Le ultime domande per il Superbonus costeranno molto allo Stato
Sono aumentate in vista della scadenza dell'agevolazione fiscale per i lavori di ristrutturazione: lo Stato spenderà almeno 20 miliardi in più del previsto
Gli interventi fatti dal governo all’inizio dell’anno per limitare il Superbonus 110% non hanno portato i risultati sperati: l’obiettivo era spendere circa 14 miliardi di euro, mentre secondo le previsioni si arriverà a quasi 60 entro la fine dell’anno. Negli ultimi mesi, in particolare, c’è stato un aumento delle domande rispetto alla prima parte dell’anno per non lasciarsi sfuggire l’ultima possibilità di sfruttare la generosa agevolazione fiscale: a partire dal 2024 il contributo dello Stato ai lavori di ristrutturazione sarà del 70 per cento per effetto delle limitazioni introdotte dal governo, mentre per chi aveva fatto domanda prima del 2023 era del 110 per cento e per chi ha aderito quest’anno del 90 per cento.
Il Superbonus è l’agevolazione fiscale introdotta nel 2020 dal governo di Giuseppe Conte per gli interventi di ristrutturazione che migliorano l’efficienza energetica di case e condomini: semplificando, con il Superbonus il governo si impegnò a rimborsare la totalità delle somme spese per le ristrutturazioni di edifici residenziali, versando anche un contributo aggiuntivo del 10 per cento. Negli anni però la misura è risultata particolarmente onerosa: sia il governo di Mario Draghi che quello attuale l’hanno molto cambiata.
Il Superbonus poteva essere riscosso in tre diversi modi. Il primo, il più lineare e sicuro, era la detrazione fiscale per i proprietari delle case che pagavano direttamente i lavori di tasca loro: i rimborsi venivano fatti dallo Stato detraendo gli importi dalle tasse dovute negli anni successivi.
Gli altri due modi erano legati alla cosiddetta cessione del credito. Uno era lo sconto in fattura applicato dai fornitori e dalle imprese: chi faceva i lavori si accollava il credito fiscale dei proprietari per recuperarlo successivamente dallo Stato sotto forma di detrazione fiscale. L’altro era la cessione del credito di imposta: si poteva trasferire la detrazione fiscale ad altre imprese, banche, enti o professionisti. Attualmente la riscossione è rimasta possibile solo attraverso il primo modo. Gli altri due sono stati cancellati da un decreto-legge approvato lo scorso febbraio.
Il cambio in corsa ha avuto conseguenze per le persone che si sono viste limitare la possibilità di fare i lavori senza anticipare i soldi necessari: le nuove regole, infatti, hanno bloccato il mercato dei crediti, il meccanismo che per due anni aveva favorito l’apertura dei cantieri. È un grosso problema per i beneficiari e anche per le aziende edili: molte sono state costrette ad abbandonare i cantieri nell’impossibilità di pagare gli stipendi.
Nel Documento di Economia e Finanza (DEF), il documento approvato in aprile che contiene le intenzioni di spesa e le previsioni di crescita e di indebitamento del governo, il costo dell’agevolazione era fissato allo 0,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL). Nella NADEF, la Nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza da presentare entro la fine di settembre, i costi sono più che raddoppiati. Secondo il Sole 24 Ore, entro la fine dell’anno i costi saranno superiori di almeno 20 miliardi di euro rispetto al previsto.
I dati diffusi dall’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile) dicono che al 30 novembre 2023 per il Superbonus sono stati aperti più di 446mila cantieri per un investimento totale da 98,1 miliardi di euro, di cui 89,1 a carico dello Stato.
Questi soldi costituiscono una parte consistente del debito pubblico che lo Stato dovrà pagare sotto forma di agevolazione fiscale nei prossimi anni. A giugno il ministero dell’Economia aveva calcolato di dover pagare mediamente 23,3 miliardi di euro all’anno nel triennio tra il 2024 e il 2026, ma con l’aumento delle domande avvenuto negli ultimi mesi il debito è destinato a crescere.
Nonostante l’inflessibilità del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha spiegato in diversi modi i danni del Superbonus sui conti pubblici, negli ultimi mesi Forza Italia ha tentato più volte di ottenere una proroga dell’agevolazione fiscale.
Ci ha provato a novembre con il decreto fiscale, detto anche decreto “Anticipi”, che è una norma che utilizza una parte dei soldi che saranno stanziati dal disegno di legge di bilancio (e per questo viene definita una misura “collegata” alla manovra finanziaria). In quell’occasione, nella commissione Bilancio del Senato dove il provvedimento era in discussione, Forza Italia aveva presentato alcuni emendamenti per chiedere di prorogare il Superbonus al 100 per cento di sei mesi per i lavori di efficientamento energetico avviati entro il 17 febbraio del 2023 e il cui stato di avanzamento entro la fine dell’anno fosse stato di almeno il 60 per cento del totale. Era una proposta che andava in contraddizione con le norme del governo e che avrebbe comportato una spesa di oltre 2 miliardi tra il 2024 e il 2027. Il ministero dell’Economia si era opposto, e l’emendamento era stato poi ritirato da Forza Italia.
Preso atto dell’impossibilità di inserire una proroga nella legge di bilancio per l’opposizione di tutte le altre forze di maggioranza, Antonio Tajani, che è il vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri del governo, ha ipotizzato un intervento nel cosiddetto decreto “Milleproroghe”, che è un provvedimento con cui il governo prolunga o rinnova varie norme in scadenza. Di solito viene approvato a ridosso della fine dell’anno per evitare che le misure che si vogliono confermare decadano.