Il giorno che la Rai cominciò le trasmissioni in tv
Settant'anni fa la presentatrice Fulvia Colombo lesse il messaggio di inaugurazione del Programma Nazionale, e dopo di lei arrivò Mike Bongiorno
Alle 11:00 del 3 gennaio del 1954, settant’anni fa, la presentatrice Fulvia Colombo lesse dagli studi Rai di Milano il messaggio di inaugurazione delle trasmissioni televisive regolari del Programma Nazionale, l’attuale Rai 1. Fu il punto di arrivo di un processo di sperimentazione lungo e faticoso, durato più di vent’anni e interrotto dagli sviluppi della Seconda guerra mondiale.
In Italia infatti i primi studi sulla televisione erano iniziati già nella seconda metà degli anni Venti, e alla fine del decennio successivo l’Eiar (Ente italiano audizioni radiofoniche, la società pubblica antesignana della Rai) aveva realizzato le prime trasmissioni sperimentali negli studi di Roma, Milano e Torino. Erano guardate da un pubblico molto ristretto (le persone che potevano permettersi un televisore erano poche) e che viveva in zone geografiche circoscritte, ma rappresentavano l’inizio di un progetto che avrebbe dovuto portare la televisione in tutto il paese. L’entrata in guerra dell’Italia interruppe questo processo, che fu ripreso soltanto agli inizi degli anni Cinquanta.
Il primo programma andato regolarmente in onda sull’emittente fu Arrivi e partenze, che fu trasmesso alle 14:30 dello stesso giorno: si trattava di una breve rubrica d’intrattenimento in cui venivano intervistati personaggi italiani e internazionali che si trovavano in visita a Roma. Era condotto da Mike Bongiorno, un giornalista italoamericano che dieci anni prima era stato catturato dalla Gestapo, la polizia segreta nazista, per via della sua militanza nella Resistenza italiana. Dopo la cattura rimase per 7 mesi a San Vittore a Milano, poi fu trasferito nel Campo di transito di Bolzano e infine in un campo di concentramento in Austria, dove fu liberato all’inizio del 1945 grazie a uno scambio di prigionieri tra Germania e Stati Uniti.
Alla fine della Seconda guerra mondiale Bongiorno tornò negli Stati Uniti e iniziò la sua carriera da giornalista e annunciatore per la radio. Nel 1952, visto che conosceva bene l’italiano, fu mandato nuovamente in Italia come inviato dalla stazione radio italoamericana di New York WOV, per raccontare la ricostruzione del paese. Nella sua nuova permanenza in Italia, Bongiorno si fece conoscere nell’ambiente radiofonico che si era ricostituito dopo il regime fascista e su spinta di Vittorio Veltroni, all’epoca direttore generale della Rai, ottenne un contratto per collaborare con il Radiogiornale, a patto che prendesse qualche lezione di dizione per migliorare l’accento.
In pochi anni Bongiorno divenne il volto principale delle trasmissioni televisive della Rai: nel 1955 ottenne la conduzione di Lascia o raddoppia?, il primo quiz della televisione italiana, ripreso dal game show statunitense The $64,000 Question (La domanda da 64mila dollari). Bongiorno fu anche il protagonista di alcuni dei primi spot pubblicitari nella storia della televisione italiana: partecipò in più occasioni a Carosello, il programma preserale che con corti e animazioni aveva reso possibili i primi investimenti in pubblicità sul canale Rai.
Alle 20:45 del 3 gennaio del 1954 andò in onda anche la prima edizione regolare del telegiornale, impostata su una durata di quindici minuti: era diretto da Veltroni e condotto da Riccardo Paladini, e andò in onda in questo modo fino al 1957, quando fu anticipato alle 20:30 per cedere la prima serata a Carosello. In realtà il telegiornale veniva trasmesso in forma sperimentale già da due anni. La prima edizione andò in onda il 9 settembre del 1952, quando vennero trasmessi servizi dedicati alla regata storica di Venezia, ai funerali del conte Sforza, alla campagna elettorale negli Stati Uniti, alla corrida portoghese e al Gran Premio di Formula 1 a Monza.
Alle 23:15 andò in onda la prima puntata della Domenica sportiva, programma di approfondimento dedicato al campionato italiano di calcio che viene trasmesso ancora oggi. Tra le altre cose, furono mostrate le prime immagini di una partita: si trattava di Inter-Palermo, che si concluse con il risultato di 4 a 0. Sergio Brighenti, che in quell’occasione segnò una tripletta, fu il primo calciatore ospite della trasmissione, che era condotta dal giornalista sportivo Nicolò Carosio. Come nel caso del telegiornale, anche il calcio arrivò sul Programma Nazionale dopo un lungo periodo di sperimentazione: alla fine degli anni Quaranta, con l’introduzione delle telecamere mobili, fu possibile realizzare le prime riprese delle partite. Grazie a questa tecnica il 5 febbraio 1950, per la 23esima giornata di Serie A, si tentò la prima telecronaca sportiva con Carlo Balilla Bacarelli che commentò Juventus-Milan (finì 1-7).
Il 10 aprile del 1954, a causa dell’estensione della propria attività al settore televisivo, la denominazione della Rai cambiò: da Radio Audizioni Italiane S.p.A. iniziò a chiamarsi Radiotelevisione Italiana S.p.A. L’anno prima era stata allargata la rete nazionale dei trasmettitori televisivi, fino a quel momento presenti soltanto a Roma, Torino e Milano, con la costruzione di quelli del Monte Penice, del Monte di Portofino, del Monte Serra e del Monte Peglia. Nel 1954 la rete era già in grado di raggiungere il 36% della popolazione italiana, e due anni dopo fu estesa fino al Sud e alle Isole.
Nei suoi primi anni di attività, la Rai potenziò la propria offerta aumentando la copertura dell’attualità. Nel 1955 fu realizzata la prima telecronaca di una seduta parlamentare: accadde tra il 28 e il 29 aprile, quando il parlamento elesse Giovanni Gronchi come terzo presidente della Repubblica.
L’anno successivo la Rai ottenne gratuitamente i diritti per le Olimpiadi di Cortina d’Ampezzo, i primi Giochi invernali ospitati dall’Italia e i primi a venire trasmessi in diretta in televisione. La cerimonia di apertura, ripresa per la prima volta dalle telecamere dell’emittente pubblica, si tenne alla presenza di Gronchi e della madrina dell’evento Sophia Loren.
Uno dei primi obiettivi della Rai fu quello di sfruttare il mezzo televisivo per promuovere l’alfabetizzazione in Italia. Nell’immediato dopoguerra, e all’indomani del crollo del fascismo, circa sei milioni di persone non erano in grado di leggere e scrivere. A partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, la Rai creò dei programmi indirizzati a questo scopo, che imitavano in tutto e per tutto delle lezioni scolastiche.
Il progetto iniziò nel 1958, quando grazie al sostegno del ministero della Pubblica Istruzione la Rai mandò in onda la prima edizione di Telescuola. Il programma era stato congegnato per contrastare la dispersione scolastica: ai tempi non tutti i comuni italiani avevano degli istituti scolastici, e l’idea era che una trasmissione del genere potesse aiutare i ragazzi che vivevano in zone periferiche a imparare a leggere e scrivere.
Due anni dopo andò in onda Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta, programma condotto dal docente e pedagogista Alberto Manzi. Manzi è ricordato ancora oggi come una figura chiave del processo di alfabetizzazione italiano: nel suo programma offriva lezioni di lettura e scrittura a persone adulte che non avevano potuto frequentare le scuole durante il periodo bellico. Negli anni attorno alla figura di Manzi è stata costruita una vera e propria mitologia: tuttavia, quantificare il suo effettivo apporto all’aumento dell’alfabetizzazione non è semplice. Ad esempio, il critico televisivo del Corriere della Sera Aldo Grasso ha sostenuto in qualche occasione che le persone impararono a parlare in italiano guardando i primi programmi di intrattenimento della Rai, come Lascia o raddoppia? e Il musichiere.
Anche se le trasmissioni iniziarono nel 1954, in Italia la volontà di creare una programmazione televisiva regolare era presente già nella seconda metà degli anni Venti. Nel 1929 Alessandro Banfi e Sergio Bertolotti, due ingegneri elettronici che lavoravano per l’Eiar, trasmisero in laboratorio la prima immagine della storia della televisione italiana: raffigurava una bambola prodotta dalla Lenci, una famosa fabbrica di giocattoli torinese. Nel 1939 a Roma, Torino e Milano entrarono in funzione i primi trasmettitori televisivi, e l’Eiar iniziò a realizzare le prime trasmissioni televisive sperimentali: si trattava di trasmissioni di intrattenimento che risentivano del controllo ideologico del regime fascista e che erano rivolte a un pubblico molto ristretto.
Le aziende elettrotecniche italiane iniziarono a produrre televisori a valvole, destinati alle poche persone che potevano permetterseli, come gerarchi fascisti, industriali e imprenditori. Anche se le persone in grade di sopportare la spesa necessaria ad acquistare un televisore erano pochissime e le antenne per la ricezione delle immagini erano state allestite soltanto in tre città, il processo avrebbe dovuto portare alla nascita di una rete pubblica. Il 31 maggio del 1940 le trasmissioni furono interrotte per ordine del governo, a causa dell’imminente entrata in guerra dell’Italia.
Con l’inizio della Seconda guerra mondiale le aziende smisero di produrre televisori, riconvertendosi e concentrandosi principalmente sulla realizzazione di radiotrasmittenti e materiale bellico. Questo periodo di sperimentazione è stato raccontato dall’attore e saggista Diego Verdegiglio nel libro La Tv di Mussolini. Sperimentazioni televisive nel ventennio fascista. Tra le altre cose, Verdegiglio sottolinea come durante la guerra gli archivi dell’EIAR furono distrutti, facendo andare perduto tutto il materiale prodotto durante questa fase embrionale della televisione italiana.
Nel 1961 iniziarono anche le trasmissioni del Secondo Programma, l’attuale Rai 2. Luca Barra, esperto di storia della televisione, professore associato all’Università di Bologna e autore del libro Palinsesto – Storia e tecnica della programmazione televisiva, spiega che l’arrivo del Secondo Programma «ebbe una portata che oggi fatichiamo addirittura a concepire», per come «aprì ad altre possibilità» e per quanto cambiò i termini di un’offerta che fino ad allora era stata «singola, univoca e contingentata». Anche se, all’inizio, Secondo Programma aveva il semplice scopo di «raddoppiare alcune fasce orarie», aumentare e variare un poco, per alcune ore al giorno, l’offerta televisiva della Rai.
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Nei primi anni non esisteva una vera e propria concorrenza tra i due canali della Rai. Anzitutto perché all’inizio Secondo Programma trasmetteva per circa un terzo delle ore totali di Programma Nazionale. Poi perché, come ha scritto sul Fatto Quotidiano Giorgio Simonelli, professore ed esperto di storia della televisione, «l’idea di porre i due canali in concorrenza non sfiorava neppure la dirigenza Rai, al contrario la collaborazione era così forte che presto si inventò il triangolo, un segno grafico di forma triangolare che appariva sui teleschermi nel corso di ogni trasmissione nel momento in cui sull’altro canale cominciava un diverso programma».
Col tempo il Secondo Programma riuscì comunque a ritagliarsi il suo spazio. In parte come luogo in cui sperimentare nuovi formati, approcci e linguaggi, in un modo per certi versi simile a quanto avrebbe fatto Rai 3 dal 1979. In parte, soprattutto dagli anni Settanta in poi, come alternativa spesso considerata più giovane e fresca rispetto al Programma Nazionale.