In Europa sono tornate le proteste degli agricoltori
Se ne vedono un po' ovunque, dalla Germania alla Spagna passando per i Paesi Bassi: c'entra anche il Green Deal europeo
Lunedì è iniziata in Germania una estesa protesta degli agricoltori e degli allevatori, che hanno bloccato l’accesso a strade e autostrade in varie città tedesche. La protesta continuerà fino alla fine della settimana ma non è per nulla isolata: negli ultimi mesi si sono tenute proteste simili, anche se per motivi specifici di volta in volta diversi, in vari paesi europei fra cui Francia, Paesi Bassi, Polonia, Spagna, nel Regno Unito e in Serbia. Diversi quotidiani europei ci hanno visto una tendenza: qualche mese fa il Financial Times aveva scritto che ormai in vari paesi «gli agricoltori stanno sfidando l’agenda verde dell’Unione Europea».
Una prima spiegazione generale delle proteste in effetti riguarda l’Unione Europea. Negli ultimi anni la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ha speso gran parte del proprio capitale politico per approvare il Green Deal europeo, una serie di misure per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei. Nonostante molte resistenze del settore, il Green Deal europeo è stato in gran parte approvato e fra le altre cose vincola i paesi dell’Unione Europea a ridurre del 55 per cento entro il 2030 le emissioni nette e ad azzerarle entro il 2050. Per raggiungere questi obiettivi sono necessarie diverse misure a livello europeo e nazionale, che in parte condizioneranno la vita degli agricoltori europei.
Il settore dell’agricoltura e dell’allevamento è storicamente uno dei più diffusi nei paesi europei, e ancora oggi nonostante un progressivo svuotamento delle aree interne e delle campagne impiega milioni di persone. Secondo gli ultimi dati disponibili, all’interno dell’Unione Europea esistono circa 9,1 milioni di fattorie e aziende agricole, e il 38 per cento del territorio è coltivato o adibito a pascolo.
Buona parte delle fattorie e delle aziende agricole europee riesce a sostenersi grazie ai fondi per l’agricoltura, che ancora oggi rappresentano circa un terzo del bilancio pluriennale dell’Unione Europea. Per il bilancio in vigore fra 2021 e 2027 l’Unione Europea spenderà per la propria Politica Agricola Comune (detta anche PAC), cioè il principale strumento attraverso cui distribuisce i propri fondi, circa 387 miliardi di euro. Cioè una cifra paragonabile al PIL della Danimarca.
Circa il 95 per cento delle fattorie o aziende agricole europee è a conduzione familiare e ha un margine economico spesso molto ridotto, anche a causa della frequenza sempre maggiore di eventi estremi causati dal cambiamento climatico e dell’aumento generalizzato dei costi dell’energia. Nessun politico europeo mette in dubbio che l’agricoltura europea debba essere sussidiata, in qualche forma. Al contempo però quello agricolo è uno dei settori che finora hanno ridotto di meno le proprie emissioni inquinanti, rispetto per esempio alla produzione di energia e più in generale al settore industriale.
I fondi legati alla PAC quindi sono stati agganciati a una serie di obiettivi che costringeranno gli agricoltori un po’ ovunque a rendere più sostenibile la propria produzione: per esempio il piano Farm to Fork prevede di riconvertire entro il 2030 almeno il 25 per cento dei terreni coltivati ad agricoltura biologica, mentre è ancora in discussione al Parlamento Europeo una proposta per ridurre drasticamente l’uso di pesticidi, sempre entro il 2030 (una prima proposta per ridurli del 50 per cento è stata respinta dopo le molte pressioni delle associazioni di categoria).
– Leggi anche: A che punto è il Green Deal europeo
Anche diversi governi nazionali stanno imponendo misure più stringenti per ridurre le emissioni delle aziende agricole: sia perché vincolate dal Green Deal, sia perché in diversi paesi la sensibilità sulla transizione ecologica è aumentata notevolmente negli ultimi anni. Al contempo però le proposte di misure ambiziose sono state seguite da forti proteste.
Il governo tedesco per esempio, in cui i Verdi sono il secondo partito più rappresentato, di recente ha annunciato una progressiva riduzione dei sussidi per l’acquisto di gasolio: è stato questo annuncio a provocare la protesta dei giorni scorsi. In Francia, durante i primi anni di governo, Emmanuel Macron aveva provato a introdurre limiti più stringenti per l’uso di pesticidi, dopo essersi presentato con un programma piuttosto ambizioso sulla sostenibilità ambientale. Dopo anni di proteste però a marzo il governo francese ha abbandonato l’idea di fissare un obiettivo preciso di riduzione entro il 2030. Gli agricoltori francesi continuano a percepire il governo come lontano dalle proprie esigenze, e a fine dicembre hanno capovolto per protesta centinaia di cartelli stradali.
France turned upside down: farmers' protest with road signs https://t.co/FrUgfqMZ0k pic.twitter.com/g2OJ0OT9mv
— Voice of Europe 🌍 (@V_of_Europe) December 14, 2023
In vari paesi europei, esattamente come in Italia, le associazioni di categoria sono assai organizzate e possono spostare ingenti quantità di voti.
Già da mesi a livello nazionale diversi partiti di estrema destra si stanno allineando alle richieste degli agricoltori nella speranza di attirare voti e simpatie. Dall’anno scorso il Partito Popolare Europeo (PPE), il principale partito europeo di centrodestra, ha immaginato l’imminente campagna elettorale per le elezioni europee come una serie di messaggi di sostegno agli abitanti delle aree interne, fra cui anche gli agricoltori. Il voto sulla riduzione del 50 per cento dei pesticidi al Parlamento Europeo è stato respinto soprattutto per via dell’opposizione del PPE, che nominalmente fa parte della maggioranza che gestisce i lavori.
«Non possiamo stupirci del fatto che agricoltori e allevatori siano tornati al centro del dibattito pubblico, data la pressione sulle aziende agricole e il fatto che il settore ricopre un ruolo ancora molto rilevante nelle politiche di vari paesi membri dell’Unione», ha detto a Euractiv Fabian Zuleeg, capo del think tank European Policy Centre: «i populisti non hanno risposte migliori di altri ai problemi degli agricoltori, ma cercheranno comunque di strumentalizzare la loro condizione nella campagna elettorale per le elezioni europee».