L’attacco israeliano sul campo profughi di Al Maghazi nella Striscia di Gaza
È stato distrutto un complesso residenziale molto densamente popolato e sono state uccise almeno 70 persone
Domenica l’esercito israeliano ha bombardato il campo profughi di Al Maghazi, nel centro della Striscia di Gaza: secondo il ministero della Salute della Striscia, controllato dal gruppo radicale armato Hamas, sono state uccise almeno 70 persone palestinesi. Il ministero dice che in ogni caso il numero è sottostimato e potrebbe salire, vista che è stato distrutto un complesso abitativo molto densamente popolato e che ci sono decine di feriti anche gravi.
L’esercito israeliano ha detto di essere al corrente di un «incidente» avvenuto nel campo di Al Maghazi e che sta analizzando le segnalazioni al riguardo. In un comunicato inviato a BBC ha scritto che si starebbe impegnando a «rispettare il diritto internazionale», cercando di «ridurre al minimo gli attacchi verso i civili» nonostante le difficoltà dovute al fatto che i miliziani di Hamas opererebbero sistematicamente all’interno delle aree civili della Striscia di Gaza.
Molti feriti sono stati portati nel vicino ospedale di Al Aqsa, nella città di Deir al Balah. La Mezzaluna rossa palestinese, equivalente locale della Croce Rossa, dice però che per via degli intensi bombardamenti israeliani le strade che collegavano il campo di Al Maghazi con altre città e campi profughi della zona sono molto danneggiate, e le ambulanze stanno avendo molte difficoltà a spostarsi.
Tendenzialmente i campi profughi palestinesi come quello che è stato bombardato assomigliano molto a delle città, anche se con strade ed edifici spesso fatiscenti e senza molte infrastrutture di base. Al contrario di quello che potrebbe suggerire il nome non hanno tende e baracche, ma vengono comunque chiamati così perché nacquero decenni fa come insediamenti temporanei e al loro interno le condizioni di vita sono rimaste estremamente precarie. I campi in cui abitano profughi palestinesi sono 58 tra Striscia di Gaza, Cisgiordania, Giordania, Libano e Siria, perlopiù istituiti dopo la guerra che Israele combatté nel 1948 con diversi paesi arabi, costringendo circa 700mila palestinesi a lasciare le proprie case nel territorio che oggi è Israele.
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Dall'inizio della guerra nella Striscia di Gaza, lo scorso 7 ottobre, Israele ha attaccato sistematicamente infrastrutture civili e campi profughi sostenendo che Hamas utilizzi la popolazione civile palestinese come “scudo umano”. La guerra nella Striscia è iniziata in risposta ai violenti attacchi di Hamas in territorio israeliano del 7 ottobre scorso, in cui il gruppo ha ucciso più di 1.200 persone e ne ha rapite almeno 240: da allora l'esercito israeliano ha bombardato, assediato e poi anche invaso la Striscia, dove si trovano le infrastrutture militari di Hamas, spesso nascoste nell'estesa rete di tunnel sotterranei che il gruppo ha costruito in molti anni e che Israele sta cercando di smantellare. Dall'inizio della guerra Israele ha ucciso almeno 20mila palestinesi nella Striscia, ma è un numero che potrebbe essere fortemente sottostimato.
Alla fine di novembre una tregua dai combattimenti aveva permesso la liberazione di 105 ostaggi rapiti in Israele da Hamas: nelle ultime settimane si è lavorato per ristabilirne una nuova, finora senza successo. In questi giorni l'Egitto, che era stato uno dei paesi che avevano mediato la prima tregua, sta provando a convincere le parti a stabilirne una nuova. La proposta prevede un cessate il fuoco che duri tra i 7 e i 10 giorni, in cui sarebbero liberati tutti gli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza in cambio dei prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.
La proposta egiziana però prevede anche che la tregua sia di fatto un periodo di passaggio verso un cessate il fuoco definitivo, con il ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza e la fine dei bombardamenti: una possibilità che finora è stata esclusa dal governo israeliano. Sabato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto che Israele non ha «altra scelta se non combattere». Nelle ultime settimane questo atteggiamento del governo israeliano sta ricevendo molte critiche anche dai paesi che fin qui lo hanno apertamente sostenuto, come gli Stati Uniti.