Cosa vuole fare l’Italia con gli Houthi nel mar Rosso
Il governo italiano si è tirato fuori dai bombardamenti compiuti dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti, ma sta valutando di partecipare a una missione difensiva europea
Dopo i bombardamenti condotti nella notte tra giovedì e venerdì da una coalizione di paesi guidata dagli Stati Uniti contro i ribelli Houthi in Yemen, il governo italiano ha precisato di non aver partecipato all’attacco. Lo ha fatto, in particolare, il ministro degli Esteri Antonio Tajani, spiegando che l’Italia era stata informata dell’attacco dagli Stati Uniti «parecchie ore in anticipo», ma che non ha preso parte a questa operazione «perché non possiamo mettere in atto azioni di guerra senza un dibattito in parlamento». Tajani ha comunque affermato «il sostegno politico dell’Italia a questa azione», che ha definito un’operazione di difesa «del traffico marittimo internazionale».
I bombardamenti degli Stati Uniti delle scorse ore si inseriscono nel contesto dell’operazione chiamata Prosperity Guardian, avviata a metà dicembre dal governo degli Stati Uniti con l’obiettivo di garantire la sicurezza delle navi commerciali che transitano nel mar Rosso: negli ultimi mesi il loro lavoro è stato fortemente minacciato e ostacolato dai molti lanci di missili dei ribelli Houthi, sostenuti dall’Iran, che dicono di attaccare le navi come ritorsione per l’invasione israeliana della Striscia di Gaza. All’operazione partecipa anche l’Italia, che alcune settimane fa ha inviato nel mar Rosso una nave della Marina militare. Anche per questo l’Italia era stata avvertita dagli Stati Uniti dei bombardamenti, scegliendo di restarne fuori.
Se da una parte l’Italia non ha voluto partecipare ad azioni di attacco, dall’altra sembra difficile che non prenda per niente contromisure rispetto a quello che sta succedendo nel mar Rosso, anche perché le sue navi fanno parte di diverse missioni militari nella zona: è per questo che già da tempo il governo sta valutando di avviare nuove operazioni difensive insieme ad altri paesi dell’Unione Europea, come spiegano diverse fonti ai ministeri della Difesa e degli Esteri.
Da diverse settimane i partiti dell’opposizione, e in particolare il Partito Democratico, chiedono al governo di chiarire in parlamento i dettagli della missione Prosperity Guardian, che però finora non sono stati spiegati in modo del tutto esaustivo.
Il 10 gennaio il ministro Tajani aveva detto alla Camera che l’Italia stava partecipando a Prosperity Guardian per dare un «segnale concreto» e far capire l’importanza che ha per il governo «la salvaguardia del principio della libertà di navigazione». Allo stesso tempo però Tajani aveva detto che l’Italia stava partecipando ad alcune discussioni «su come rafforzare la presenza dell’Unione europea nel mar Rosso». Tra le possibilità citate da Tajani c’era quella di estendere il «mandato di operazioni già esistenti, penso ad Atalanta» o «l’attivazione di una nuova missione europea». Atalanta è una missione navale europea attiva dal 2008 al largo della Somalia, che ha l’obiettivo di contrastare le attività dei pirati somali.
Già da diverse settimane infatti, e quindi prima dei bombardamenti delle scorse ore, l’Unione Europea sta studiando la possibilità di iniziare una missione militare navale per proteggere le navi commerciali che attraversano il mar Rosso, che in molti casi risalgono il canale di Suez e arrivano nei porti europei del mar Mediterraneo. In una bozza letta da EUobserver, elaborata dal Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), il corpo diplomatico dell’Unione, si legge che al momento l’ipotesi di lavoro è di inviare nel mar Rosso «almeno tre navi con difese antiaeree o fregate con capacità multiple per almeno un anno».
Alcuni diplomatici europei contattati da Agence France-Presse sostengono che la missione navale dell’Unione Europea sarebbe complementare a quella avviata dagli Stati Uniti e a cui partecipano anche diversi paesi dell’Unione come Belgio, Danimarca e Paesi Bassi. Martedì prossimo sono previste a Bruxelles riunioni dei rappresentanti diplomatici dei vari Stati membri, e quasi sicuramente si parlerà di questa missione anche nella riunione dei ministri degli Esteri dei paesi dell’Unione Europea prevista per il 22 gennaio.
Alla fine di dicembre l’Unione Europea aveva già discusso se pattugliare il mar Rosso estendendo il mandato della missione navale europea Atalanta. La Spagna però, che possiede l’unico mezzo navale attualmente attivo dentro Atalanta, aveva messo il veto a un’espansione dell’operazione: il governo di centrosinistra di Pedro Sánchez è uno dei più critici della condotta di Israele nella guerra nella Striscia di Gaza, e una missione navale europea contro gli Houthi sarebbe stata interpretata da molti paesi arabi e a maggioranza musulmana come un aiuto di fatto a Israele.
A fronte del veto spagnolo, i governi europei stanno ora discutendo informalmente a vari livelli la possibilità di creare una nuova operazione per la sicurezza della navigazione nel mar Rosso e nel golfo di Aden, a est e a sud della penisola arabica, con l’eventualità di estendere poi l’operazione anche a est, nel golfo Persico. Gli obiettivi della missione consisterebbero sostanzialmente nel pattugliare l’area e accompagnare le navi mercantili: uno scopo quindi strettamente difensivo, anche se in un contesto delicato, dove è concreto il rischio di una “escalation”, cioè di un innalzamento della tensione militare.
A questo scopo verrebbero utilizzate tre navi, che si muoverebbero comunque in coordinamento con quelle coinvolte nelle operazioni Prosperity Guardian, Atalanta e Agenor, che è una missione istituita nel 2020 e a cui l’Italia partecipa insieme ad altri 8 paesi europei per garantire la sicurezza della navigazione nello stretto di Hormuz, tra gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran.
I primi paesi che hanno detto informalmente di essere interessati a questo nuova operazione difensiva sono Italia, Francia e Germania, ciascuno con l’impegno di mettere a disposizione una nave. Secondo una delle ipotesi valutate dal ministero della Difesa, l’Italia potrebbe dirottare su questa operazione la fregata “Luigi Rizzo”, che è impegnata nella missione Agenor. Al momento l’idea è creare un coordinamento condiviso delle attività di pattugliamento, ma lasciando che sia il comando militare di ciascun paese a decidere sulle azioni di autodifesa, come eventuali lanci di missili o droni necessari a neutralizzare gli attacchi degli Houthi.
C’è comunque un dibattito ancora in corso tra i diplomatici tedeschi, francesi e italiani per definire con esattezza il contesto giuridico all’interno del quale si potrebbero autorizzare le operazioni di questa missione. Al momento i tre governi si stanno orientando verso il ricorso all’articolo 44 del Trattato dell’Unione Europea, secondo cui il Consiglio Europeo, che comprende i capi di stato e di governo, «può affidare la realizzazione di una missione a un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tale missione». Sul piano giuridico dovrebbe facilitare la decisione di dirottare su questa nuova missione le navi già utilizzate in altre, accelerando così i tempi.
Sono questioni giuridiche che possono sembrare marginali, ma hanno ricadute rilevanti sulla politica italiana. Se questa nuova missione venisse presentata come una semplice ridefinizione di missioni già in corso, infatti, non sarebbe necessario approvare uno specifico decreto in Consiglio dei ministri e ottenere l’autorizzazione del parlamento: procedura che sarebbe invece necessaria per avviare una nuova operazione.
La partecipazione dell’Italia a missioni militari è disciplinata dalla legge 145 del 2016, secondo la quale il governo deve approvare un decreto specifico dopo aver informato il presidente della Repubblica. Il decreto va poi trasmesso alle camere, con l’indicazione esatta degli obiettivi, dell’area geografica di riferimento per la missione, dei costi, dei mezzi coinvolti e del numero massimo di persone che potrà essere impegnato. Le camere autorizzano con votazioni specifiche le missioni di anno in anno.
Al momento non è in programma per i prossimi giorni la discussione di decreti finalizzati ad autorizzare nuove missioni militari, né si è discusso di inserire nel calendario dei lavori parlamentari una sessione dedicata a questa materia.