Quello che ha creato Hayao Miyazaki
In oltre quarant'anni il più famoso animatore giapponese e il suo Studio Ghibli hanno inventato un universo fatto di personaggi, stili e temi unici e complessi
Il primo gennaio è uscito al cinema Il ragazzo e l’airone, il dodicesimo lungometraggio dell’autore giapponese Hayao Miyazaki, uno dei registi di film di animazione più influenti e amati al mondo, cui viene riconosciuto il merito di avere nobilitato l’animazione come pochi altri prima di lui. In più di quarant’anni di carriera Miyazaki ha creato un universo narrativo unico e molto riconoscibile, e nonostante la concorrenza particolarmente agguerrita è largamente l’animatore giapponese più conosciuto all’estero: è l’unico ad avere vinto due Oscar, il primo nel 2003 per La città incantata, il secondo dedicato alla sua carriera nel 2015. Viene spesso citato insieme a Walt Disney come una delle persone più influenti nella storia dell’animazione.
I suoi film occupano stabilmente i primi posti nelle classifiche di vendita dei biglietti e attraggono un pubblico molto eterogeneo, che comprende appassionati di animazione, spettatori occasionali e persone che di animazione conoscono poco o nulla. Nel tempo i suoi personaggi sono entrati nell’immaginario collettivo, come il custode della foresta Totoro, lo spirito senza volto Kaonashi e Marco Pagot, il maiale antropomorfo protagonista di Porco Rosso che pronuncia una delle frasi più celebri della sua intera filmografia e più in generale dell’animazione giapponese: «Piuttosto che diventare un fascista, meglio essere un maiale».
La popolarità di Miyazaki è legata allo Studio Ghibli, lo studio di animazione che contribuì a fondare nel 1985, quando decise di abbandonare la serialità per dedicarsi a progetti indipendenti e con una componente autoriale più marcata. Negli anni gli autori più importanti dello Studio Ghibli, come Miyazaki e il regista di Una tomba per le lucciole Isao Takahata, hanno realizzato lungometraggi molto apprezzati da pubblico e critica, diventando un punto di riferimento per l’animazione d’autore in tutto il mondo.
Il ragazzo e l’airone è ambientato in Giappone durante la Seconda guerra mondiale, e per alcuni aspetti è un’opera autobiografica: ha per protagonista un ragazzo di nome Mahito, la cui madre è morta in un incendio e il cui padre lavora in una fabbrica che costruisce aeroplani da guerra. Il padre di Mahito si risposa con la sorella della moglie, Natsuko, e si trasferisce con la famiglia in una casa in campagna. Lì Mahito scopre una torre misteriosa e incontra un airone parlante secondo cui sua madre sarebbe viva e prigioniera nella torre. Quando Natsuko entra nella torre senza più uscirne, il ragazzo decide di seguirla per salvarla e si ritrova in un mondo fantastico.
È un film piuttosto diverso dai precedenti di Miyazaki, più cupo e allegorico, quasi psichedelico, e che richiede un certo sforzo di interpretazione. Ciononostante sta ottenendo un grande successo. A inizio dicembre, durante il primo fine settimana di programmazione negli Stati Uniti e in Canada, Il ragazzo e l’airone è diventato il primo film d’animazione giapponese a occupare il primo posto nelle classifiche nordamericane, incassando più di 12 milioni di dollari, e martedì ha raggiunto lo stesso risultato in Italia, dove ha conquistato la prima posizione nel box office posizionandosi davanti a Wish e a Succede anche nelle migliori famiglie. In Giappone il film era uscito a luglio, quasi senza alcuna promozione: non erano stati pubblicati trailer, e neppure annunci su riviste, quotidiani e siti specializzati, ma soltanto un poster. Nonostante questo, era riuscito a dominare le classifiche di incassi locali per più di un mese.
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Il ragazzo e l’airone era atteso per diversi motivi: Miyazaki non realizzava un film dal 2013, quando uscì Si alza il vento, opera che già undici anni fa una parte di critica aveva descritto come il suo «testamento». Fino a qualche mese fa si pensava che Il ragazzo e l’airone potesse essere il suo ultimo film, ma a ottobre Toshio Suzuki, uno dei suoi collaboratori, aveva rivelato che Miyazaki stava già lavorando al suo tredicesimo lungometraggio.
Non è la prima volta che Miyazaki annuncia la fine dalla sua attività da animatore: lo aveva già fatto nel 1997, dopo l’uscita di La principessa Mononoke, ma nel 2001 tornò con La città incantata, vincitore del premio Oscar come miglior film di animazione di quell’anno. Miyazaki era tornato a parlare di un suo ritiro nel 2013, subito dopo la presentazione di Si alza il vento in un cinema di Musashino, in Giappone, giustificando la decisione sulla base delle sue condizioni di salute e in particolare della sua vista. Tornò sui suoi passi cinque anni dopo, quando realizzò Boro the Caterpillar, un cortometraggio mostrato esclusivamente al Museo Ghibli di Tokyo, dove viene tuttora proiettato quotidianamente.
Il direttore dell’animazione di Boro the Caterpillar era Takeshi Honda, animatore che ha collaborato per anni con Khara, lo studio di animazione di Hideaki Anno, autore di una delle serie animate giapponesi più conosciute e apprezzate di sempre, Neon Genesis Evangelion. Dopo l’uscita del corto, Miyazaki chiese a Honda di affiancarlo nella supervisione di Il ragazzo e l’airone. «Non mi resta molto tempo, nessun Miyazaki è mai sopravvissuto fino agli ottant’anni, quindi devi per forza venire a lavorare a questo film», gli disse. Honda ha raccontato che Miyazaki non ha imposto nessuna scadenza per la realizzazione del film, e che questa decisione ha consentito al team di animazione di lavorare «senza alcun senso di esaurimento» e di avere più tempo per soddisfare le sue richieste, notoriamente molto severe e puntigliose.
Spesso la critica rimane spiazzata dal successo che Miyazaki ha raggiunto in tutto il mondo, e lui stesso ha spesso affermato di essere «sconcertato» dalla popolarità che il suo lavoro ha riscosso all’estero. Il suo è un cinema estremamente personale, ricco di elementi autobiografici, metafore, simbolismi e onirismo, che risente dell’influenza di alcune passioni molto specifiche come l’ingegneria aeronautica e la storia dell’aviazione. Anche i temi che Miyazaki tratta nei suoi lavori, come l’ecologia, l’antimilitarismo e il rapporto tra storia e memoria, sono molto lontani dalle caratteristiche dei film di intrattenimento per famiglie in cui rientrano spesso quelli d’animazione.
Un altro elemento che distingue i film di Miyazaki è l’assenza della classica logica manichea che rende facilmente distinguibile il bene e il male, e che rappresenta un elemento distintivo della maggior parte dei lungometraggi animati, come ad esempio i classici Disney. In un articolo pubblicato su Doppiozero, Francesco Memo ha scritto che «nelle storie di Miyazaki c’è il male ma mancano i cattivi: personaggi a una dimensione che spiegano con la loro innata natura malvagia la violenza nei confronti dell’uomo e della natura. Abbondano al contrario figure ambigue, cattivi che diventano tali per educazione e addentellati morali, sociali e tecnici». A questo proposito il giornalista britannico Matt Alt, esperto di cultura pop giapponese, ha scritto che «Miyazaki non ha mai avuto l’intenzione di fare appello al mondo esterno, né tanto meno di cambiarlo».
Nato il 5 gennaio del 1941 a Tokyo, Miyazaki è figlio di una casalinga e di un importante produttore di aerei: suo padre dirigeva infatti la Miyazaki Airplane, una società aeronautica che si occupava di comporre componenti per velivoli bellici. Nel 1963 si laureò in Economia e Scienze politiche alla Gakushūin, una prestigiosa università privata giapponese.
Già dall’infanzia aveva sviluppato una certa passione per il disegno e per i manga, i fumetti giapponesi, in particolare per quelli di Osamu Tezuka, un autore che alla fine degli anni Quaranta aveva sfruttato le possibilità di questo mezzo espressivo come pochi altri prima di lui, utilizzandolo per raccontare storie complesse e di formazione. Iniziò a realizzare le prime tavole da autodidatta, e successivamente decise di provare a diventare un mangaka, cioè un autore di manga, di professione.
Subito dopo la laurea Miyazaki iniziò a lavorare per la Toei Animation, la principale azienda dell’industria dell’animazione giapponese, lavorando tra le altre cose ai disegni del film La grande avventura del piccolo principe Valiant (1968). Due anni dopo realizzò Sabaku no tami (Il popolo del deserto), il suo primo manga, pubblicato settimanalmente in ventisei puntate sulla rivista Shōnen shōjo shinbun. In questo periodo conobbe Isao Takahata, un talentuoso animatore che negli anni successivi sarebbe diventato uno dei suoi più stretti collaboratori.
L’animazione divenne l’occupazione principale di Miyazaki a partire dal 1973, quando iniziò a lavorare per la Nippon Animation e divenne il disegnatore di serie molto popolari come Heidi e Anna dai capelli rossi. Nel 1978 ideò e diresse la serie Conan il ragazzo del futuro, tratta dal romanzo di fantascienza The Incredible Tide dello scrittore statunitense Alexander Key, e l’anno successivo realizzò il suo primo lungometraggio: Lupin III – Il castello di Cagliostro, film dedicato al famoso personaggio creato da Monkey Punch.
Nel 1984 realizzò il suo primo lungometraggio d’autore, basato sui primi sedici numeri di una sua serie a fumetti, Nausicaä della Valle del vento, che usciva già da due anni sulla rivista Animage. Il film fu prodotto da Takahata e fu molto apprezzato dalla critica internazionale, che lo considerò un esempio di come l’animazione potesse essere impiegata per raccontare temi reali e di attualità, come l’erosione degli spazi naturali e la necessità di una pacifica convivenza tra culture diverse.
Dopo l’uscita di Nausicaä della Valle del vento Miyazaki e Takahata, stanchi delle rigide regole di stile imposte dalle principali società di animazione giapponesi del tempo, fondarono lo Studio Ghibli, uno studio di animazione indipendente creato allo scopo di assicurare una maggiore libertà creativa nei disegni, nella scelta dei temi, nei tempi di consegna e nello sviluppo delle storie. I primi anni di attività dello Studio Ghibli furono un periodo di grande fervore creativo, in cui prese piede l’idea di un nuovo tipo di animazione, libero dagli schematismi con cui si era soliti concepire questo tipo di produzioni all’epoca.
Nei primi lavori Miyazaki e Takahata continuarono a utilizzare tecniche di animazione tradizionali, al punto che per qualche anno lo Studio Ghibli fu etichettato come conservatore e luddista. Tuttavia, già dalla metà degli anni Novanta i disegni, i protagonisti e le ambientazioni venivano realizzati a mano e successivamente scansionati e trasposti in formato digitale, e oggi lo studio ha integrato la computer grafica in tutte le sue produzioni.
Dalla sua fondazione a oggi, lo Studio Ghibli ha realizzato 23 lungometraggi, dieci dei quali diretti dallo stesso Miyazaki e considerati in maniera unanime dei capolavori: Laputa – Castello nel cielo (1986), Il mio vicino Totoro (1988), Kiki – Consegne a domicilio (1989), Porco Rosso (1992), La principessa Mononoke (1997), La città incantata (2001), Il castello errante di Howl (2004), Ponyo sulla scogliera (2008), Si alza il vento (2013) e Il ragazzo e l’airone.
Fu in particolare La città incantata a consacrare Miyazaki e a renderlo così famoso e apprezzato. Vinse l’Oscar come miglior film di animazione, ed è tuttora l’unico anime a esserci mai riuscito e l’unico film non in inglese. Ed ebbe un enorme successo globale, sia di pubblico sia di critica, rimanendo a lungo nel giro dei festival. Contribuì in maniera decisiva a far conoscere e a nobilitare l’animazione giapponese d’autore nel mondo: per quasi vent’anni rimase il film giapponese ad avere incassato di più globalmente, con quasi 400 milioni di dollari, venendo superato nel 2020 solo dal film di Demon Slayer, un manga e un anime di grandissimo successo.
La città incantata, insomma, oltre a essere considerato uno dei migliori film di animazione mai realizzati – secondo Steven Spielberg potrebbe essere migliore di qualsiasi film Disney – fu decisivo nel portare fuori da una nicchia l’animazione giapponese, dando inizio a un processo che nei successivi due decenni avrebbe creato una delle più ricche e potenti industrie culturali nel mondo.
Miyazaki è ovviamente estremamente popolare anche in Giappone: è l’unico creatore di animazione conosciuto da qualsiasi giapponese, e i suoi film sono attesi come pochi altri. La parabola della sua produzione negli anni ha cambiato i temi trattati: i quarantenni e cinquantenni ne hanno un’immagine molto politicizzata ed ecologista (dovuta per esempio a Nausicaä della Valle del vento o La Principessa Mononoke), mentre per la generazione dei trentenni i film Ghibli sono tendenzialmente storie di formazione che accompagnano i bambini fuori dall’infanzia e verso l’adolescenza (così come succede in La città incantata e Ponyo sulla scogliera).
Le tradizioni e la cultura giapponesi sono estremamente rappresentate in alcuni dei film di Miyazaki, che hanno contribuito a diffondere nel mondo una conoscenza più approfondita e realistica dello stile di vita del paese. Altri invece sono ambientati in mondi fantastici che spesso si ispirano chiaramente all’Europa, come nel caso di Porco Rosso, che racconta il Mar Adriatico negli anni della Prima guerra mondiale, oppure di Il castello errante di Howl, ispirato all’omonimo romanzo fantasy scritto dall’autrice britannica Diana Wynne Jones nel 1986 e in cui sono presenti case con caratteristiche simili a quelle tipiche della città francese di Colmar. E a tenere insieme ambientazioni e personaggi fantastici e molto diversi tra loro, nella filmografia di Miyazaki, ci sono alcuni elementi estremamente personali, legati alla sua storia famigliare.
L’attività del padre ha per esempio avuto una profonda influenza sulla sua produzione artistica: tutti i suoi film hanno in qualche modo a che fare con il concetto di volo, e contengono dei riferimenti alla storia dell’aviazione e a famosi modelli di aerei. Memo ha sottolineato come nei film di Miyazaki sia facile imbattersi in «immense corazzate volanti che solcano i cieli come cetacei il mare, eleganti alianti e deltaplani ibridati con ali di insetto, rossi idrovolanti che planano sull’acqua azzurra, dirigibili bimotore a forma d’uccello che sferragliano tra le nuvole. L’elenco sarebbe infinito e necessiterebbe di un atlante a sé, tale è la biodiversità aeronautica che Miyazaki ha depositato nella sua lunga carriera».
L’ossessione per gli aerei di Miyazaki ha anche un significato politico: l’azienda che suo padre dirigeva ha contribuito attivamente alla costruzione di caccia da guerra che hanno causato la morte di migliaia di persone. Miyazaki non ha mai nascosto di provare un certo senso di colpa per il suo passato familiare: agli inizi degli anni Quaranta, mentre la maggior parte della popolazione giapponese viveva in ristrettezze economiche a causa della guerra, la sua famiglia si arricchì moltissimo contribuendo allo sviluppo di tecnologie di aviazione militare sempre più sofisticate.
Per questi motivi, le opere di Miyazaki tentano di bilanciare due inclinazioni: quella dell’appassionato di aviazione militare e quella pacifista. Per spiegare questo rapporto antitetico, nel libro I mondi di Miyazaki Alberto Brodesco ha coniato il termine «melanconia dell’ingegnere», notando come in tutti i suoi film «la scelta si pone tra la possibilità di costruire aerei compromettendosi con la politica, le forze armate e l’industria oppure non costruirne affatto».
Questo dilemma si riflette anche in molti personaggi, e in particolare in Jirō Horikoshi, il protagonista di Si alza il vento, un ingegnere aeronautico giapponese realmente esistito e noto per aver partecipato alla progettazione di famosi caccia giapponesi della Seconda guerra mondiale, tra cui il Mitsubishi A6M Zero, che lotta con il senso di colpa per aver contribuito alla distruzione dell’umanità. Nei sogni di Horikoshi appare spessissimo Giovanni Battista Caproni, ingegnere italiano fondatore dell’omonima azienda aeronautica che nella prima metà del Novecento fu uno dei più importanti gruppi industriali del paese. Lo stesso nome dello studio è un omaggio al Caproni Ca.309, un aereo di ricognizione sviluppato dall’azienda nella seconda metà degli anni Trenta, e che veniva definito per l’appunto “Ghibli”.
Anche i temi ecologici rappresentano una costante dei film di Miyazaki: Nausicaä della Valle del vento, il suo primo film, è una delle opere che ha contribuito maggiormente alla diffusione dell’ipotesi Gaia. Fu elaborata dallo scienziato britannico James Lovelock nel 1919, e teorizza che la Terra sarebbe una sorta di grande organismo che si autogoverna grazie alle relazioni che si instaurano tra tutti gli esseri che ci vivono e ciò che li circonda, compresa la materia inorganica. La centralità che la natura ha nei film di Miyazaki ha portato un numero crescente di persone ad associarlo a movimenti ambientalisti contemporanei come Extinction Rebellion e Fridays for Future. Tuttavia, pur partecipando attivamente a diversi progetti di preservazione della natura locale, come la pulizia dei fiumi e la raccolta di sacchetti di plastica, Miyazaki non ha mai rivendicato appartenenze di questo tipo.
Un altro merito riconosciuto a Miyazaki è quello di avere creato personaggi femminili tridimensionali, ben caratterizzati e in grado di distaccarsi dallo stereotipo disneyano della principessa alla ricerca del principe azzurro. «Molti dei suoi personaggi, tra cui la principessa Nausicaä, la ragazza-lupo San e la fattorina Kiki, erano modelli che sfidavano gli stereotipi culturali della femminilità e mostravano donne che potevano diventare tutto ciò che desideravano. In un certo senso, mi hanno davvero salvato», ha scritto Gabrielle Bellot in un articolo pubblicato sull’Atlantic.
In praticamente tutti i film di Miyazaki ci sono poi creature fantastiche dalle forme animalesche oppure di pura invenzione, che sono diventate spesso famose anche al di fuori dei suoi film. Nell’idearle, Miyazaki si è ispirato spesso al folklore giapponese, e quasi sempre sono, come molti suoi personaggi, creature ambivalenti. Le loro intenzioni e il loro rapporto coi protagonisti sono spesso difficili da decifrare, perlomeno all’inizio. E anche se possono essere disegnate in modo da suscitare tenerezza, ispirate dal noto concetto giapponese di kawaii (traducibile con “adorabile”), quasi sempre sono più sfaccettate di così, e presentano anche caratteristiche un po’ inquietanti, o si trasformano in modi inaspettati e da pucciosi diventano respingenti, oppure viceversa.