Il contestato piano per “imbrigliare” la falesia sarda di Punta Giglio
Comitati e associazioni si oppongono all'installazione di reti per ridurre il rischio crolli in un tratto di mare dove c'è già il divieto di navigazione
Nel 2022 il parco di Porto Conte, che ha il compito di salvaguardare l’area naturale del mare e della costa di Alghero, in Sardegna, ha presentato un progetto per “imbrigliare” la falesia di Punta Giglio, cioè in sintesi mettere attorno alla roccia una rete per proteggerla. L’obiettivo del parco è mettere in sicurezza il tratto di mare che si trova sotto la falesia, dove dal 2015 la capitaneria di porto ha istituito un divieto di navigazione per il rischio di caduta di massi. È una zona impervia, senza spiagge o attrazioni turistiche subacquee come relitti o grandi grotte, e poco frequentata già prima del divieto. Fin dalla presentazione il progetto è stato contestato da comitati civici e ambientalisti, associazioni e docenti universitari che hanno sostenuto l’inutilità di un intervento così impattante per l’ambiente.
La falesia di Punta Giglio si trova a nord di Alghero. Si definisce “falesia” un promontorio con una costiera molto alta a picco sul mare, formata da rocce calcaree fragili e costantemente soggette alla forza erosiva del mare. Sulle falesie di Punta Giglio, si legge nella descrizione sul sito del parco, nidifica una delle colonie di falco pellegrino più importanti e numerose del Mediterraneo e nel periodo estivo si trovano esemplari di berte, che fanno un verso peculiare, simile al lamento di un bambino.
Questo tratto di costa è inserito in diverse aree di salvaguardia naturale: è zona di protezione speciale (ZPS), zona speciale di conservazione (ZSC), sito di interesse comunitario (SIC) e inserita nella rete di Natura 2000 istituita dall’Unione Europea per la protezione e la conservazione degli habitat naturali. A queste protezioni si aggiungono quelle previste dal parco naturale regionale di Porto Conte dell’area marina di Capo Caccia, riconosciuta come “area specialmente protetta di interesse mediterraneo” (ASPIM).
Nonostante il principio di pura conservazione dell’ambiente naturale previsto per tutti i siti inseriti nella rete Natura 2000, lo scorso anno il parco di Porto Conte ha approvato un progetto per mettere in sicurezza la falesia e «valorizzare la fruizione del comprensorio di Punta Giglio attraverso l’implementazione di un sistema di fruizione a terra e a mare». Per evitare il rischio di crolli, il progetto prevede l’installazione di reti metalliche di contenimento, chiodi e funi, oltre alla demolizione controllata dei massi in bilico.
Oltre a “imbrigliare” la falesia, il parco vuole installare ormeggi e 13 boe di fronte a Punta Giglio, prolungare un molo, il cosiddetto Moletto Finanza di Porto Conte, e installare altre 9 boe per l’ormeggio di barche fino a 24 metri dedicate ad attività di snorkeling e trasporto dei turisti. Il costo dei lavori è di circa 500mila euro.
La principale obiezione di comitati e associazioni, al di là del significativo impatto naturalistico e paesaggistico, riguarda l'inutilità dell’intervento. Secondo i tecnici del servizio distrettuale idrografico (ADIS), un ente della Regione Sardegna, le reti e la demolizione controllata non ridurrebbero del tutto il rischio di crolli per via dei troppi punti potenziali di distacco. Il crollo, infatti, è un fenomeno naturale e non prevedibile con una falesia di questo tipo.
L’intervento non garantirebbe con certezza la revisione dell’attuale classificazione “alta pericolosità di frana”, che motiva il divieto di navigazione fino a 200 metri dalla costa imposto dalla capitaneria. Le associazioni Italia Nostra Sardegna, Punta Giglio Libera-Ridiamo vita al Parco, Earth Gardeners e Siamo tutti importanti hanno pubblicato un comunicato in cui dicono che l'unica cosa da fare sarebbe lasciare tutto com'è: «La soluzione più efficace e non impattante non può che essere quella dell’Opzione Zero ovvero la scelta della “non interferenza” con i fenomeni naturali in atto, conservando le misure di sicurezza che di fatto azzerano il rischio». Le reti e le demolizioni controllate, inoltre, modificherebbero l'habitat di molte specie di uccelli che fanno il nido sulla falesia.
I comitati e le associazioni hanno promosso una raccolta firme a cui hanno aderito 30mila persone e inviato un esposto al ministero dell’Ambiente per impedire l’inizio dei lavori alla falesia e chiedere una Valutazione di incidenza appropriata, la VINCA, solitamente obbligatoria quando si interviene nei siti di Natura 2000 e invece in questo caso esclusa dal parco. L’obiettivo della mobilitazione è valutare con più attenzione i costi ambientali, paesaggistici, economici e sociali a fronte dei benefici che riguardano la sicurezza e la frequentazione del mare, auspicati e non certi. La stessa richiesta è stata sostenuta da 40 professori dell’università di Sassari che hanno scritto al parco, al comune, alla regione e al ministero per chiedere di spendere i soldi in altre opere di salvaguardia.
In un articolo sul Fatto Quotidiano, il direttore generale del parco Mariano Mariani ha detto che la messa in sicurezza della falesia è necessaria perché il divieto della capitaneria non basta a impedire la frequentazione: «Quel tratto di mare, nonostante le necessarie boe di segnalazione e l’esistenza di una ordinanza interdittiva della locale capitaneria di Porto, continua ad essere molto frequentato dall’uomo (spesso senza alcuna autorizzazione) con i conseguenti ipotizzabili rischi».
Il presidente del parco, Raimondo Tilocca, ha assicurato che il progetto rispetta tutte le leggi e le prescrizioni. Per venire incontro almeno parzialmente alle richieste di comitati e associazioni, il parco ha acconsentito a rinviare l’inizio dei lavori in attesa di istituire una commissione tecnica composta da botanici, ornitologi e geologi oltre a un comitato scientifico di docenti universitari che sorveglieranno i lavori del cantiere. Gli esperti saranno comunque scelti dal parco nonostante esistesse già una commissione Riserva, indipendente e scaduta a metà maggio, mai consultata nelle fasi iniziali del progetto. In ogni caso, obiettano i rappresentanti dei comitati, gli esperti non avrebbero alcuna possibilità di impedire l'esecuzione dei lavori già progettati.
Intervistato da Repubblica, Tilocca ha giustificato l’intervento sostenendo che le reti avvolgerebbero soltanto 600 metri quadrati di roccia, il 2% della costa, e che in passato lavori simili sono stati fatti in altri punti. Tilocca si riferisce in particolare alla costa vicino alla grotta di Nettuno, messa in sicurezza perché ogni anno da decenni ospita migliaia di turisti. In merito al molo e alle boe, il presidente ha detto che gli ormeggi garantiranno un’entrata economica al parco, un «flusso di cassa che ci serve per mantenere in piedi la struttura e fornire servizi ai visitatori». Ogni anno il parco ha circa 5 milioni di spese, di cui 1,3 garantiti dal ministero dell’Ambiente e dalla Regione Sardegna. Tra le altre cose, secondo il direttore Mariani, l'annullamento dei lavori in questa fase costerebbe 150mila euro che il parco dovrebbe risarcire all’azienda specializzata che ha vinto l’appalto.
Molti dubbi di comitati e associazioni riguardano proprio il cantiere: è complicato impedire ai massi interessati dalla demolizione di non depositarsi sul fondo del mare e in più non è ben chiaro quale sia l’impatto delle reti e dei mezzi sull’area che sovrasta la falesia. Il campo base del cantiere, per esempio, è stato posizionato in un'antica cisterna dismessa che era a servizio di una batteria antinavale risalente alla Seconda guerra mondiale. La stessa batteria, tutelata dalla soprintendenza, era stata interessata da una polemica per via dei lavori di riqualificazione che l’hanno trasformata in una struttura ricettiva con bar e ristorante all’interno dell’area protetta.