finanziato le più importanti Chiese evangeliche. Sembra comunque che i suoi sforzi non abbiano dato grossi risultati, almeno per ora: secondo i sondaggi, fra gli evangelici dell’Iowa DeSantis resta in svantaggio rispetto a Trump di una trentina di punti percentuali.