La riforma della giustizia proposta dal governo israeliano, spiegata
Prevede un indebolimento del potere giudiziario e per l'opposizione è un pericolo per la democrazia, ma con la guerra è stata in parte accantonata
La riforma della giustizia in Israele è il progetto legislativo più importante e controverso portato avanti dal governo israeliano del primo ministro Benjamin Netanyahu, che è entrato in carica alla fine del 2022 ed è il più di destra della storia del paese.
La riforma, presentata all’inizio del 2023, ha generato enormi scontri e proteste.
Netanyahu e i suoi alleati vedono da tempo nell’interventismo del sistema giudiziario, e in particolare negli ampi poteri di veto della Corte suprema del paese, un elemento di squilibrio nella democrazia israeliana, e soprattutto un ostacolo ai propri progetti di governo. Al contrario, per l’opposizione e buona parte della società civile i tentativi del governo di indebolire il potere giudiziario sono un serio pericolo per la democrazia. Per mesi nel corso del 2023 migliaia di persone (e in molti casi decine o centinaia di migliaia) hanno protestato tutti i sabati in grandi manifestazioni contro il governo.
L’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e l’inizio della guerra a Gaza hanno però cambiato molte priorità, sia nel governo sia nella società.
La riforma della giustizia voluta dal governo era composta da diversi progetti di legge che prevedevano tra le altre cose delle modifiche alla composizione della Corte suprema, una riduzione dei suoi poteri, maggiori poteri al parlamento e così via. Di tutte queste leggi una sola è stata approvata a luglio: è quella sull’abolizione della “clausola di ragionevolezza” che il parlamento aveva approvato dopo enormi proteste a luglio, e che la Corte suprema ha respinto il 1° gennaio del 2024.
Le altre componenti della riforma avrebbero dovuto essere presentate, discusse ed eventualmente approvate in autunno, a partire da novembre (anche perché il parlamento israeliano va in pausa da luglio a ottobre), ma l’inizio della guerra a Gaza ha cambiato le cose. Le parti non approvate della riforma sono state accantonate, e anche le proteste contro il governo sono terminate e sostituite poi da altre proteste, che hanno riguardato però gli ostaggi di Hamas e non la riforma della giustizia.
La legge sull’abolizione della “clausola di ragionevolezza” approvata dal parlamento israeliano a luglio del 2023 e respinta a gennaio dalla Corte suprema era comunque una delle parti più importanti della riforma della giustizia. La “clausola di ragionevolezza” prevede che se i giudici della Corte suprema ritengono che un provvedimento amministrativo sia in qualche modo “irragionevole”, lo possono abolire senza che il parlamento possa fare niente per intervenire.
Questa clausola, introdotta dalla Corte suprema negli anni Ottanta, è stata per decenni uno dei principali contrappesi al potere del governo in Israele, dove non esiste una Costituzione formale ma soltanto una serie di Leggi fondamentali che sanciscono i diritti individuali e le relazioni tra cittadini e stato. Il governo avrebbe voluto eliminarla, ma la Corte suprema gliel’ha impedito.
Le altre leggi previste dalla riforma, e che a causa della guerra sono state accantonate, prevedevano vari altri sistemi di indebolimento del giudiziario.
Il principale riguardava le modalità di nomina dei giudici. Attualmente tutti i giudici del paese, sia quelli della Corte suprema sia quelli delle corti inferiori, sono selezionati da una commissione composta da nove membri di cui soltanto quattro, cioè la minoranza, sono scelti dal governo (i membri della commissione sono: tre giudici della Corte suprema stessa, due rappresentanti dell’associazione forense israeliana, due membri del parlamento e due ministri del governo: già adesso comunque la Corte non è isolata dalla politica, e la maggior parte dei giudici ha tendenze conservatrici). Il governo avrebbe voluto portare a 11 i membri della commissione che seleziona i nuovi giudici, e portare a otto i membri di nomina politica. In questo modo, avrebbe avuto il dominio totale delle nomine, sia dei giudici della Corte suprema sia dei giudici delle corti inferiori.
Un’altra proposta, che però era già stata accantonata prima della guerra a causa delle proteste, avrebbe dato al parlamento la facoltà di annullare le decisioni della Corte suprema: sarebbe bastato un voto a maggioranza semplice per ignorare le sentenze della Corte sui provvedimenti del governo.