Perché tutti guardano le elezioni a Taiwan
Il loro risultato potrebbe portare a un sostanziale cambiamento dei rapporti fra Taiwan, la Cina e gli Stati Uniti, con conseguenze molto ampie
Sabato 13 gennaio si terranno a Taiwan le elezioni presidenziali e parlamentari, il cui risultato avrà importanti conseguenze anche per la politica internazionale a causa del complicato rapporto che l’isola ha con la Cina, che considera Taiwan una propria provincia ribelle che dovrà prima o poi tornare a far parte del paese.
Gli elettori e le elettrici dovranno scegliere fra tre candidati con programmi elettorali abbastanza distinti. L’attuale vicepresidente e candidato favorito nei sondaggi Lai Ching-te del Partito Progressista Democratico (DPP), di centrosinistra, è molto critico nei confronti delle interferenze cinesi sulla politica taiwanese e la sua vittoria potrebbe portare a ritorsioni da parte della Cina. È seguito nei sondaggi dall’ex ufficiale di polizia e sindaco di Nuova Taipei, Hou Yu-ih, candidato del Partito Nazionalista Kuomintang (KMT), conservatore e più accomodante nei confronti della Cina. Il terzo candidato che ha raccolto un inaspettato sostegno è Ko Wen-je, del Partito Popolare di Taiwan fondato nel 2019, che si è concentrato sulla politica interna.
Benché in campagna elettorale si sia parlato di numerose questioni anche interne, come la crisi abitativa e il costo dell’energia, l’elemento che ha monopolizzato l’attenzione dei media, soprattutto quelli internazionali, è stato il rapporto con la Cina: periodicamente il presidente cinese Xi Jinping ricorda che la «riunificazione» tra la Cina e Taiwan è «inevitabile», usando una retorica che con il tempo si è fatta sempre più minacciosa.
La situazione di Taiwan è molto particolare: è un’isola di 23 milioni di abitanti che è di fatto indipendente dal 1949. Non è mai stata governata dal Partito Comunista Cinese, che governa la Cina, ma il Partito l’ha comunque sempre considerata come parte del territorio dello stato. Nel corso dei decenni si è sviluppato un peculiare equilibrio per cui, per non provocare la Cina, la maggior parte della comunità internazionale non riconosce Taiwan a livello formale, ma la tratta ugualmente come uno stato indipendente. Nell’ultimo periodo però la Cina ha aumentato la sua pressione militare su Taiwan attraverso ripetute esercitazioni militari che hanno portato anche a un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti, da cui l’isola di fatto dipende per la sua sicurezza.
L’attuale vicepresidente Lai Ching-te è il candidato più avanti nei sondaggi e il più favorevole a una maggiore rivendicazione della sovranità di Taiwan. Fino a qualche anno fa diceva perfino di essere favorevole all’indipendenza dell’isola e, anche se recentemente le sue posizioni sono diventate più moderate, ha comunque sostenuto che il dialogo con la Cina è possibile solo se Taiwan viene trattata con «uguale rispetto». Una consistente parte del suo programma elettorale riguarda la volontà di rafforzare i legami politici ed economici con gli Stati Uniti e altre democrazie.
In più, ha scelto come sua vicepresidente Hsiao Bi-khim, rappresentante di Taiwan negli Stati Uniti (cioè l’ambasciatrice ufficiosa) e una delle figure più amate e apprezzate nel paese: per la sua attività Hsiao e la sua famiglia sono stati sanzionati dal governo cinese, che impedisce loro di entrare in Cina, Hong Kong e Macao.
Nelle ultime settimane i leader cinesi hanno duramente criticato il DPP e Lai, definendoli pericolosi separatisti e insinuando che la loro vittoria porterebbe a un inevitabile peggioramento delle relazioni fra Cina e Taiwan. Per questo motivo, secondo alcuni analisti, la sua elezione potrebbe modificare l’equilibrio delicato che esiste in questo momento tra Taiwan, Cina e Stati Uniti. Benché la possibilità di un’imminente invasione di Taiwan da parte della Cina sia vista da molti come poco probabile, la vittoria di Lai potrebbe portare a punizioni economiche e politiche sull’isola e a una situazione molto più tesa di quella di adesso. Per questo motivo, durante la campagna elettorale lo stesso Lai ha fatto di tutto per rassicurare i taiwanesi e la comunità internazionale.
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Negli ultimi giorni tuttavia il distacco fra Lai e gli altri due candidati si è ridotto e il risultato delle elezioni è molto più incerto rispetto a quello delle precedenti.
Secondo nei sondaggi è Hou Yu-ih, candidato del Partito Nazionalista conservatore, che storicamente ha favorito legami più stretti con la Cina. Anche a causa dell’aumento della pressione militare cinese sull’isola, la posizione di Hou è meno filocinese rispetto alla linea che il partito aveva fino a qualche anno fa: come gli altri due candidati anche lui non è favorevole all’unificazione con la Cina. Tuttavia, sostiene che il modo migliore per assicurare la stabilità di Taiwan non sia separarsi dalla Cina, ma aumentare il dialogo e i legami commerciali. Come vicepresidente Hou ha scelto il famoso conduttore televisivo conservatore Jaw Shaw-kong.
In tutte le scorse elezioni gli elettori e le elettrici si sono divisi fra il Partito Nazionalista e il Partito Progressista Democratico, ma quest’anno è molto apprezzato anche il candidato indipendente, Ko Wen-je, che sta togliendo voti a entrambi i partiti principali. La sua posizione sulla Cina non è netta: durante i suoi comizi ha accusato il DPP di accrescere il rischio di una guerra e il KMT di essere troppo legato a Pechino. Tuttavia, la sua popolarità deriva anche dalla relativa marginalità che la questione cinese ha nel suo programma elettorale: Ko si è concentrato sulla politica interna e ha guadagnato consensi fra i giovani, stanchi di un dibattito politico concentrato sulle relazioni dell’isola con la Cina e più interessati a problemi come l’inflazione, la stagnazione dei salari e l’aumento dei costi degli alloggi.
La possibilità che Ko vinca è comunque piuttosto lontana ma potrebbe avere un peso sulla politica dei prossimi anni dato che insieme al prossimo presidente le elezioni di sabato determineranno anche la composizione del parlamento taiwanese, lo Yuan legislativo. Le elezioni parlamentari sono ancora più incerte di quelle presidenziali, e c’è la possibilità concreta di un risultato separato, in cui il presidente eletto non avrebbe la maggioranza parlamentare per governare.
Come è accaduto per tutte le elezioni passate, la Cina ha cercato di influenzare il voto di sabato: oltre alle intense esercitazioni militari nelle acque vicine a Taiwan e l’entrata nel suo spazio aereo di palloni aerostatici cinesi, secondo il governo taiwanese la Cina sta conducendo una «guerra cognitiva» volta a influenzare gli elettori utilizzando la disinformazione e la manipolazione dei media.
Fra queste azioni sono stati segnalate delle campagne online di provenienza cinese che diffondevano notizie false sul vicepresidente Lai e sui leader del suo partito, inclusa la presidente uscente Tsai Ing-wen. Gli sforzi della Cina si sarebbero anche concentrati nello screditare la credibilità degli Stati Uniti come alleati di Taiwan. La Cina ha per lo più ignorato le accuse di interferenza, definendo le elezioni «una questione puramente interna alla Cina» e rifiutandosi ufficialmente di riconoscere il voto come legittimo.