Trump ha chiesto alla Corte suprema di intervenire sulla sua candidabilità
Dopo la decisione di due stati americani di considerarlo "ineleggibile" al ruolo di presidente: è un momento importante di una storia complicata
Mercoledì l’ex presidente statunitense Donald Trump si è rivolto alla Corte suprema degli Stati Uniti riguardo al caso della sua candidabilità alle primarie dei Repubblicani, che stabiliranno chi sarà il candidato del partito alle elezioni presidenziali di novembre.
Della vicenda si sta parlando molto. In alcuni stati americani sono state infatti avviate procedure legali per impedire a Trump di candidarsi perché considerato “ineleggibile” a causa del suo coinvolgimento nell’assalto al Congresso del 6 gennaio del 2021, compiuto da centinaia di suoi sostenitori per fermare il processo di certificazione delle presidenziali vinte da Joe Biden. A dicembre la Corte suprema di uno di questi stati, il Colorado, aveva stabilito che Trump non avrebbe potuto partecipare alle primarie. Ora Trump sta cercando di ribaltare quella sentenza (e altre analoghe) rivolgendosi direttamente alla Corte suprema statunitense, che avendo competenza federale può prevalere sulle decisioni delle Corti supreme statali: in altre parole se si esprimesse a favore di Trump quella decisione si applicherebbe automaticamente a tutti gli stati, compresi quelli in cui Trump è già stato dichiarato ineleggibile, come il Colorado o il Maine.
La Corte suprema degli Stati Uniti è attualmente composta da sei giudici conservatori su nove, tre dei quali nominati proprio da Trump. Negli ultimi anni ha assunto posizioni sempre più conservatrici e favorevoli ai Repubblicani, per esempio eliminando il diritto costituzionale all’aborto. Più in generale, la Corte è percepita sempre meno come un’istituzione imparziale e di garanzia e salvaguardia della Costituzione.
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In questo caso la Corte dovrà esprimersi sulla legittimità del meccanismo con cui la Corte suprema del Colorado ha dichiarato Trump ineleggibile, lo stesso usato nel Maine: cioè sulla Sezione 3 del 14° emendamento della Costituzione statunitense, una clausola risalente alla Guerra civile americana secondo cui chiunque sia stato coinvolto in insurrezioni o rivolte contro lo stato dopo aver prestato giuramento sulla Costituzione non può più ricoprire incarichi pubblici. Finora la Corte suprema non si è mai espressa sulla Sezione 3, che è alla base di tutte le cause intentate finora per bloccare la candidatura di Trump.
La posizione degli avvocati di Trump è che la clausola non fosse stata pensata per i presidenti degli Stati Uniti, che quindi dovrebbero esserne esclusi. L’argomento non è nuovo: era stato proprio per chiarire questo aspetto che a fine novembre una giudice di un tribunale del Colorado, Sarah Wallace, aveva chiesto alla Corte suprema dello stato di esprimersi (Wallace stava lavorando a una causa intentata contro la candidatura di Trump dall’organizzazione non profit Citizens for Responsibility and Ethics).
I legali di Trump hanno anche altri argomenti: per esempio che ricorrere a questa clausola, finora ben poco usata, sia una scelta guidata più da considerazioni politiche che giuridiche. Negano inoltre che l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 possa configurarsi come insurrezione, e affermano che Trump non sia stato in alcun modo coinvolto nella sua realizzazione. Nella richiesta alla Corte suprema degli Stati Uniti si dice inoltre che la sentenza del Colorado violerebbe i diritti processuali dell’ex presidente.
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