Trovate qualcuno che vi desideri come Bradley Cooper desidera un Oscar
“Maestro”, di cui è protagonista, regista e produttore, è un film costruito per una sua vittoria, dopo dieci anni di tentativi
Il prossimo 23 gennaio verranno annunciate le nomination per le diverse categorie di premi Oscar, che poi verranno consegnati il 10 marzo a Los Angeles. Con buona probabilità l’attore, regista e produttore Bradley Cooper sarà candidato come miglior attore, ma anche come miglior regista e insieme agli altri produttori nella categoria miglior film per Maestro, film già disponibile su Netflix sulla vita del compositore Leonard Bernstein.
Se non dovesse vincere in nessuna di queste categorie, Bradley Cooper sarebbe stato candidato senza vincere per 12 volte in soli dieci anni, una statistica che mostra quanto intensamente abbia provato e stia provando a vincere un Oscar. Maestro è un film concepito a questo scopo (come già era stato il suo film precedente, A Star Is Born), secondo alcuni critici fin troppo. È cioè fin troppo palese che il film sia un veicolo per una sua vittoria in almeno una categoria, e questo potrebbe giocare contro di lui.
Le precedenti nove volte in cui Bradley Cooper è stato candidato agli Oscar senza vincerlo includono quattro nomination per la recitazione (come protagonista per Il lato positivo, American Sniper e A Star Is Born e come non protagonista per American Hustle), quattro come produttore (American Sniper, Joker, La fiera delle illusioni, A Star is Born) e una come sceneggiatore (A Star Is Born). Questo senza contare le volte che ha accettato dei ruoli teoricamente perfetti per una vittoria senza però ottenere nemmeno la nomination, come quello da non protagonista in Licorice Pizza di Paul Thomas Anderson, in cui interpreta il produttore Jon Peters.
In Maestro, Bradley Cooper fa tutto quello che solitamente è ritenuto importante per la vittoria di un Oscar, a partire dalla scelta del ruolo e di quello che nel film viene mostrato di Leonard Bernstein. Si tratta di un uomo sposato che aveva anche relazioni omosessuali, cosa che consente al film di raccontare la lotta di una persona che deve nascondere ciò che è; di un grande artista americano, cosa che consente a Cooper di interpretarlo nell’atto di produrre la propria arte; e di un uomo dal volto e dalla voce caratteristici e riconoscibili, che Cooper ha riprodotto (non senza polemiche) minuziosamente.
È insomma il tipo di film per il quale è in una certa misura possibile quantificare l’impegno e la dedizione attoriali, che sono componenti importanti per competere per un Oscar. In un’intervista a Stephen Colbert, Cooper stesso aveva spiegato lo sforzo in termini di tempo impiegato per prepararsi. Maestro sarebbe in lavorazione da prima dell’uscita di A Star Is Born, cioè da cinque anni e mezzo. Nel dettaglio Cooper sostiene di aver lavorato per cinque anni, otto ore al giorno, cinque giorni a settimana, per mettere a punto insieme a un “dialect coach” la parlata di Bernstein (che cambia nel corso degli anni). Invece per arrivare a un trucco prostetico (quello che prevede delle protesi applicate sul corpo o sul volto) per riprodurre il naso e poi per farlo somigliare a Bernstein da vecchio, ci sono voluti quattro anni e mezzo di discussioni, prove e modifiche insieme al responsabile del trucco, anche lui un probabile candidato e vincitore nella sua categoria.
È frequente che gli attori statunitensi a un certo punto della loro carriera vogliano puntare con grande insistenza alla vittoria di un Oscar, come sta facendo Bradley Cooper da una decina d’anni. E questo tipo di determinazione spesso porta a orientare le proprie scelte riguardo a quali film interpretare e come. Capitò a Tom Cruise lungo gli anni ‘90, dopo che film come Rain Man o Il colore dei soldi lo avevano affermato come una promessa della recitazione. Fu candidato per Nato il 4 luglio, Jerry Maguire e Magnolia senza mai vincere. In seguito tentò anche più decisamente con Eyes Wide Shut e altri film come Leoni per agnelli, Collateral o L’ultimo samurai, i cui ruoli, per una ragione o per l’altra, potevano portare a una nomination.
È capitato più recentemente a Leonardo DiCaprio, che con The Aviator, J. Edgar, Il grande Gatsby e Wolf of Wall Street aveva evidentemente tentato di vincere il premio riuscendo ad arrivare alla nomination solo due volte, e alla fine lo aveva vinto con il tentativo successivo, The Revenant, quello in cui più di tutti era evidente e facile da raccontare il suo sforzo di recitazione. Altri attori e attrici ad aver tentato molto intensamente sono stati Will Smith (che poi lo ha vinto per Una famiglia vincente), Glenn Close (senza successo) e Denzel Washington (che dopo diversi tentativi lo vinse a sorpresa per Training Day).
La campagna per gli Oscar di Maestro è iniziata a settembre, con la presentazione alla Mostra del cinema di Venezia, che da una decina d’anni è il posto in cui i grandi studi americani presentano i loro film che ambiscono al premio. Questo anche perché è l’autunno la parte dell’anno in cui si comincia a far parlare di sé, e in cui è opportuno uscire in sala per competere, e Venezia si è affermato come il festival autunnale più importante. Già a Venezia quindi Maestro veniva considerato un contendente molto serio, insieme a un altro film lì presentato, Povere creature! (che però non ha contendenti per il premio al miglior attore protagonista). Da quando il film è uscito molti però hanno fatto notare quanto Maestro sembri concepito da uno stratega di campagne Oscar (figura professionale che esiste effettivamente), visto quanto la sua natura e la sua fattura si prestino alla narrazione propedeutica alla nomination e poi alla vittoria.
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Molti momenti del film sono pensati per esibire un tipo di sforzo quasi atletico, che implica una dedizione al lavoro che, di nuovo, tende a essere premiata. Una scena centrale del film per esempio è quella in cui viene rappresentato il concerto in cui Bernstein diresse la seconda sinfonia di Mahler nella cattedrale di Ely, in Inghilterra, e la performance è raccontata in una lunga sequenza in cui lo si vede dirigere un’orchestra per 6 minuti.
Per girarla, Cooper ha imparato realmente a dirigere, così da poterlo rappresentare fedelmente, con uno sforzo eccezionale che serve a ribadire l’idea dell’impresa di una vita (di Bernstein, ovviamente, ma più sottilmente anche di Cooper). È una narrazione la cui veridicità è meno importante dell’effetto ricercato, cioè dare l’idea di una preparazione eccezionale. Per la stessa ragione Cooper ha raccontato di aver riregistrato sotto la sua direzione tutta la musica di Bernstein che si sente nel film. Questo tipo di storie, dettagli e informazioni è utile ad alimentare una macchina pubblicitaria e fornire diversi appigli per la celebrazione di una interpretazione.
Più recentemente, in un’intervista con l’attrice Emma Stone (protagonista di Povere creature! e altra probabile candidata con buone possibilità di vittoria), Cooper ha raccontato di essere appassionato della conduzione d’orchestra fin da quando era bambino, e di aver quindi «fatto le prove per questo ruolo per decenni», alimentando l’idea che si tratti di quello che viene definito “il ruolo di una vita”. L’apice di una carriera, altra cosa che di solito viene premiata dall’Academy. Nonostante infatti di solito non servano informazioni o dati oggettivi per valutare una recitazione degna di un premio, ma ci si basi più che altro sulla sensibilità personale, per convincere i votanti per gli Oscar è molto importante poter quantificare il lavoro fatto.
A determinare prima le nomination e poi i premi Oscar sono, in maniere e quantità diverse, i circa 6.000 membri dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences, un’associazione che comprende tutte le persone in vita che siano mai state candidate per un Oscar, oltre a diverse altre, negli Stati Uniti e in tutto il mondo, che lavorano nel cinema. I votanti quindi non hanno una visione unica e omogenea di quale sia un film o in questo caso un attore da premiare ma, un po’ come per le elezioni politiche, negli anni alcune strategie si sono rivelate utili a convincere un gran numero di persone, e lo si fa soprattutto puntando sulla dimostrazione tangibile del lavoro dietro a una prestazione.
Questo è più facile da fare quando i film raccontano di persone realmente esistite, ragione per la quale così spesso ruoli di quel tipo portano almeno a una nomination o sono considerati la scelta di chi vuole vincere.
Anche per questa ragione Maestro, rispetto a A Star Is Born, sembra un film più adeguato all’Oscar, perché consente a Bradley Cooper di interpretare un personaggio lungo quarant’anni, finendo pure coperto da un trucco molto vistoso. Negli ultimi anni queste trasformazioni, tra corpo e trucco, si sono rivelate vincenti e hanno portato a premi Brendan Fraser per The Whale (2022), Rami Malek per Bohemian Rhapsody (2018), Gary Oldman per L’ora più buia (2017), Daniel Day-Lewis per Lincoln (2012) e Meryl Streep per The Iron Lady (2011).
Il grande rivale di Bradley Cooper nella categoria miglior attore al momento è Cillian Murphy, che ha interpretato un’altra persona realmente esistita, cioè il fisico J. Robert Oppenheimer in Oppenheimer di Christopher Nolan. A settembre Cooper era il favorito, ma sembra che ora l’effettiva uscita del film su Netflix lo stia danneggiando e GoldDerby, sito specializzato in previsioni per gli Oscar, dà Murphy di poco in vantaggio.
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Rispetto ai film che escono in sala quelli che si trovano su piattaforma hanno il vantaggio di poter essere visti facilmente da un gran numero di persone, ma la cosa può diventare uno svantaggio nel momento in cui il pubblico non è più solo quello che sceglie il film e paga un biglietto, ma è composto anche da persone che non avrebbero pagato un biglietto per vederlo, che quindi non necessariamente sono nel target giusto. Questo può risultare in un generale basso gradimento. La valutazione del pubblico di Maestro su Rotten Tomatoes si è abbassata almeno del 20% da quando il film è su Netflix, e al momento sta al 65%, che per gli standard del sito e le aspirazioni del film è molto poco.
Una recensione di Kyle Wilson su Polygon spiega bene come mai, in questo caso specifico, aver cavalcato tutto quello che solitamente favorisce una campagna Oscar potrebbe diminuire le sue possibilità: «Si potrebbe immaginare che tutta questa immersione abbia creato una performance e una trasformazione autentiche e vivide, ma non è l’obiettivo di Cooper […] Il risultato è un film con un centro di gravità tematico o drammatico fastidiosamente limitato; gli eventi sembrano accadere solo perché Cooper vuole recitarli. Questo non è un film su un uomo; è un film su un uomo che sta recitando».
Questo rischio, cioè che il film sia percepito come un “vanity project”, ovvero un grosso veicolo per gli obiettivi del suo attore, produttore e regista, non era esistito per A Star Is Born in cui Lady Gaga era altrettanto protagonista, mascherando gli intenti. Invece è così chiaro per Maestro che la stessa produzione inizialmente, prima che il film fosse presentato a Venezia, lo aveva promosso mandando avanti Carey Mulligan, che nel film interpreta la moglie di Bernstein e che a quel punto sembrava quasi essere la vera protagonista della storia. Addirittura nel primo teaser trailer era il suo di nome a comparire per primo, e non quello di Cooper. Così però non è: nonostante Mulligan abbia una parte importante e anche alcune scene cruciali, tutto il film gira intorno a Bernstein e quindi a Bradley Cooper.