La destra fatica a mettersi d’accordo sulle regionali
Salvini vuole riconfermare i presidenti uscenti per mantenere il vantaggio della Lega sugli alleati, Meloni naturalmente non è d'accordo
Nel 2024 si terranno cinque elezioni regionali: si voterà per scegliere i presidenti di Sardegna, Abruzzo, Basilicata, Piemonte e Umbria, e tra i partiti che formano la coalizione di destra c’è un po’ di agitazione per la scelta dei candidati. La destra governa attualmente in tutte e cinque le regioni con presidenti al primo mandato, che dunque potrebbero essere riconfermati per altri cinque anni.
Matteo Salvini, il segretario federale della Lega e ministro dei Trasporti, ha proposto pubblicamente di riconfermare i presidenti uscenti. Il suo slogan al riguardo è «squadra che vince non si cambia»: secondo Salvini scegliere di non ricandidare un presidente in carica sarebbe come ammettere che l’operato del presidente stesso e della coalizione che lo sostiene non sia stato soddisfacente. In più, ricandidarsi comporta indubbi vantaggi: il presidente in carica conosce bene le dinamiche sia politiche sia burocratiche della regione, può puntare sulla continuità amministrativa, vanta una maggiore esperienza nei confronti dei suoi avversari.
Ma Salvini sostiene questa tesi anche per convenienza personale. La Lega attualmente esprime due dei cinque presidenti uscenti, in Sardegna e in Umbria: questo perché la distribuzione delle candidature a presidente riflette gli equilibri politici interni al centrodestra del 2019, quando la Lega era di gran lunga il partito egemone della coalizione con oltre il 30 per cento dei consensi. La riproposizione di questo schema, dunque, svantaggerebbe al contrario Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni nel 2019 aveva tra il 5 e il 6 per cento dei consensi, e anche per via di questa sua debolezza ottenne una sola delle cinque regioni che voteranno quest’anno, l’Abruzzo.
Questo spiega perché Fratelli d’Italia preferirebbe non riconfermare i presidenti uscenti, visto che oggi i rapporti di forza dentro alla coalizione si sono ribaltati: Fratelli d’Italia è dato tra il 25 e il 30 per cento, grossomodo il triplo o il quadruplo dei consensi attribuiti a Lega e Forza Italia, e quindi vorrebbe ridiscutere le candidature attuali, per ottenere un maggior numero di candidati propri. E per sostenere le loro ragioni, i dirigenti di Fratelli d’Italia ricordano un precedente in cui fu proprio Salvini a non rispettare il principio per cui «squadra che vince non si cambia».
In vista delle elezioni regionali in Sicilia, che si tennero nel settembre del 2022 insieme alle elezioni politiche nazionali, Salvini aveva infatti più volte contestato l’idea di ricandidare il presidente uscente di centrodestra, Nello Musumeci, molto vicino a Meloni e da tempo in conflitto con la Lega a livello locale. Alla fine Salvini ottenne di impedire la ricandidatura di Musumeci, anche grazie al sostegno di Forza Italia, e la coalizione di destra vinse le regionali con un candidato espresso dal partito di Silvio Berlusconi, e cioè Renato Schifani. Musumeci fu nominato ministro per la Protezione civile subito dopo da Meloni, un po’ a risarcimento della mancata ricandidatura.
La Sardegna è la prima regione in cui si voterà nel 2024, il 25 febbraio, quindi la sintesi tra le posizioni divergenti di Lega e Fratelli d’Italia dovrà passare necessariamente da lì, nel giro di un paio di settimane al massimo. Si era parlato di una possibile riunione tra i tre leader della coalizione – Salvini, Meloni e Antonio Tajani di Forza Italia – nei giorni tra Natale e Capodanno: ma l’appuntamento potrebbe essere rimandato perché Meloni è influenzata da più di una settimana.
Mercoledì Salvini è andato a Cagliari per un viaggio istituzionale come ministro dei Trasporti, ma da lì ha detto alcune cose di un certo rilievo sulla questione delle ricandidature. «Sicuramente ho sempre applicato il principio “squadra che vince non si cambia”: in Sardegna, come in Abruzzo, come in Basilicata, in Piemonte, in Umbria. Ovviamente per quello che mi riguarda un sindaco uscente va ricandidato, un governatore uscente va ricandidato. Questa è la posizione della Lega e conto che troveremo un accordo positivo con tutti e per tutti».
Il «governatore uscente» a cui fa riferimento Salvini è Christian Solinas, leader del Partito Sardo d’Azione, un partito indipendentista che ha una storia di oltre cento anni e che fino al 2009 era sempre stato di orientamento progressista. Poi, dopo un primo passaggio nel campo del centrodestra, con l’arrivo di Solinas come segretario fece un’alleanza particolare con la Lega di Salvini, nel 2018, grazie alla quale Solinas venne eletto in Senato alla scorsa legislatura, prima di essere indicato dalla coalizione di destra come candidato presidente in Sardegna. Si può dunque dire che Solinas sia a tutti gli effetti un presidente di regione indicato da Salvini, che ora vuole appunto garantirne la ricandidatura.
Ma anche il riferimento fatto da Salvini al «sindaco uscente» era molto preciso: parlava di Paolo Truzzu, sindaco di Cagliari eletto nel 2019 ed esponente di Fratelli d’Italia. È lui che il partito di Meloni vorrebbe indicare come nuovo candidato presidente della Sardegna. Siccome nell’estate del 2024 si voterà anche per le amministrative a Cagliari, Salvini intende dire che Truzzu va ricandidato come sindaco per il capoluogo, escludendo così l’ipotesi che possa invece essere candidato a guidare la regione.
Le parole di Salvini hanno generato un po’ di maretta a destra, specie tra gli esponenti locali. Anche per questo giovedì mattina, dopo aver letto alcune ricostruzioni sui giornali che parlavano di un Salvini non così convinto di ricandidare per forza Solinas, lo staff del ministro dei Trasporti ha pubblicato una nota piuttosto perentoria per ribadire «piena fiducia e pieno sostegno, della Lega e contiamo di tutto il centrodestra, a Christian Solinas».
Dall’esito delle trattative in Sardegna dipenderà poi buona parte dei negoziati nelle altre regioni al voto nel 2024. In Abruzzo si voterà a marzo, e il presidente uscente è Marco Marsilio, storico dirigente di Fratelli d’Italia: molto probabilmente verrà riconfermato, ma la Lega ha fatto capire che se Solinas non venisse ricandidato, anche la scelta su Marsilio verrebbe messa in discussione. Dal canto suo, Marsilio non sembra preoccupato dall’agitazione intorno alle varie candidature: «Io sto già in campagna elettorale», dice.
Subito dopo si voterà in Basilicata, il cui presidente è Vito Bardi, ex vice comandante generale della Guardia di Finanza indicato da Forza Italia nel 2019. Tajani, che di Forza Italia è segretario, ha più volte detto che la sua ricandidatura non è in discussione. Ma tra i dirigenti di Fratelli d’Italia non c’è la stessa convinzione. Da giorni circola un’ipotesi piuttosto ardita, che tuttavia non è stata smentita da diversi dirigenti ed esponenti di governo di Fratelli d’Italia: che Bardi possa essere nominato sottosegretario alla Difesa, in virtù del suo passato da militare, così da facilitarne la sostituzione in Basilicata.
Il partito di Meloni non ha esponenti locali particolarmente autorevoli. Uno di questi è Cosimo Latronico, già deputato e attuale assessore regionale all’Ambiente, stimato in particolare dal ministro agli Affari europei Raffaele Fitto. Sui giornali locali si discute però soprattutto di eventuali candidature civiche, come quella del presidente di Confindustria Basilicata, Francesco Somma.
In Piemonte le elezioni regionali si svolgeranno con ogni probabilità nello stesso giorno delle elezioni europee, il 9 giugno. La ricandidatura del presidente uscente, Alberto Cirio, è quasi certa. Cirio è un esponente di lungo corso di Forza Italia, ma nel corso del suo mandato da presidente si è conquistato una certa autonomia, costruendosi rapporti molto solidi coi dirigenti locali e nazionali di Fratelli d’Italia.
In autunno, infine, si voterà in Umbria. La presidente in carica è Donatella Tesei, ex senatrice della Lega. La sua ricandidatura non è al momento in discussione, ma molto dipenderà dall’esito delle trattative politiche nelle altre regioni in cui si voterà prima.
Le trattative sulle candidature locali vengono spesso sottovalutate dalla stampa nazionale, ma in realtà hanno un peso considerevole e capita spesso che scombussolino gli equilibri e i rapporti tra alleati, non solo a destra. Giovedì scorso, parlando con i cronisti davanti all’ingresso dell’aula della Camera, il deputato di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli – responsabile organizzativo del partito di Meloni e uno dei suoi dirigenti più fidati – raccontava come il massimo della tensione tra Salvini e Meloni non fosse stata raggiunta per questioni nazionali, ma in seguito alla formazione della giunta provinciale del Trentino.
Nella provincia autonoma del Trentino si è votato lo scorso ottobre: il presidente uscente Maurizio Fugatti, della Lega, dopo essere stato messo più volte in discussione da Fratelli d’Italia prima della campagna elettorale che ha portato poi alla sua rielezione, aveva promesso che dopo la vittoria avrebbe nominato un esponente del partito di Meloni, Francesca Gerosa, come sua vice. Fugatti ha poi deciso di non assegnare questo incarico a Gerosa, ma a un esponente della sua lista elettorale. Per rappresaglia, Fratelli d’Italia ha ritirato tutti i suoi assessori dalla giunta, minacciando un sostegno esterno a Fugatti, che dopo un paio di settimane ci ha ripensato e ha nominato Gerosa come sua vicepresidente, facendo rientrare la crisi.