Chi è favorevole e chi è contrario al nucleare in Europa
La Spagna ha deciso di spegnere le sue centrali entro il 2035 ma tanti altri paesi vogliono investire in nuovi reattori: in Italia se ne discute ma i partiti vanno in ordine sparso
Mercoledì il governo spagnolo ha approvato un piano che prevede la chiusura graduale delle centrali nucleari del paese entro il 2035. Se la decisione non sarà rivista nel prossimo decennio, la Spagna seguirà la Germania, che ad aprile aveva spento i suoi ultimi tre reattori, nella rinuncia al nucleare.
Fino a qualche tempo fa sembrava che anche il Belgio e la Svizzera si preparassero a chiudere le loro centrali, poi però le cose sono cambiate e le divisioni sono aumentate. Di recente in Europa si è diffuso un grande interesse per gli investimenti nel nucleare: sia per ridurre l’uso dei combustibili fossili, a cui si deve il cambiamento climatico, sia per limitare la dipendenza dalla Russia, uno dei principali paesi che esportano gas naturale e petrolio. I noti pericoli legati al ricorso a questo tipo di energia rimangono però un freno per molti governi.
Sul fronte dei paesi favorevoli c’è prima di tutto la Francia, che possiede 56 dei 100 reattori attivi nell’Unione Europea e ne sta costruendo uno nuovo. Un altro nuovo reattore si sta approntando in Slovacchia, mentre altri cinque paesi hanno in programma di aggiungere nuove centrali a quelle già esistenti. La Polonia, che attualmente è priva di centrali nucleari e ancora nel 2022 aveva prodotto più del 40 per cento della propria energia col carbone, il più inquinante dei combustibili fossili, sta progettando di cominciare la costruzione della sua prima centrale nucleare nel 2026. Conta di iniziare a produrre energia così nel 2033.
Al momento i paesi dell’Unione Europea che producono energia nucleare sono dodici su 27, meno della metà del totale. Oltre alla Francia, alla Spagna e al Belgio (che ha 5 reattori), ci sono la Bulgaria (2), la Finlandia (5, l’ultimo entrato in funzione ad aprile), i Paesi Bassi (1), la Romania (2), la Repubblica Ceca (6), la Slovacchia (5), la Slovenia (1, condiviso con la Croazia), la Svezia (6) e l’Ungheria (4). Con eccezione della Spagna (che ha detto di volervi rinunciare) e con quella del Belgio (che terrà aperte per altri dieci anni le centrali nucleari che ha già senza piani di aprirne altre), tutti questi paesi si sono presi l’impegno di contribuire a triplicare la capacità di produzione di energia nucleare globale entro il 2050 nel corso della COP28 di Dubai, l’ultima conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si è tenuta all’inizio del mese.
Nel 2021, prima dell’inizio della guerra in Ucraina, l’energia elettrica prodotta nelle centrali nucleari nei paesi dell’Unione era pari a un quarto del totale di energia elettrica prodotta. Nello stesso anno il 13 per cento dell’energia consumata era stata prodotta da centrali nucleari (quando si considera l’energia effettivamente usata si conteggia anche quella comprata da paesi esterni all’Unione).
Comunque negli ultimi decenni la quantità di energia prodotta in questo modo è diminuita, sia in termini percentuali, che assoluti: nel 2021 le centrali europee hanno prodotto 731 terawattora; nel 2004, anno del massimo raggiunto, 900 (un terawattora sono un miliardo di kilowattora, che è l’energia che consuma un piccolo asciugacapelli in un’ora, più o meno).
La diminuzione dell’energia nucleare prodotta non è dipesa solo della decisione dell’allora governo tedesco di Angela Merkel di rinunciare al nucleare dopo il disastro di Fukushima, nel 2011, ma anche dal fatto che molte centrali nucleari diventate obsolete e chiuse per questioni di età non sono state rimpiazzate. In generale la produzione di energia nucleare richiede investimenti ingenti e tempi lunghi: la costruzione da zero di una nuova centrale richiede almeno 10 anni e decine di miliardi di euro.
Anche con le tecnologie più avanzate sono necessarie molte risorse: per questa ragione negli ultimi quindici anni è stato attivato un solo nuovo reattore, l’OL3 della centrale finlandese di Olkiluoto, entrato in funzione ad aprile. È il primo reattore nucleare europeo ad acqua pressurizzata (EPR), cioè il primo appartenente a una nuova generazione di reattori che dovrebbero garantire maggiori efficienza e sicurezza. La sua costruzione ha subìto grossi ritardi: secondo i piani iniziali sarebbe dovuta terminare nel 2009. Ci sono voluti oltre dieci anni in più.
Negli ultimi tempi anche in Italia il dibattito sull’energia nucleare si è molto ravvivato, anche perché i politici a parlarne sono stati sempre di più. I partiti apparentemente più interessati sono la Lega e Azione di Carlo Calenda. A giudicare però dalle dichiarazioni degli ultimi tempi analizzate da Pagella Politica le opinioni su cosa fare sono diverse, sia nella maggioranza che nei partiti all’opposizione.
Per ora non sono state raggiunte particolari conclusioni e non è ancora stato stabilito dove sarà costruito il deposito nazionale permanente delle scorie nucleari, che da progetto dovrebbe isolare le scorie dall’ambiente per più di 300 anni. Il 13 dicembre il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica ha pubblicato l’elenco delle aree idonee per realizzarlo ed entro la fine dell’anno avrebbe dovuto esserne scelta una.
Attualmente i rifiuti nucleari italiani si trovano all’interno di una ventina di depositi sparsi sul territorio. In gran parte furono prodotti nei 32 anni di funzionamento delle centrali nucleari, ma sono anche scarti di tante altre attività: per esempio l’industria e la medicina nucleare, dove vengono utilizzate sostanze radioattive a scopo diagnostico, terapeutico e di ricerca. Le tre centrali nucleari italiane ancora attive all’epoca dell’incidente di Chernobyl nel 1986 furono tutte disattivate negli anni successivi, a seguito di un referendum.
Trovare una soluzione definitiva su dove tenere le scorie comunque non è stato o non è semplice anche in altri paesi europei, compreso quello che più di tutti sfrutta l’energia nucleare. La Francia ha individuato il sito più adatto sul proprio territorio alla fine degli anni Novanta, ma non ha ancora iniziato a costruirlo anche per via delle numerose contestazioni al progetto. La Germania, come l’Italia, non ha ancora scelto il luogo del proprio deposito permanente.