Davvero gli olandesi si mangiarono un primo ministro?
È una leggenda piuttosto diffusa che si basa su alcune testimonianze del brutale omicidio di Johan de Witt nel 1672, un anno terribile per il paese
Il Seicento fu un momento di enorme prosperità economica e culturale nella storia dei Paesi Bassi, al tempo conosciuti come Repubblica delle Sette Province Unite. La seconda parte di quello che viene ricordato come “Secolo d’oro olandese” però fu segnata dal cosiddetto Rampjaar, l’anno disastroso, un periodo in cui secondo il detto locale «la gente era irrazionale, il governo impotente e il paese senza possibilità di salvezza».
Il 1672 è rimasto nella memoria storica collettiva soprattutto per il brutale assassinio dell’allora primo ministro Johan de Witt e di suo fratello Cornelis, uccisi e mutilati da una folla di sostenitori della dinastia degli Orange-Nassau che si dice mangiarono perfino alcune parti dei loro corpi. È difficile sapere con certezza se dopo il linciaggio dei de Witt ci furono davvero episodi di cannibalismo, ma è una storia che nei Paesi Bassi è molto diffusa e in base alle testimonianze raccolte dagli storici sembrerebbe perlomeno plausibile.
Per quasi vent’anni Johan de Witt fu uno dei pochi leader europei a non far parte di una monarchia. Noto come uomo politico brillante ed eloquente, era nato nel 1625 a Dordrecht, una delle più importanti città olandesi di allora, e proveniva da una famiglia molto potente che governava il territorio da secoli. Studiò legge e matematica all’Università di Leida, prese un dottorato all’Università francese di Angers e poi cominciò a esercitare la professione di avvocato all’Aia. Intraprese la carriera politica grazie all’influenza del padre, che era sindaco di Dordrecht, e nel 1653, a 28 anni, fu eletto gran pensionario d’Olanda: un ruolo paragonabile a quello del primo ministro, che ricoprì fino a poco prima della morte.
Era il periodo delle guerre anglo-olandesi per il predominio sui mari: Amsterdam era al centro dei commerci mondiali e de Witt era alla guida del partito degli Stati olandesi, che sosteneva la Repubblica ed era attento a tutelare gli interessi dei ricchi mercanti del paese. Non piaceva tuttavia a una buona parte della popolazione, che avrebbe preferito la monarchia: i de Witt erano considerati rivali della casa degli Orange-Nassau, il ramo della dinastia da cui discende l’attuale famiglia reale olandese.
Nel 1667 de Witt riuscì a negoziare la fine della seconda guerra anglo-olandese con il Trattato di Breda e a ottenere l’appoggio di Inghilterra e Svezia per contenere l’aggressiva politica espansionistica del re francese Luigi XIV. Grazie a un accordo segreto, tuttavia, nella primavera del 1672 Francia e Inghilterra attaccarono e invasero il territorio olandese senza troppe fatiche. In questo contesto de Witt fu accusato di aver trascurato l’esercito, mentre Guglielmo III d’Orange, il futuro re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, acquisì ancora più seguito.
Alla fine di giugno de Witt fu gravemente ferito da un uomo che aveva cercato di assassinarlo e all’inizio di agosto si dimise dalla carica di gran pensionario; al contempo Guglielmo III fu proclamato statolder, ovvero luogotenente delle Province Unite. Cornelis de Witt, che era un alto ufficiale della marina e stretto consigliere del fratello, fu invece arrestato per tradimento, portato in una prigione all’Aia e torturato con l’accusa di aver complottato per uccidere il nuovo statolder. Il massacro fu compiuto il 20 agosto, quando Johan de Witt andò a trovare il fratello per aiutarlo a prepararsi in vista dell’esilio a cui era stato condannato per non aver confessato le sue presunte colpe.
Una volta usciti dal carcere, i due furono assaliti da una folla di militanti orangisti armati di fucili, pistole e spade. Lo storico dell’Università di Utrecht Maarten Prak dice che un uomo puntò una pistola al collo di Johan de Witt e sparò, uccidendolo: dopodiché cominciarono a sparare anche altri, sia contro di lui sia contro il fratello. Secondo diverse ricostruzioni, i loro corpi vennero spogliati e appesi alla forca a testa in giù, per poi essere mutilati e smembrati. Un uomo che aveva partecipato al linciaggio, Hendrik Verhoeff, scrisse che vennero tagliati loro le mani, le dita, i nasi e le orecchie. La rivista di storia Historiek ricorda che il cuore di Johan de Witt fu strappato.
La gente cominciò a vendere parti dei corpi dei de Witt all’asta nelle strade dell’Aia, ma «ci sono testimonianze che alcune di queste vennero mangiate, come espressione dell’odio rivolto in particolare verso la politica di Johan de Witt», spiega Prak. Secondo il poeta Joachim Oudaen, testimone oculare dell’episodio, parte dei loro intestini venne mangiata dalle persone presenti oppure data ai cani. Una versione della storia dice che la gente si mangiò anche il loro fegato; un’altra, che qualcuno mangiò un occhio di Johan de Witt.
L’episodio di cannibalismo è discusso tra gli storici ed è possibile che alcuni dettagli della vicenda siano stati ingigantiti, ma è comunque certo che l’assassinio dei de Witt fu brutale. Al tempo inoltre succedeva effettivamente che durante le rivolte la folla portasse a casa dei “souvenir” dei linciaggi, come i denti o qualche dito delle persone uccise. È anche per questo motivo che alcuni sostenitori dei de Witt conservarono come reliquie quelli che si dice siano la lingua di Johan e un dito di Cornelis assieme ad alcuni testi che ricostruivano la loro fine.
Nel 1889 la lingua e il dito furono donati al museo di Storia dell’Aia, dove tuttora sono conservati in una piccola teca di legno con coperchio di vetro ed esposti di tanto in tanto. Alcuni anni fa i resti furono analizzati dall’Istituto forense olandese: i ricercatori non riuscirono a determinare con certezza che appartenessero al gran pensionario e a suo fratello, ma conclusero che «il dito era stato rimosso con la forza dal resto del corpo e apparteneva a un uomo che nel 1672 aveva tra i 40 e i 50 anni». Poteva quindi essere effettivamente di Cornelis de Witt, che al momento della morte ne aveva 49.
Del linciaggio scrisse anche Alexandre Dumas padre nel romanzo del 1850 Il tulipano nero:
D’altronde restava poco più a vedersi, perché un terzo assassino per finirla scaricogli un colpo di pistola, che questa volta prese, e fecegli saltare il cranio. Giovanni de Witt cadde per non più rialzarsi.
Allora ognuno di quei miserabili fatti arditi della sua caduta scaricò la sua arme sopra quel cadavere; ognuno volle dargli un colpo di mazza, di spada o di coltello; ciascuno volle la sua goccia di sangue, ciascuno un brano del suo vestito.
Poi, quando ambedue furono morti affatto, sbranati, spogliati, il popolaccio strascinolli nudi e sanguinanti a una forca improvvisata, dove furono sospesi pei piedi da carnefici dilettanti.
Allora arrivarono i più vigliacchi che, non avendo ardito colpire la carne viva, spezzettarono la carne morta; e poi andarono a vendere per la città quei piccoli pezzetti di Giovanni e di Cornelio a dieci soldi l’uno.
Non è mai stato chiarito se Guglielmo III d’Orange fosse stato coinvolto in qualche modo nell’assassinio dei de Witt. A ogni modo, non fece mai perseguire nessuna delle persone che avevano partecipato al linciaggio. Oggi la prigione dell’Aia in cui Cornelis de Witt venne torturato è diventata un museo: si trova accanto alla piazza in cui fu ucciso assieme al fratello, a cui è dedicata una statua posata nel 1916.
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