Perché è stato escluso il reato di strage per il caso del cavo in strada a Milano
Il giudice per le indagini preliminari ha ridefinito l'accusa per due dei giovani coinvolti, a cui viene contestato il blocco stradale
I Carabinieri hanno identificato i tre giovani che nella notte tra il 3 e il 4 gennaio hanno teso un cavo di metallo a circa 140 centimetri da terra facendogli attraversare viale Toscana, a Milano. Viale Toscana è parte della circonvallazione cittadina ed è una strada molto trafficata. Un uomo che abita in un appartamento affacciato sull’incrocio ha chiamato le forze dell’ordine poco prima che il cavo venisse tranciato da un’auto evitando possibili impatti molto più pericolosi con motorini o biciclette.
La prima persona a essere individuata e arrestata la notte stessa è stata un 24enne di Milano, che in passato era stato sottoposto a cure psichiatriche: ora si trova nel carcere di San Vittore. Sabato notte si è consegnato alla polizia un altro ragazzo, un 18enne che di lavoro fa l’aiuto cuoco in un ristorante di Milano: è nel carcere di Monza in attesa dell’udienza di convalida dell’arresto prevista martedì. Il terzo ragazzo, un 17enne, è ricoverato da venerdì nel reparto di psichiatria dell’ospedale Niguarda. Al momento la procura non ha chiesto provvedimenti nei suoi confronti.
Inizialmente il 24enne era stato accusato di strage e di “attentato alla sicurezza dei trasporti”, ma il giudice per le indagini preliminari Domenico Santoro ha ridefinito il reato e ora l’accusa è di blocco stradale. Nei giorni scorsi il giudice ha definito «assurdo» il comportamento dei tre giovani, ma ha motivato la nuova accusa basandosi sul codice penale che in merito al reato di strage è chiaro: come ha scritto l’esperto cronista di giudiziaria Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, il delitto di strage non è punibile in forma colposa, ma richiede uno specifico dolo di voler uccidere.
Per la giurisprudenza italiana, dolo e colpa sono “elementi soggettivi del reato”: un fatto commesso con dolo è commesso intenzionalmente, e l’autore del reato quindi è cosciente delle conseguenze della sua azione. Nel fatto commesso con colpa, invece, chi commette il reato non lo fa intenzionalmente e non ha preso coscienza delle conseguenze del suo gesto. Il dolo, secondo il codice penale italiano, rappresenta il criterio tipico di imputazione, mentre la colpa rappresenta l’eccezione, con la conseguenza che di colpa si risponde solo in alcuni casi espressamente previsti dalla legge, definiti appunto dall’aggettivo “colposo”.
Il dolo è definito dall’articolo 43 del codice penale: il delitto è doloso quando la conseguenza di un’azione o di un’omissione è voluta come esplicita conseguenza stessa dell’azione.
Nel dolo diretto la conseguenza è la causa finale e unica dell’azione, quindi è il risultato di una precisa volontà di chi commette un reato. Il dolo indiretto avviene invece quando la conseguenza non è obiettivo dell’azione, ma un presupposto necessario. Un caso tipico, molto citato, è quando per esempio un terrorista vuole rapire un politico e per farlo deve uccidere gli agenti della scorta. L’uccisione degli agenti della scorta, non essendo l’evento voluto, è un presupposto necessario per l’evento voluto: il rapimento del politico. La terza possibilità è il cosiddetto dolo eventuale, un’altra forma di dolo indiretto. C’è l’accusa di dolo eventuale quando una persona prevede e accetta che le conseguenze delle sue azioni possano eventualmente essere un reato.
Nel caso specifico, per accertare il reato di strage, secondo l’articolo 422 del codice penale, serve dimostrare che l’azione possa mettere in pericolo la vita di più persone, com’è effettivamente avvenuto, ma allo stesso tempo deve esserci anche il dolo, cioè la volontà esplicita dei giovani che hanno teso il cavo di uccidere. Il dolo eventuale non basta, e per questo il giudice per le indagini preliminari ha ridefinito il reato.
La decisione del giudice è arrivata in seguito all’interrogatorio del 24enne che ha detto di aver agito per noia e senza programmare nulla. Il cavo era stato rubato poco prima da un cantiere vicino alla strada. Il 24enne ha ammesso di aver riflettuto sulle conseguenze soltanto in cella: solo lì ha capito che qualcuno poteva morire. Il giudice ha detto che il reato di strage si configura «nel fatto di chi, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità», ma in questo caso non ha dedotto «che quella condotta sia stata accompagnata dal fine di uccidere».
Il 24enne è stato quindi accusato del reato di blocco stradale, che punisce tra le altre cose «chi depone o abbandona congegni o altri oggetti al fine di impedire o ostacolare la libera circolazione». Chi lo commette rischia una pena da 1 a 6 anni di carcere, raddoppiata da 2 fino a un massimo di 12 anni se il fatto è commesso da più persone. «Allo stato degli atti non appare dubitabile che il pericolosissimo congegno abbia oggettivamente avuto finalità di ostacolare la libera circolazione», ha detto il giudice.
Dello stesso reato sono spesso accusati gli attivisti ambientalisti di Ultima Generazione, che bloccano le strade per sensibilizzare la popolazione sugli effetti del cambiamento climatico. Agli attivisti di Ultima Generazione viene contestato lo stesso reato in virtù di due provvedimenti approvati su spinta della Lega. Il decreto-legge 113 del 2018, il cosiddetto decreto Salvini, ha reintrodotto il reato di blocco stradale depenalizzato nel 1999, ma solo per chi blocca le strade con oggetti, come nel caso del cavo teso a Milano.
Fino al novembre del 2023 il blocco delle strade messo in atto esclusivamente con il proprio corpo era un illecito civile senza conseguenze penali. Le cose sono cambiate con il cosiddetto “pacchetto sicurezza” approvato dal governo che ha esteso il reato di blocco stradale anche per chi blocca le strade con il proprio corpo nel momento in cui l’azione risulti «particolarmente offensiva ed allarmante sia per la presenza di più persone sia per il fatto che sia stata promossa e organizzata preventivamente».