Coldiretti è di destra, di sinistra e di centro
Nella sua lunga storia l'associazione degli agricoltori è sempre stata governativa a prescindere, e per questo condiziona la politica come nessun altro
di Valerio Valentini
Il primo ottobre del 2022 Giorgia Meloni andò a Milano, al Castello Sforzesco. Era la sua prima uscita pubblica dopo la vittoria delle elezioni, le trattative per la formazione del suo governo erano appena iniziate: dopo giorni in cui si era saputo poco sulle sue intenzioni, la leader di Fratelli d’Italia scelse di fare il suo esordio da futura presidente del Consiglio al villaggio della Coldiretti. Tre anni prima, per il suo primo comizio da presidente del Consiglio riconfermato alla guida del governo con PD e Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte aveva scelto di andare a Bologna. Era il 28 settembre, quel giorno a Bologna c’era il villaggio della Coldiretti.
Meloni sarebbe diventata di lì a poco leader del governo più a destra della storia repubblicana. Conte era da poco diventato leader del governo che si definiva come il più di sinistra della storia repubblicana. Entrambi debuttarono davanti alla platea della Confederazione nazionale dei coltivatori diretti, la principale associazione di categoria che rappresenta gli agricoltori italiani, ed entrambi furono acclamati e applauditi dalla folla.
Nel mezzo poi ci fu Mario Draghi, banchiere tra i più noti e stimati al mondo, chiamato nel febbraio del 2021 da Sergio Mattarella a guidare un governo con dentro tutti i partiti. Le sue due prime trasferte le dedicò alla lotta alla pandemia: al centro vaccinale di Fiumicino il 12 marzo del 2021, al Bosco della Memoria di Bergamo una settimana più tardi. Poi il 2 aprile il suo staff decise di organizzare un primo evento pubblico a Palazzo Chigi, la sede del governo, e nel cortile d’onore vennero ospitati un banchetto e un camioncino di Coldiretti, entrambi del tipico giallo che contraddistingue l’associazione. Non è in fondo un’anomalia degli ultimi tempi. Al primo congresso nazionale della Coldiretti, nel 1946, intervenne il presidente del Consiglio di allora, Alcide De Gasperi; papa Pio XII mandò una sua speciale benedizione all’associazione.
La natura di Coldiretti, e per certi versi anche la sua missione, è di essere a sinistra, a destra e al centro, ma mai all’opposizione. Trasversale per antica abitudine, governativa a prescindere: sa usare il lessico tipico dei sovranisti quando c’è da difendere i prodotti italiani, ma anche parole più vicine al progressismo, attento alla tutela del territorio e delle produzioni di qualità. In un’epoca di crisi per i partiti e per i sindacati, che hanno perso quasi del tutto il loro radicamento popolare, col suo milione e mezzo di iscritti Coldiretti mantiene una straordinaria capacità di mobilitazione delle masse.
Sa essere rumorosissima e discreta. Rumorosissima quando deve organizzare manifestazioni di protesta e blocchi stradali con camion e trattori; discreta quando serve negoziare con ministri e sottosegretari, promuovere leggi o emendamenti in parlamento. E nell’uno e nell’altro modo Coldiretti sa condizionare la politica, esercitare pressione sui governi di ogni orientamento come forse nessuna altra associazione di categoria oggi riesce a fare.
Questo condizionamento avviene sulla base di un compromesso implicito: se la politica fa quello che Coldiretti chiede, Coldiretti garantisce alla politica il voto, o quantomeno il consenso delle persone iscritte. Inoltre, a contribuire all’influenza di Coldiretti c’è il rilevantissimo peso economico del settore: la produzione agricola, insieme alla pesca, vale nel complesso oltre 70 miliardi di euro all’anno. I programmi europei sull’agricoltura stanziano ogni sette anni dei fondi speciali, la cosiddetta PAC (Politica agricola comune), che valgono centinaia di miliardi. Per l’Italia tra il 2021 e il 2027 sono previsti 26 miliardi.
Il potere di Coldiretti è antico. L’associazione venne fondata il 30 ottobre del 1944 da Paolo Bonomi, figlio di una famiglia di agricoltori di Romentino, in provincia di Novara, che negli anni precedenti aveva avuto ruoli di un certo rilievo all’interno delle associazioni sindacali fasciste, ma che aveva poi preso parte alla Resistenza con associazioni cattoliche.
L’obiettivo politico di Bonomi era di sottrarre le campagne italiane all’influenza comunista, e per questo non disdegnò di includere tra i dirigenti della sua associazione funzionari o collaboratori del regime fascista appena decaduto. La Coldiretti nacque inizialmente così: come un presidio nelle campagne contro il pericolo del dilagare di scioperi contadini, e per questo Bonomi ottenne da subito un grande apprezzamento da parte dei dirigenti della Democrazia Cristiana (DC), il partito moderato d’ispirazione cattolica che avrebbe governato l’Italia in maniera pressoché ininterrotta dal 1946 agli anni Ottanta.
Bonomi fu eletto proprio con la DC all’Assemblea costituente, quella che scrisse la Costituzione repubblicana, e poi come deputato in tutte le legislature dal 1948 al 1983. Per questo suo impegno anticomunista fu apprezzato anche negli Stati Uniti, in particolare dall’amministrazione del presidente Repubblicano Dwight Eisenhower, i cui collaboratori lo ricevettero a Washington nel 1954. Un anno prima, alle elezioni politiche, il numero dei parlamentari della DC iscritti alla Coldiretti era passato da 26 a 48, su un totale di 379 nuovi eletti. Secondo i dati citati nel libro La Coldiretti e la storia d’Italia di Emanuele Bernardi, il numero dei tesserati all’associazione aumentò tantissimo in quel periodo: da quasi 71mila del 1944, al momento della sua fondazione, ai circa 1,9 milioni del 1953.
Il potere di Bonomi era assoluto, tanto che la Coldiretti per decenni venne comunemente chiamata “la Bonomiana”. Fino al 1980, quando lasciò la presidenza, la centralità di Bonomi non venne mai messa in discussione, nemmeno dopo che emersero alcune irregolarità nella gestione dei fondi pubblici e denunce varie di corruzione.
Ci fu uno scandalo particolarmente grosso all’inizio degli anni Sessanta, in seguito a inchieste giornalistiche e alle indagini di una speciale commissione d’inchiesta parlamentare: l’accusa riguardava un ammanco di centinaia di miliardi di lire nelle casse di Federconsorzi, la federazione dei consorzi agrari che era ampiamente finanziata dallo Stato e di fatto controllata da Bonomi. Durante la campagna elettorale del 1963, in una famosa puntata di Tribuna politica – la storica trasmissione televisiva della Rai di dibattito tra esponenti di vari partiti – il dirigente comunista Gian Carlo Pajetta discusse a lungo e in modo animato contro una sedia vuota, dopo che Bonomi aveva deciso di non presentarsi per evitare le accuse e le domande del suo avversario.
Questa struttura gerarchica rigidamente centralista è forse il più importante elemento di continuità con la Coldiretti attuale. La figura centrale oggi è Vincenzo Gesmundo, segretario generale dal 1998. Originario di Forano, piccolo comune della provincia di Rieti, entrò in Coldiretti nel 1981 e si guadagnò poi incarichi di grande rilievo a seguito di un nuovo scandalo che travolse Federconsorzi (per cui venne istituita una nuova commissione parlamentare d’inchiesta) e che interessò in parte anche Coldiretti, portando a una ridefinizione dell’organigramma all’inizio degli anni Novanta.
Gesmundo è piuttosto autoritario nella gestione dell’associazione, ha una cospicua rete di relazioni nella politica e nelle istituzioni, non solo nel centrodestra. Un suo carissimo amico è Ugo Sposetti, storico tesoriere dei Democratici di Sinistra (DS), l’erede del Partito Comunista. Nel corso della direzione generale di Gesmundo si sono succeduti finora quattro diversi presidenti, un esempio di come sia strutturata la gerarchia: i presidenti, che sono spesso le figure più esposte sul piano mediatico, passano; lui resta e preferisce agire con discrezione. Secondo alcune inchieste giornalistiche, come questa dell’Espresso del 2015 basata su dati dell’Istituto nazionale di previdenza sociale (INPS), Gesmundo avrebbe percepito “tra stipendi lordi, bonus e oneri contributivi” quasi un milione di euro all’anno per dieci anni.
L’attuale presidente di Coldiretti è Ettore Prandini, in carica dal 2018: è figlio di un esponente della DC vicino all’ex presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, Giovanni Prandini, che fu ministro due volte tra il 1987 e il 1992. Proprio Ettore Prandini è stato l’autore della tentata aggressione al deputato di +Europa Benedetto Della Vedova davanti a Palazzo Chigi, il 16 novembre scorso.
Nel corso degli anni Gesmundo ha saputo intraprendere battaglie piuttosto trasversali, declinandole in un modo che fosse alternativamente in sintonia con i governi di centrodestra e con quelli di centrosinistra. La tutela delle produzioni di qualità o la lotta contro il cosiddetto Italian sounding, cioè la falsificazione dei marchi o dei prodotti tipici italiani nel settore alimentare, o anche l’impegno contro le agromafie o il caporalato sono state spesso apprezzate dai partiti di centrosinistra; sulla sovranità alimentare e sul contrasto all’importazione di frutta e verdura dall’estero c’è stata invece grande sintonia con la destra. Probabilmente anche per questo, rispetto alle altre associazioni di categoria del settore come la Confederazione degli agricoltori italiani (CIA) e Confagricoltura, Coldiretti ha un peso politico e una rilevanza pubblica assai maggiori.
Spesso Coldiretti ha animato proteste contro le direttive europee che riguardano il settore alimentare. Per esempio Prandini ha polemizzato con gli obiettivi del Green New Deal, il piano dell’Unione Europea per la transizione ecologica. Recentemente Coldiretti ha criticato il nuovo regolamento europeo sugli imballaggi monouso, dicendo che rischierebbe di mettere al bando l’insalata in bustina o i sacchetti per le arance o le fragole nei supermercati. Il regolamento proposto dalla Commissione Europea, e ancora in corso di discussione tra parlamento e Consiglio europeo, prevede in realtà delle eccezioni al divieto nel caso in cui «sia dimostrata la necessità di evitare perdite di acqua o turgore, rischi microbiologici o urti».
Coldiretti è da sempre contraria agli organismi geneticamente modificati (OGM): denuncia da anni, con toni talvolta esasperati, i possibili effetti catastrofici della loro introduzione su larga scala. L’ufficio stampa di Coldiretti è del resto molto efficiente, ha contatti costanti e diffusi con molti quotidiani, cosa che spiega l’enorme visibilità di cui godono puntualmente i vari “allarmi” diffusi dall’associazione: l’allarme sul futuro della birra italiana, l’allarme per le arance con le macchie nere, per le speculazioni sul grano, per le farine di insetti, per il maltempo, e poi l’allarme per lo scarso consumo di olio nostrano, per il boicottaggio dei prodotti italiani all’estero, per gli effetti nefasti del consumo di pesce straniero.
Anche contro la cosiddetta “carne sintetica” Coldiretti ha fatto una convinta battaglia che ha portato all’approvazione di un contestato disegno di legge a metà novembre. Non è un caso isolato, Coldiretti riesce di frequente a indirizzare l’azione legislativa di Camera e Senato. Una battuta ricorrente che si fa tra i funzionari e i cronisti parlamentari è che la commissione dove si approva il maggior numero di emendamenti all’unanimità è quella che si occupa di agricoltura, «perché gli emendamenti li scrive tutti Coldiretti». È un’esagerazione, che però rende l’idea dell’influenza che ha l’associazione. In ogni partito c’è almeno un esponente delegato più o meno ufficialmente a tenere i contatti con Coldiretti.
Ma la Coldiretti è in grado di arrivare molto più in alto delle commissioni parlamentari. Dopo le elezioni del 25 settembre del 2022 vinte da Meloni, mentre erano in corso le trattative per l’assegnazione degli incarichi di governo, il senatore della Lega Gian Marco Centinaio venne intercettato da alcuni cronisti fuori dall’aula di Palazzo Madama, la sede del Senato. Era già stato ministro dell’Agricoltura nel primo governo di Giuseppe Conte, in tanti pensavano che sarebbe stato di nuovo scelto per quel ruolo. Tuttavia lui era dubbioso: «Avete sentito il discorso di Prandini alla recente manifestazione di Milano? Ha citato quattro o cinque volte Lollobrigida, sempre con toni di elogio». Quindi? Gli chiesero i cronisti. «E quindi se Coldiretti ha deciso, chi siamo noi per giudicare?» rispose lui. Pochi giorni dopo Francesco Lollobrigida, dirigente di primo piano di Fratelli d’Italia, fu nominato ministro dell’Agricoltura.
In quel ministero in particolare lavorano da sempre molti funzionari legati più o meno direttamente a Coldiretti. Spesso succede che, subito dopo che i loro incarichi ministeriali finiscono, alcune persone ci si trasferiscano. L’attuale capo di gabinetto di Lollobrigida, cioè il più importante collaboratore del ministro, è Raffaele Borriello, che aveva già avuto quel ruolo in passato fino al 2020, quando poi era andato a lavorare nell’ufficio legislativo di Coldiretti. Alessandro Apolito, ex dirigente del ministero quando era guidato da Maurizio Martina del Partito Democratico, è ora capo del servizio tecnico di Coldiretti. Ma gli esempi che si possono fare sono tanti e riguardano un po’ tutti i partiti.
L’attivismo di Coldiretti a volte travalica il suo ambito di riferimento. Nell’autunno del 2016 Gesmundo si schierò apertamente per il Sì al referendum costituzionale del presidente del Consiglio Matteo Renzi, e promise la mobilitazione della sua associazione per una raccolta di firme in tutta Italia. Il governo di Renzi, con Martina ministro dell’Agricoltura, tra il 2015 e il 2016 approvò diverse agevolazioni e consistenti sgravi fiscali a favore del settore.
Nel primo governo di Giuseppe Conte, quello sostenuto da Lega e Movimento 5 Stelle, successe più volte che Coldiretti ci tenesse a rivendicare come nei suoi interventi in parlamento il presidente del Consiglio citasse gli studi della stessa Coldiretti, per esempio sulle stime delle ripercussioni delle sanzioni nei confronti della Russia sul settore agricolo italiano o sulla povertà e lo spreco alimentare.
Lo stesso schema si è ripresentato con il governo Meloni. Ad aprile del 2023 Fratelli d’Italia ha esultato per aver salvato 580 miliardi di euro di made in Italy bloccando «la produzione e la commercializzazione del cibo sintetico». È un dato ricavato da una pubblicazione di Coldiretti del novembre del 2022 secondo cui la «filiera del cibo» sarebbe cresciuta in Italia fino a raggiungere, appunto, la cifra di 580 miliardi. Sono dati fortemente sovrastimati. I dati ufficiali dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) dicono che tutto il settore agricolo (primario) e tutta l’industria alimentare nel 2022 hanno contribuito all’economia italiana per il 3,8 per cento del PIL: significa meno di 80 miliardi.