Quello nel mar Rosso sta diventando un problema grosso
Gli attacchi degli Houthi alle portacontainer stanno complicando sempre di più i trasporti e facendo aumentare i costi, e la risposta militare internazionale è poco efficace
L’azienda di trasporto merci danese Maersk, la seconda più grande al mondo, ha detto che la sospensione del transito delle proprie navi merci attraverso il mar Rosso, annunciata nei giorni scorsi per via degli attacchi contro diverse navi cargo da parte degli Houthi, il gruppo ribelle yemenita, continuerà per l’immediato futuro. Maersk gestisce circa un sesto del trasporto di merci globale, e ha deciso di deviare le sue navi che devono spostarsi tra il mar Mediterraneo e l’oceano Indiano facendo circumnavigare loro l’Africa, una rotta più lunga di diverse migliaia di chilometri e che richiede fino a due settimane in più di viaggio.
È l’ultima grande conseguenza di una crisi che sta scombussolando i trasporti marittimi globali e le cui conseguenze, già significative, rischiano secondo gli analisti di aggravarsi nelle prossime settimane. Gli attacchi degli Houthi hanno reso pericolosa la rotta del mar Rosso, percorsa da circa il 12 per cento delle merci globali, e il 30 per cento dei container, e utilizzata dalla stragrande maggioranza delle merci spostate tra Europa e Asia e tra l’Asia e la costa orientale dell’America. Al punto che le compagnie di navigazione hanno due scelte: circumnavigare l’Africa per non correre rischi, o esporsi alla possibilità di attacchi passando per il mar Rosso e pagare un’assicurazione molto più costosa del normale.
In entrambi i casi i viaggi delle navi cargo costano di più, e quest’aumento nelle spese degli armatori avrà come conseguenza un aumento dei prezzi che potrebbe finire per essere percepito dai consumatori di tutto il mondo. La domanda che si stanno facendo gli analisti è quando avverrà l’aumento dei prezzi, quanto sarà grave e quali saranno le conseguenze complessive sui commerci mondiali, che si erano appena ripresi dalle complicazioni seguite alla pandemia da coronavirus.
Giovedì gli Houthi hanno compiuto un attacco con un drone navale di superficie, un mezzo acquatico pilotato a distanza, che è esploso vicino a diverse navi mercantili e a una della Marina statunitense. Un altro drone è stato intercettato dalla Marina statunitense sabato. Nessuna nave è stata danneggiata, ma è stato l’ultimo di una serie di attacchi che vanno avanti da mesi nello stretto di Bab al Mandeb, e che si sono intensificati dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Hamas. Gli Houthi hanno preso di mira soprattutto navi israeliane, ma non solo, attaccando anche portacontainer statunitensi e internazionali nonostante la missione navale internazionale guidata dagli Stati Uniti e avviata il mese scorso per proteggere i mercantili e le rotte commerciali.
Con uno sforzo bellico relativamente limitato, gli Houthi stanno mettendo in grande difficoltà la Marina statunitense e stanno dimostrando per l’ennesima volta – dopo la pandemia, e anche dopo il caso della nave incagliata nel canale di Suez – quanto i commerci globali si reggano su un’infrastruttura fragile, che può facilmente avere difficoltà nel sostenere una quantità di merci spostate che è aumentata di circa tre volte negli ultimi trent’anni, arrivando a circa 11 miliardi di tonnellate annue dai 4 miliardi del 1990.
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Gli Houthi sono sostenuti dall’Iran e nella guerra a Gaza hanno visto anche un’opportunità politica, quella di ottenere legittimità e prestigio all’interno del mondo musulmano, e accreditarsi come importanti avversari di Israele nella regione. Dopo aver preso il potere nel 2014 conquistando la capitale Sanaa e cacciando il governo yemenita internazionalmente riconosciuto, hanno combattuto una lunga guerra contro le forze governative sostenute da una coalizione internazionale e dall’Arabia Saudita, principale avversario dell’Iran nella regione (questa guerra è spesso definita proxy war, “per procura”, combattuta cioè tra Iran e Arabia Saudita in un territorio terzo). La guerra ha provocato una gravissima crisi umanitaria: in dieci anni sono morte circa 350mila persone, e milioni di altre soffrono la fame e sono in condizioni di vita disastrose.
Da metà novembre a oggi gli attacchi degli Houthi alle navi internazionali nel mar Rosso sono stati più di venti, secondo Brad Cooper, comandante della Marina statunitense. Il primo mercantile attaccato, la nave turca Galaxy Leader, fu anche sequestrata, e i 25 membri dell’equipaggio, prevalentemente filippini, non sono ancora stati liberati.
L’intervento della Marina statunitense non è stato risolutivo. Nel mar Rosso continuano a circolare quotidianamente decine di mercantili, ma le cose sono lontane dalla normalità. Secondo Bloomberg, a fine dicembre il traffico merci attraverso il canale di Suez si era ridotto del 40 per cento rispetto al solito. Non è ancora una situazione tale da sconvolgere i commerci mondiali, ma Marco Forgione, direttore del centro studi britannico Institute of Export and International Trade, ha detto al New York Times che «stiamo andando in quella direzione».
Oltre a Maersk, anche Msc, la compagnia navale prima al mondo per il trasporto dei container, non sta facendo passare le sue navi dal canale di Suez, preferendo deviarle attorno all’Africa. Lo stesso stanno facendo la taiwanese Evergreen e la tedesca Hapag-Lloyd, oltre alla compagnia petrolifera British Petroleum, anche se finora gli Houthi sono sembrati meno interessati ad attaccare le petroliere rispetto alle navi portacontainer. Altre compagnie, come la francese CMA CGM, hanno deciso di continuare per il momento a usare la rotta che passa per il mar Rosso per alcune navi, correndo i rischi annessi.
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Indipendentemente da cosa stanno decidendo, per le compagnie navali i costi sono aumentati notevolmente. Circumnavigare l’Africa comporta evidentemente un aumento dei costi, tra gli altri per il carburante e il personale, oltre a richiedere fino a due settimane in più per arrivare alle medesime destinazioni, con tutte le conseguenze per quanto riguarda ritardi, riorganizzazione delle spedizioni e disponibilità delle navi.
Ma passare per il mar Rosso non significa solo accettare i rischi. Ad aumentare è infatti anche il costo dell’assicurazione fondamentale per qualsiasi portacontainer. Secondo quanto detto da Forgione al New York Times, normalmente il costo è di circa lo 0,2 per cento del valore di una nave: ora è lo 0,7 per cento.
Secondo una stima riportata domenica dal Corriere della Sera, la spesa necessaria per trasportare un container di 12 metri dal porto di Genova a quello di Shanghai è aumentata del 114 per cento, arrivando a 4.178 euro. Zeno D’Agostino, presidente del porto di Trieste, ha detto che «per Trieste, ci saranno almeno un paio di settimane di sosta. Se la situazione dovesse protrarsi, il rischio è che le navi, una volta circumnavigata l’Africa, puntino direttamente sui porti del Nord Europa a discapito del Mediterraneo».
In queste settimane governi, armatori, analisti, operatori di mercato e aziende di tutto il mondo si stanno scervellando per prevedere come evolverà la situazione e quali conseguenze ci saranno per i commerci globali. È difficile a dirsi, ma in generale le valutazioni sembrano concordare sul fatto che i problemi non raggiungeranno i livelli di quelli visti durante la pandemia da coronavirus, quando la catena di approvvigionamento globale era andata totalmente in crisi, bloccando diversi porti e provocando enormi ritardi, che avevano reso introvabili un sacco di prodotti e materie prime diverse.
È anche vero che la crisi nel mar Rosso è arrivata in un momento dell’anno in cui i commerci marittimi non sono particolarmente intensi, mentre arriverà a breve un periodo più complicato: quello che precede il capodanno cinese, quando molte fabbriche in Cina chiudono anche per settimane, e che quindi è anticipato da esportazioni molto superiori al solito. È possibile che certe merci comunque diventino difficili da reperire: Ikea ha per esempio già detto ai suoi clienti di aspettarsi che certi prodotti non siano disponibili nel prossimo futuro.
Il fatto che gli attacchi Houthi non abbiano interessato finora le petroliere è considerato molto importante. Dal canale di Suez nella prima metà del 2023 sono passati ogni giorno circa nove milioni di barili di petrolio, e quella rotta è fondamentale anche per il traffico del gas naturale liquefatto (GNL), trasportato in particolare da Qatar, Stati Uniti e Russia. Se il traffico dei combustibili fossili dovesse complicarsi i paesi produttori della regione, dall’Arabia Saudita agli Emirati Arabi Uniti al Qatar, potrebbero reagire in modi che farebbero aumentare le tensioni in Medio Oriente, che sono già a livelli altissimi.
Il rischio di una escalation è proprio la cosa che complica maggiormente l’intervento degli Stati Uniti, che mercoledì avevano mandato una specie di ultimatum agli Houthi, ignorato nei giorni immediatamente successivi. Secondo il Wall Street Journal, l’esercito americano sta valutando come colpire le postazioni mobili da cui partono i missili e i droni che partono dallo Yemen. Ma si tratta di operazioni difficili e costose, e il vantaggio strategico al momento ce l’hanno gli Houthi, che possono continuare e intensificare gli attacchi senza grandi preoccupazioni. Gli Stati Uniti infatti devono valutare bene fino a dove spingersi con le risposte militari, visto che gli Houthi sono sostenuti dall’Iran.