L’area naturale più grande della Spagna non è gestita come si deve
Il parco di Doñana, importantissimo per la biodiversità, è stato escluso da una importante lista internazionale di territori protetti per via di «decenni di inerzia»
Il parco naturale di Doñana, l’area protetta più grande della Spagna, è stato escluso dalla cosiddetta “Green List” dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, l’ente internazionale riconosciuto dall’ONU che si occupa di tutela della natura. Nella lista sono indicate le migliori aree protette del mondo in termini di conservazione naturalistica e gestione sostenibile, ed è la prima volta che un parco ne viene escluso, proprio a causa della cattiva gestione: come ha riassunto in maniera efficace il País, «decenni di inerzia» da parte del governo locale oggi «si riflettono nell’enorme declino della biodiversità» del parco, che è già pesantemente minacciato dagli effetti della crisi climatica.
Il parco di Doñana si trova tra le province di Huelva e di Siviglia, in Andalusia, nel sud-ovest della Spagna; occupa una superficie di circa 543 chilometri quadrati ed è compreso in un parco nazionale ancora più grande, spesso considerato il più esteso di tutta Europa. L’affaccio sull’oceano Atlantico accanto alla foce del Guadalquivir e la relativa vicinanza al mar Mediterraneo fanno sì che al suo interno ci sia una grande varietà di ecosistemi: dalle dune di sabbia lungo la costa alla cosiddetta “marisma”, le ampie distese umide e paludose dove vivono animali rari, come la lince pardina e l’aquila imperiale, e dove passano ogni anno più di 300 specie di uccelli migratori.
L’area protetta fu istituita alla fine degli anni Sessanta e dichiarata patrimonio dell’Umanità Unesco nel 1994: ogni anno è visitata da centinaia di migliaia di persone, che la possono girare a bordo di appositi autobus o con tour privati in fuoristrada. Nei giorni scorsi però la IUCN ha comunicato che in base alle analisi svolte nel giro di due anni da dieci esperti indipendenti il parco non ha più i requisiti per far parte della lista a causa di politiche inefficienti che hanno comportato un declino progressivo della flora e della fauna. C’entrano in particolare lo sviluppo turistico degli ultimi decenni e le coltivazioni intensive di fragole e riso nelle zone vicine al parco, spesso irrigate con pozzi illegali.
L’obiettivo della Green List dell’IUCN è individuare e riconoscere le aree naturali protette in cui vengono messi in atto programmi efficaci per la tutela dell’ambiente e del territorio. Ciascuna area viene valutata da una commissione di esperti in base a 50 parametri suddivisi in quattro ambiti, ovvero governance (cioè l’amministrazione), pianificazione, gestione e risultati.
Secondo le ultime valutazioni il parco di Doñana ha superato le soglie previste solo in 17 dei 50 indicatori valutati, che sono risultati soddisfacenti solo per quanto riguarda gli obiettivi legati alla pianificazione. Gli esperti in particolare hanno segnalato la mancanza di «azioni concrete» per gestire le minacce alla tutela delle specie e degli ecosistemi tipici. Il parco è il primo tra le 77 aree naturali sparse in 60 paesi riconosciute dall’IUCN a non soddisfare più i criteri della lista, di cui invece fanno parte tre siti italiani: il Parco nazionale del Gran Paradiso (tra Piemonte e Valle d’Aosta), il Parco nazionale dell’Arcipelago Toscano e il Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna (tra Emilia-Romagna e Toscana).
L’esclusione dalla lista dipende in parte dalla crisi climatica e in parte dalla cattiva gestione dell’amministrazione dell’Andalusia, che ha il compito di attuare politiche orientate alla tutela del territorio. Attualmente la giunta è guidata dal Partito Popolare, di centrodestra, dal 2018, e in precedenza a lungo dal Partito socialista spagnolo.
Secondo i critici però le responsabilità sarebbero soprattutto del Partito Popolare, che è stato accusato di aver tentato di difendere i sistemi di irrigazione illegali, a danno del parco, con una proposta di legge che a suo dire avrebbe aiutato circa 600 famiglie che dipendono dal settore agricolo nell’area attorno al parco. La proposta era stata criticata sia dal ministero spagnolo per la Transizione ecologica che dall’Unesco, oltre che dalla Commissione europea, dalla comunità scientifica e dai gruppi ambientalisti: è stata ritirata a ottobre grazie a un accordo con il ministero per la Transizione ecologica che destinerà 350 milioni di euro in finanziamenti alle aree naturali e agricole della zona.
Consulenti ed esperti interpellati dall’Unesco sostengono inoltre che per risolvere la questione bisognerebbe applicare le misure approvate nel 2014 per regolamentare la coltivazione intensiva delle fragole, la maggior parte delle quali però rimane inattuata.
I problemi legati alla gestione del territorio aggravano quelli provocati dalla crisi climatica. Le temperature medie nel parco sono in costante aumento, molte paludi dove normalmente ci sarebbero diversi centimetri d’acqua non si allagano più e a causa di alcuni incendi sono morti molti animali e piante, comprese querce da sughero secolari. Come ha notato Felipe Fuentelsaz del WWF di Doñana «appena il 2 per cento della palude ha acqua. Il resto, il 98 per cento, è assolutamente secco, anche a causa della mancanza di precipitazioni. E la falda acquifera è stata troppo sfruttata».
In tutto il 2022 nell’area del parco sono caduti 343 millimetri di pioggia, contro una media storica di 523. Anche il numero di uccelli acquatici presenti si è notevolmente ridotto: secondo i dati della stazione biologica di Doñana, dieci anni fa erano quasi 700mila, mentre nel 2022 sono stati meno di 300mila. Nel 2016 i piccoli di aquila reale che avevano cominciato a volare erano stati 15, nel 2022 tre; il 70 per cento delle coppie di nibbio reale non riesce a deporre le uova, o l’incubazione non va a buon fine.
In un editoriale piuttosto duro, El País ha scritto che la situazione «non è meno grave solo perché era attesa», e «non può sorprendere nessuno, visto che nel tempo si sono accumulati segnali di allarme» che facevano presagire il progressivo declino del parco. L’esclusione dalla Green List, continua l’editoriale, «è molto di più di una tirata di orecchie»: è «la constatazione da parte di esperti indipendenti e della principale istituzione ambientale al mondo degli errori provocati dalla cattiva gestione che si sono accumulati nel tempo senza che l’amministrazione competente, in questo caso la giunta dell’Andalusia, ponesse rimedio, indipendentemente da chi la governava». Secondo El País questa inattività è legata a interessi poco lungimiranti e spesso legati a obiettivi elettorali «che hanno impedito di analizzare con chiarezza il problema e trovare soluzioni».
Il direttore del parco, Juan Pedro Castellano, non ha risposto alle richieste di chiarimenti da parte del País. Il ministro andaluso che si occupa della sostenibilità e dell’ambiente, Ramón Fernández-Pacheco, ha minimizzato la situazione e smentito le voci di una possibile sostituzione di Castellano, sostenendo che abbia la fiducia del governo andaluso.
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