Il nuovo governo sempre più a destra di Emmanuel Macron
Il presidente francese ha scelto politici legati storicamente al centrodestra, mentre il peso degli alleati di centro è stato ridimensionato e le donne sono state retrocesse
Nel 2016, durante la campagna presidenziale che aveva portato alla sua prima elezione, Emmanuel Macron si era presentato come un’alternativa ai grandi partiti tradizionali che avevano governato la Francia fino a quel momento: il giovane presidente aveva cercato di «depoliticizzare» la politica, come aveva scritto Le Monde, e di presentarsi come un “uomo del fare”. Aveva nominato una serie di ministri tecnici, provenienti per lo più dalla società civile, senza formazione né cultura politica.
Oggi le cose sono cambiate. Giovedì Macron ha annunciato la composizione del nuovo governo, che è tornato alla “politica d’antan”, quella di un «vecchio mondo» che il presidente aveva immaginato di lasciarsi alle spalle quando era stato eletto.
La crisi del precedente governo era iniziata lunedì sera, quando la prima ministra Élisabeth Borne, in carica da circa un anno e mezzo, si era dimessa. Macron, che da tempo ha grossi problemi di popolarità per via di varie riforme e misure controverse, aveva deciso dunque per un rimpasto nella speranza di recuperare un po’ di consensi in vista delle elezioni europee, che si terranno a inizio giugno. Martedì, al posto di Borne, era stato nominato Gabriel Attal, 34 anni, considerato molto vicino a Macron fin dall’inizio. Giovedì, infine, Macron ha annunciato la composizione del nuovo governo.
Tra le principali novità ci sono le nomine di Stéphane Séjourné a ministro degli Esteri, Rachida Dati a ministra della Cultura, e Catherine Vautrin a ministra del Lavoro, della Salute e della Solidarietà.
Séjourné, 38 anni e europarlamentare, è uno dei politici più vicini al presidente: guidava sia il partito del presidente Renaissance (che in francese significa “Rinascimento”), sia il gruppo europeo Renew Europe, centrista di ispirazione liberale, il terzo più ampio nell’attuale parlamento europeo.
Rachida Dati, 58 anni, era stata invece ministra della Giustizia fra il 2007 e il 2009 durante la presidenza di Nicolas Sarkozy ed europarlamentare fino al 2019 per il partito Repubblicano, di centrodestra.
Vautrin, eletta per la prima volta all’Assemblea Nazionale nel 2002 con l’Union pour un Mouvement Populaire poi diventato I Repubblicani, il partito di Nicolas Sarkozy, era stata segretaria di Stato per due volte e poi ministra delegata durante il governo di centrodestra di Jacques Chirac tra il 2004 e il 2007. Nel 2013 era stata attiva nel movimento “Manif pour tous”, contrario all’estensione del matrimonio civile alle coppie omosessuali.
Nel rimpasto sono stati riconfermati Gérald Darmanin al ministero dell’Interno e Bruno Le Maire all’Economia, entrambi ex Repubblicani e ex ministri di Nicolas Sarkozy. Il ministero della Transizione ecologica è stato eliminato e la questione della pianificazione ecologica e dell’energia sarà condivisa tra il primo ministro e Le Maire, favorevole al nucleare. Se infine la parità di genere è stata formalmente rispettata (su quindici incarichi sette sono andati a uomini, più il primo ministro, e sette a donne), i cinque ministeri più importanti (Interno, Giustizia, Difesa, Esteri ed Economia) sono occupati da uomini.
Per tutti questi motivi il rimpasto è stato interpretato, anche da alcuni macronisti, come una svolta in senso conservatore di Macron e come uno spostamento a destra diventato molto evidente già con l’approvazione a fine dicembre della contestata riforma dell’immigrazione votata da tutti i partiti di destra e di estrema destra, ma con una sessantina di astensioni nella maggioranza al governo.
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La misura prevede forti limitazioni ai diritti delle persone migranti e al sistema di accoglienza, tanto che Marine Le Pen, leader di Rassemblement National, l’aveva definita una «vittoria ideologica» per il suo partito, mentre il ministro della Sanità Aurélien Rousseau si era dimesso per protesta. Qualche settimana fa, commentando la nuova riforma dell’immigrazione, l’ex presidente socialista François Hollande aveva inoltre detto che il presidente Macron e il governo non avevano solo preso i voti dell’estrema destra, ma avevano anche «preso le sue idee».
«Presto ci saranno più dirigenti Repubblicani al governo che all’interno della leadership repubblicana», ha confermato scherzosamente il presidente della regione Provenza-Alpi-Costa Azzurra Renaud Muselier, macronista di destra.
Diversi esponenti di governo considerati più vicini alla sinistra sono stati esclusi ed è stato fortemente ridimensionato il peso di MoDem, il partito di centro che aveva sostenuto ufficialmente Macron, che aveva vigilato sugli equilibri politici degli ultimi rimpasti di governo ma che ora sta perdendo la propria influenza. A MoDem è andato il solo ministero dell’Agricoltura e sembra finito il tempo in cui i centristi potevano bloccare la nomina di Catherine Vautrin, perché troppo di destra, come era successo nel maggio del 2022. Le associazioni che si occupano di ambiente hanno a loro volta definito «inquietante» la scomparsa del ministero della Transizione ecologica dall’organigramma del governo.
Frédéric Dabi, direttore dell’istituto di sondaggi IFOP, ha spiegato che Macron, con questo rimpasto, è di fatto rimasto fedele al proprio elettorato. Gli elettori di Macron sono infatti rappresentati in gran parte da uomini anziani che si stanno gradualmente spostando sempre più a destra.
Al di là dello spostamento della linea politica, il rimpasto sembra essere stato caratterizzato dalla stabilità e dalla coesione. Diversi ministeri sono stati eliminati o accorpati: oltre l’eliminazione di un ministero specifico per la Transizione ecologica, l’Istruzione è passata al ministero della Gioventù, dello Sport e dei Giochi olimpici e paralimpici e quello della Salute è stato accorpato al ministero del Lavoro e della Solidarietà. Questo, secondo il costituzionalista Jean-Philippe Derosier, darà a Macron il vantaggio di poter «rafforzare la propria autorità, perché meno ministri ci sono, più facilmente si impone la decisione del leader».