Non è un momento facile per Daniel Noboa, il presidente dell’Ecuador
È il più giovane di sempre ed è in carica da meno di due mesi: il suo approccio molto duro nei confronti della criminalità non sta andando come previsto
Negli ultimi giorni l’Ecuador sta attraversando una delle crisi più gravi degli ultimi anni, tra rivolte nelle carceri, evasioni, violenze per le strade, poliziotti presi in ostaggio e anche un assalto armato alla televisione pubblica. La situazione sta mettendo alla prova il presidente Daniel Noboa, esponente di un partito di centro, che ha 36 anni ed è in carica da appena cinquanta giorni.
Durante la campagna elettorale Noboa aveva adottato un approccio molto duro nei confronti della criminalità: aveva promesso di costruire nuove prigioni di massima sicurezza e di riprendere il controllo delle carceri del paese, alcune delle quali sono in mano alle bande criminali di narcotrafficanti che le usano come centri di potere e sedi di reclutamento. Il governo sostiene che i recenti episodi di violenza siano una reazione a queste proposte.
Negli ultimi anni l’Ecuador è diventato uno dei principali mercati per l’esportazione della cocaina prodotta in Colombia e in Perù, paesi con cui confina: l’influenza delle bande criminali legate al narcotraffico è aumentata moltissimo, e molte hanno cominciato ad associarsi ai grossi cartelli di narcotrafficanti messicani che smistano la droga in America del Nord e un po’ in tutto in mondo. Oggi in Ecuador sono attivi i due più grossi cartelli messicani, il cartello di Sinaloa e quello di Jalisco Nueva Generación.
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Molti degli scontri degli ultimi anni hanno a che fare con le dinamiche del narcotraffico e partono, o perlomeno coinvolgono, le carceri del paese, da tempo sovraffollate e in cui sono rinchiusi migliaia di membri delle gang criminali. Alcuni istituti penitenziari si sono di fatto trasformati in centri per le operazioni dei narcotrafficanti, e il governo ha perso il controllo su molte delle prigioni più grandi e importanti. Le bande ecuadoriane si sono anche infiltrate negli apparati dello stato corrompendo capi di polizia, generali, giudici e pubblici ministeri. Lo scorso luglio l’ex presidente, Guillermo Lasso, aveva dichiarato: «Non possiamo negare che la criminalità organizzata abbia ormai permeato gli apparati dello Stato, le organizzazioni politiche e tutta la società. È un problema che esiste da oltre un decennio».
Secondo diversi osservatori, Noboa non ha dimostrato segni di forte leadership. Ha mantenuto un ruolo secondario anche negli ultimi giorni, dato che durante le conferenze stampa o gli interventi pubblici ha spesso lasciato la parola agli alti ufficiali dell’esercito. Finora la sua decisione principale è stata quella di dichiarare lo stato d’emergenza in tutto il paese, che prevede il coprifuoco nelle ore serali e una sospensione del diritto di assemblea per 60 giorni. Non è una misura nuova, anzi: era già stata adottata più volte da diversi suoi predecessori, tra cui Lasso, che aveva applicato lo stato di emergenza almeno 20 volte.
Noboa ha anche dichiarato di aver creato delle zone di sicurezza intorno alle carceri per consentire ai militari di svolgere le loro operazioni di controllo. Martedì ha integrato le proprie decisioni dichiarando il «conflitto armato interno», che prevede la mobilitazione dell’esercito contro le ventidue più importanti bande del paese, che ha equiparato a «organizzazioni terroristiche»: «Siamo in guerra», ha detto il presidente. Dall’inizio dello stato di emergenza sono state arrestate poco più di 300 persone legate ad alcune bande di narcotrafficanti, secondo quanto riferito mercoledì dal comandante delle forze armate Jaime Vela.
Il governo sostiene che l’ultima ondata di violenze sia una reazione al piano di Noboa per riprendere il controllo delle carceri, dove sono detenute 31.300 persone: tra le sue proposte ci sono la costruzione di due nuove prigioni di massima sicurezza e la detenzione dei prigionieri più pericolosi su chiatte in mare aperto, a 120 chilometri dalla costa. Noboa è entrato in carica lo scorso 23 novembre, meno di due mesi fa: al momento il piano non è stato realizzato, né si conoscono ulteriori dettagli in merito. Noboa ha anche affermato che l’Ecuador inizierà a deportare i detenuti stranieri – che sono circa 1.500, di nazionalità soprattutto colombiana – per ridurre la popolazione carceraria, ma anche di questo progetto non si conoscono molti dettagli.
Già gli ultimi tre governi dell’Ecuador hanno provato a di riprendere il controllo nelle carceri, senza successo. Luis Carlos Córdova, analista specializzato in sicurezza, ritiene che il fatto che i narcotrafficanti si siano infiltrati nello Stato renda inutile la presenza massiccia dell’esercito per le strade, anche perché spesso i gruppi di narcotrafficanti, che possono contare sui proventi della cocaina, sono meglio armati ed equipaggiati degli stessi poliziotti. Si tratta inoltre di una soluzione di emergenza, appunto, che difficilmente potrà avere effetti positivi a lungo termine.