L’osservatorio sui vulcani di Napoli è nella zona a rischio eruzione e va spostato
Entro un anno il centro di ricerca deve trasferirsi in una nuova sede perché quella attuale si trova all'interno della cosiddetta zona rossa
L’istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l’INGV, ha pubblicato un avviso pubblico per cercare la nuova sede dell’osservatorio vesuviano, il più antico centro di ricerca del mondo dedicato ai vulcani: ha il compito di osservare costantemente l’attività del Vesuvio e dei Campi Flegrei, a Napoli. La sede attuale si trova nel quartiere di Fuorigrotta, per la precisione in via Diocleziano 328, da tempo inserita nella cosiddetta zona rossa, cioè un’area in cui il rischio di eruzioni è elevato. Nell’osservatorio vesuviano lavorano esperti di vulcani e sono installati diversi strumenti che ricevono segnali dai sensori posizionati nelle aree vulcaniche, e per questo va spostato.
Negli ultimi mesi sono state segnalate diverse scosse di terremoto nella zona dei Campi Flegrei, le più forti registrate negli ultimi 40 anni. I Campi Flegrei sono un’area vulcanica che comprende il quartiere di Bagnoli e i comuni di Pozzuoli, Bacoli, Monte di Procida, Quarto e Giugliano. Anche se i danni sono stati molto contenuti, le scosse hanno creato un certo allarme.
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I terremoti nella zona dei Campi Flegrei sono causati da un fenomeno chiamato bradisismo, che consiste nel sollevamento del suolo dovuto a gas e fluidi molto caldi. Negli ultimi cento anni ci sono stati tre periodi di sollevamento particolarmente intenso: tra il 1950 e il 1952, tra il 1969 e il 1972 e tra il 1982 e il 1984. In quest’ultimo periodo il suolo si sollevò di circa 3 metri, a cui seguì un periodo di relativa tranquillità interrotto nel 2005, anno in cui iniziò una nuova fase di sollevamento rimasto costante fino all’inizio del 2023. Gli abitanti sono abituati a convivere con questo fenomeno, tuttavia negli ultimi mesi l’aumento della frequenza e dell’intensità dei terremoti sta alimentando timori di una possibile eruzione.
Secondo i dati dell’osservatorio vesuviano, negli ultimi mesi il sollevamento è stato di 15 millimetri al mese e gli strumenti hanno rilevato un aumento delle scosse di terremoto: sono state oltre 1.500. Al momento il livello di allerta dei Campi Flegrei stabilito dalla Protezione civile è giallo a causa dei terremoti. I livelli di allerta vengono aggiornati ogni mese e sono quattro: verde, il meno rischioso, giallo, arancione e rosso.
Lo scorso ottobre, dopo molte sollecitazioni dei sindaci della zona, il governo ha stanziato 52 milioni di euro per ripensare il piano di emergenza ed evacuazione. L’osservatorio vesuviano ha un ruolo molto importante in questo piano perché è una sorta di centro di controllo a cui arrivano i segnali di allerta che possono far entrare il piano di evacuazione nella fase operativa.
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Il piano è complesso perché comporta lo spostamento di centinaia di migliaia di persone in poche ore. Nel piano l’area dei Campi Flegrei è divisa in due zone: la zona rossa, dove abitano circa 500mila persone, comprende Bacoli, Pozzuoli, Monte di Procida e Quarto, parte di Giugliano e Marano e alcune aree di Napoli come Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Posillipo e parte di Vomero, Chiaiano, Arenella e San Ferdinando. È la più esposta al rischio di colate piroclastiche, formate cioè da rocce e ceneri. La zona gialla, l’area esterna alla zona rossa dove potrebbero cadere ceneri vulcaniche, è abitata da circa 800mila persone e comprende i comuni di Villaricca, Calvizzano, Marano, Mugnano, Melito e Casavatore, oltre a 24 quartieri di Napoli.
L’allontanamento della popolazione dalla zona rossa inizia con una fase di allarme dichiarata sulla base dei dati dell’INGV e della valutazione della commissione grandi rischi, di cui fanno parte molti esperti dell’osservatorio vesuviano. La Protezione civile stima che il tempo complessivo per portare a termine l’evacuazione è di 72 ore: le prime 24 per permettere alle persone di prepararsi, le successive 48 per la partenza da tutti i comuni della zona rossa. La partenza è la fase più delicata per via del rischio di ingorghi che potrebbero rallentare le operazioni e diffondere il panico.
Grazie ai fondi messi a disposizione dal governo, negli ultimi mesi è iniziato lo studio del nuovo piano di evacuazione che dovrebbe essere pronto entro la fine di gennaio.
La prima sede dell’osservatorio vesuviano fu costruita nel 1841 sul Vesuvio, sul Colle del Salvatore, tra Ercolano e Torre del Greco, a 608 metri di quota. All’inizio degli anni Duemila venne spostata in via Diocleziano, nel quartiere di Fuorigrotta, in una zona considerata più sicura rispetto al Vesuvio. Nel 2018 l’allora presidente dell’INGV Carlo Doglioni disse che sarebbe stato necessario un nuovo trasloco per spostare l’osservatorio dalla zona rossa perché in caso di eruzione della caldera l’osservatorio «non sarebbe al sicuro». Il problema è che a Napoli la zona rossa è talmente vasta «che è difficile trovare un luogo che in caso di eruzione dei Campi Flegrei non subirebbe ripercussioni», disse Doglioni.
Un altro problema sono i soldi dell’affitto, circa un milione e 250mila euro l’anno, che invece potrebbero essere spesi per la ricerca. Gli spazi attuali, inoltre, non sono adeguati alla strumentazione installata all’osservatorio vesuviano: servirebbero più laboratori, uffici e sale per organizzare le attività di ricerca. Per tutti questi motivi il direttore Mauro Di Vito ha firmato il bando “con carattere d’urgenza” per individuare e acquistare la nuova sede entro i prossimi 12 mesi. «Non c’è alcuna relazione con l’attuale fase del bradisismo e con il livello giallo», ha detto il direttore. «Sono almeno vent’anni che si discute della opportunità di trovare una sede definitiva all’osservatorio vesuviano, dal momento che in quella attuale dobbiamo pagare un affitto. È evidente che la scelta dovrà cadere su un edificio in una zona lontana dal rischio vulcanico, perché nel corso dei decenni o dei secoli dovremmo avere una struttura efficiente anche se si passasse da un livello all’altro di sorveglianza».
L’osservatorio vesuviano cerca un edificio tra 1.500 e 2.000 metri quadrati per uffici e studi, più altri 1.000 per i laboratori, 1.000 per gli archivi, 100 per le aree ristoro, 400 per le sale riunioni, 100 per i servizi igienici, 50 metri quadri per il centro di elaborazione dati. L’osservatorio si rende disponibile a realizzare i lavori necessari a rendere l’edificio conforme alle leggi e ai requisiti richiesti. Ovviamente, e a questo punto non è un dettaglio, la nuova sede deve trovarsi fuori dalla zona rossa e deve rispettare le norme antisismiche.
I tempi sono piuttosto stretti: chi ha un edificio disponibile deve inviare una mail certificata entro il 9 febbraio con tutte le informazioni, compreso il prezzo di vendita. Il prezzo sarà poi sottoposto a una valutazione dell’Agenzia del demanio, mentre per l’acquisto bisogna attendere un decreto del ministro dell’Economia e delle Finanze. Oltre ai privati, l’osservatorio vesuviano si rivolge anche agli enti pubblici che spesso hanno grandi immobili inutilizzati.