Non è un caso se Salvini è incoerente sulle candidature alle europee
Dice il contrario di quel che fece nel 2019 per provare a convincere Meloni – di cui teme il consenso popolare – a non candidarsi
Da alcune settimane all’interno della coalizione di destra che sostiene il governo di Giorgia Meloni si discute molto sulle candidature per le prossime elezioni europee del 9 giugno. In particolare, il dibattito riguarda l’eventualità che si candidino in prima persona i tre leader della coalizione, cioè Matteo Salvini della Lega, Antonio Tajani di Forza Italia e la presidente del Consiglio Meloni.
Quest’ultima, durante la conferenza stampa di fine anno, ha detto di non avere ancora preso una decisione definitiva, pur lasciando intendere di essere propensa a candidarsi. «Anche ora che sono presidente del Consiglio misurarsi col consenso dei cittadini sarebbe a maggior ragione utile e interessante», ha detto, per poi aggiungere però che deve capire se la decisione di candidarsi impegnerebbe troppo del tempo che deve dedicare agli impegni da capo del governo. «Penso anche che sia una decisione che va presa insieme agli altri leader della maggioranza», ha concluso.
La candidatura alle europee non è una candidatura vera, nel suo caso, ma la si può definire virtuale. Il ruolo di parlamentare europeo è infatti incompatibile con incarichi di governo: dunque Meloni una volta eletta dovrebbe subito dimettersi, rinunciando al posto da parlamento europeo per la quale è stata votata. La ragione di un’eventuale candidatura sarebbe più che altro motivare maggiormente l’elettorato a votare per Fratelli d’Italia, e misurare il consenso sulla propria persona valutando il numero di preferenze raccolte (nelle elezioni europee si può infatti esprimere una preferenza per i singoli candidati, oltreché per il partito).
Nei giorni scorsi in un articolo sul Corriere della Sera si è parlato dell’intenzione di Meloni di candidarsi, riportando un suo virgolettato a proposito del precedente di Giulio Andreotti, che si candidò alle europee del giugno del 1989. Il paragone però è improprio: all’epoca delle elezioni Andreotti era ministro degli Esteri del dimissionario governo guidato da Ciriaco De Mita, che rimase in carica per lo svolgimento degli affari correnti fino al luglio di quell’anno. Poi entrò in carica un nuovo governo presieduto proprio da Andreotti, che aveva nel frattempo rinunciato all’incarico al parlamento europeo.
Gli unici precedenti effettivamente validi, per Meloni, riguardano tutti Silvio Berlusconi. È stato lui l’unico a candidarsi alle europee da presidente del Consiglio in carica, e lo ha fatto per tre volte (nel 1994, nel 2004 e nel 2009) sempre figurando come capolista in tutte e cinque le circoscrizioni elettorali in cui è suddivisa l’Italia quando si vota per il rinnovo del parlamento europeo.
Nei giorni seguenti alla conferenza stampa di Meloni è emersa in maniera abbastanza chiara la preferenza dei ministri Salvini e Tajani a non candidarsi. Il segretario della Lega, in particolare, ha usato toni abbastanza perentori per annunciare la sua scelta, durante un’intervista a Nicola Porro su Rete 4, l’8 gennaio scorso. «Io faccio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti al massimo delle mie possibilità», ha detto, aggiungendo che «questo ci tengo a continuare a fare». Le parole di Salvini hanno infastidito i dirigenti di Fratelli d’Italia, proprio perché alludevano al fatto che una eventuale candidatura di Meloni distrarrebbe la presidente del Consiglio dai suoi incarichi di governo.
Sono parole che peraltro segnano un’incoerenza di Salvini rispetto al recente passato. Nel 2019, in occasione delle ultime elezioni europee, Salvini si candidò come capolista in tutte le cinque circoscrizioni: all’epoca era ministro dell’Interno e vicepresidente del Consiglio del primo governo di Giuseppe Conte, quello sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle. Il suo ministero è cambiato, ma per il resto la situazione è del tutto analoga a quella di oggi. Salvini ottenne poco meno di 2,2 milioni di preferenze, e anche grazie a questo suo successo personale la Lega raggiunse il suo record di consensi, il 34,2 per cento.
Il cambio radicale di orientamento di Salvini, oggi, è dettato da ragioni di opportunismo politico. I motivi di questo ripensamento sono sostanzialmente due. Il primo ha a che vedere coi rapporti di forza dentro la coalizione di governo. Meloni ha un cospicuo favore popolare, e Fratelli d’Italia è dato dai sondaggi a una percentuale di consensi che oscilla tra il 25 e il 30 per cento, mentre la Lega è tra il 7 e il 10.
È verosimile che la candidatura di Meloni produca un ulteriore sbilanciamento verso Fratelli d’Italia, e questo renderebbe un risultato ancora peggiore della Lega, tale da mettere in imbarazzo il partito. Se del resto Salvini si candidasse a sua volta, il rischio per lui sarebbe duplice: da un lato ottenere molti meno consensi rispetto al 2019, e dall’altro marcare la distanza tra il suo consenso personale e quello di Meloni. In breve l’interesse di Salvini è prima di tutto scongiurare la candidatura di Meloni.
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L’altro motivo riguarda le trattative in corso tra i partiti della destra sulle elezioni regionali. Da settimane c’è uno stallo intorno alla scelta dei candidati presidenti, stallo che ha generato una certa tensione. Al momento le discussioni più animate si stanno facendo sulla Sardegna, la prima delle cinque regioni in cui si voterà nel 2024: Salvini rivendica con forza la ricandidatura del presidente uscente, Christian Solinas, che è il leader del Partito sardo d’azione affiliato alla Lega; Meloni invece vuole candidare Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari ed esponente di Fratelli d’Italia. Ci sono questioni di merito ma soprattutto di tattica, in queste due visioni: per Salvini rinunciare a Solinas significherebbe non solo cedere su una regione di cui è stato per anni responsabile del partito un suo fidatissimo parlamentare, e cioè Eugenio Zoffili, ma anche riconoscere il cambio degli equilibri di potere all’interno della coalizione di destra, ammettendo la superiorità di Fratelli d’Italia.
Dall’esito di questo conflitto politico dipenderanno poi anche le scelte sulle altre quattro regioni (Basilicata, Abruzzo, Piemonte e Umbria), tutte governate da esponenti del centrodestra, su cui bisognerà trovare un accordo per la scelta dei candidati. È molto probabile dunque che alla base della mossa di Salvini sulle candidature europee ci sia il tentativo di rimettere in discussione gli accordi in corso sulle regionali, secondo una logica per cui lui accetterebbe di non mettersi di traverso sulla scelta di Meloni di candidarsi, a patto che Meloni accolga le richieste leghiste sulla Sardegna.