La guerra a Gaza è una grande opportunità per gli Houthi
Il gruppo sciita che governa parte dello Yemen sta lanciando missili nel mar Rosso contro Israele, per accreditarsi nella regione
Da alcuni giorni i traffici navali nel mar Rosso – una delle più importanti vie commerciali del mondo, da cui passa il 12 per cento del commercio globale e il 30 per cento del traffico dei container – sono gravemente compromessi dalle attività degli Houthi, un gruppo armato sciita che governa di fatto buona parte dello Yemen, dove è in corso da quasi dieci anni una guerra civile.
Gli Houthi stanno lanciando missili contro le navi da trasporto di passaggio dallo stretto di Bab el Mandeb, che separa lo Yemen dal Gibuti. Lo fanno come atto di ritorsione nei confronti di Israele, per via della sua invasione della Striscia di Gaza. Una parte delle navi che entrano nello stretto di Bab el Mandeb è diretta nel porto di Eilat, nell’estremo sud di Israele. Altre sono di proprietà di società israeliane o di paesi stretti alleati di Israele, come gli Stati Uniti.
Gli Houthi sostengono che continueranno ad attaccare le navi finché il governo israeliano non consentirà l’ingresso di cibo e aiuti nella Striscia di Gaza. In risposta agli attacchi, numerose compagnie di trasporti internazionali hanno annunciato la sospensione dei viaggi attraverso il mar Rosso, cosa che potrebbe provocare una grossa crisi commerciale.
Sui giornali internazionali gli Houthi sono generalmente definiti “ribelli” perché presero il potere nel 2014 conquistando la capitale Sanaa e cacciando il governo yemenita internazionalmente riconosciuto. Attualmente gli Houthi controllano tutto lo Yemen occidentale, anche grazie al sostegno economico e militare dell’Iran, in cui la classe dirigente del regime è di dottrina sciita come quella degli Houthi. Nonostante anni di guerra con la vicina Arabia Saudita, principale avversario dell’Iran nella regione, gli Houthi hanno rafforzato il proprio potere nello Yemen.
In questo contesto per gli Houthi la guerra a Gaza e gli attacchi nel mar Rosso si sono trasformati in un’opportunità per ottenere legittimità e prestigio all’interno del mondo musulmano, e accreditarsi come importanti avversari di Israele nella regione.
Il movimento Houthi è emerso tra gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso nello Yemen del nord, dove la maggior parte della popolazione pratica una corrente dell’Islam sciita chiamata zaydismo, che esiste solo in Yemen e viene praticata da circa il 35 per cento della popolazione (il 65 per cento della popolazione è invece sunnita). Gli Houthi sono la principale tribù dello zaydismo yemenita, che ha sempre espresso i leader del gruppo e ha quindi dato il nome a tutto il movimento.
Gli zayditi hanno dominato il territorio dello Yemen per secoli, fino a che, nel 1962, il loro governo fu rovesciato e fu istituita una repubblica araba guidata dai sunniti. Nei decenni le regioni abitate dagli Houthi, senza ormai più potere politico, diventarono tra le più povere del paese, e lo zaydismo fu minacciato dall’espansione del sunnismo wahabita, una forma molto estremista dell’Islam promossa dalla vicina Arabia Saudita. Per questo a partire dagli anni Ottanta gli Houthi cominciarono a formare gruppi e associazioni per rivitalizzare la propria corrente religiosa e contrastare l’espansione dell’influenza saudita.
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Il movimento, inizialmente pacifico e improntato all’insegnamento religioso, nel tempo (e dopo qualche scissione) si trasformò in una milizia armata che aveva l’obiettivo di sovvertire il governo del paese. Gli Houthi in particolare strinsero una duratura alleanza con l’Iran, un paese a maggioranza sciita anche se appartenente a una corrente differente dello sciismo. Ormai da anni l’Iran arma e addestra i miliziani Houthi.
Nel 2004 gli Houthi organizzarono una prima ribellione armata contro il governo, che fu repressa con la forza: il capo del movimento, Hussein al Houthi, fu ucciso, ma la violenza dell’esercito yemenita convinse molti giovani sciiti a unirsi al gruppo. Nel 2011 la primavera araba in Yemen creò un vuoto di potere: dopo mesi di proteste il presidente Ali Abdullah Salah, che governava il paese dal 1990, fu costretto a dimettersi e gli Houthi approfittarono della situazione per conquistare la provincia settentrionale di Saada. Si diedero anche il nome di Ansar Allah, che significa “difensori di Dio”.
Negli anni successivi il gruppo continuò a rafforzarsi e armarsi, fino a che nel 2014 non attaccò lo stato centrale. In poco tempo raggiunsero la capitale Sanaa e costrinsero il presidente Abd Rabbo Mansour Hadi a fuggire prima nella città meridionale di Aden e poi in Arabia Saudita.
A quel punto l’Arabia Saudita, per non dover gestire alle sue frontiere la presenza di un gruppo sciita alleato con l’Iran, avviò una massiccia campagna di bombardamenti contro gli Houthi, proseguita poi a fasi alterne per diversi anni. La situazione in Yemen degenerò ben presto in una guerra civile, con l’Arabia Saudita che sosteneva le forze del governo yemenita e l’Iran che sosteneva gli Houthi: anche per questo molti analisti definirono quella in Yemen una “guerra per procura” (proxy war, in inglese), in cui due stati rivali si combattono indirettamente in un territorio terzo.
La guerra ha portato con sé una enorme crisi umanitaria. Negli ultimi dieci anni sono morte in Yemen circa 350mila persone, e milioni di altre soffrono la fame e sono in condizioni di vita precarie: ancora all’inizio del 2023, prima della guerra nella Striscia di Gaza, l’ONU definiva la crisi umanitaria in Yemen come la più grave del mondo. Oggi si calcola che circa l’80 per cento dei suoi 33 milioni di abitanti abbia bisogno di aiuti umanitari.
Il grosso dei combattimenti si concentrò tra il 2015 e il 2018, ma in poco tempo si arrivò a uno stallo. Ci sono stati scontri sporadici fino al 2022, quando le parti accettarono un cessate il fuoco. Da allora sono cominciati negoziati di pace che hanno riguardato gli Houthi e l’Arabia Saudita, mentre nel frattempo il gruppo sciita ha consolidato il proprio potere sui territori conquistati.
Oggi gli Houthi governano la capitale Sanaa, amministrano grosse istituzioni come la banca centrale e i ministeri, e di fatto dominano la parte più ricca e prospera dello Yemen. Anche per questo alcuni analisti hanno cominciato a sostenere che parlare di “ribelli” Houthi sia ormai inappropriato. Il governo internazionalmente riconosciuto ha invece sede ad Aden, ma è ritenuto al momento piuttosto ininfluente.
In questo contesto l’inizio della guerra nella Striscia di Gaza si è presentato come un’opportunità politica per gli Houthi, per presentarsi allo Yemen e al resto del mondo musulmano come difensori della causa palestinese contro Israele. La bandiera ufficiale degli Houthi, peraltro, contiene il motto: «Dio è grande, morte all’America, morte a Israele, dannazione per gli ebrei e vittoria all’Islam».
Fin dai primi giorni della guerra gli Houthi hanno cominciato a lanciare missili in direzione di Israele e, soprattutto, contro le navi israeliane e statunitensi che transitavano per lo stretto di Bab al Mandeb, su cui affacciano le coste yemenite (in seguito hanno cominciato a prendere di mira anche tutte le altre navi). Le capacità missilistiche degli Houthi sono relativamente ridotte: si stima che posseggano missili in grado di raggiungere il territorio israeliano ma in quantità molto limitate. Il resto del loro arsenale ha una gittata inferiore, sufficiente però per minacciare i traffici commerciali nel mar Rosso.
Ma in un contesto in cui né i paesi arabi né l’Iran, nonostante la retorica bellicosa, hanno fatto molto per aiutare il popolo palestinese, l’attivismo degli Houthi ha ottenuto grande visibilità.
Farea al Muslimi, un analista del centro studi britannico Chatham House, ha detto al New York Times che la guerra a Gaza «è un’enorme opportunità [per gli Houthi] di ottenere legittimità nella regione» e fare in modo che il loro dominio sullo Yemen occidentale si stabilizzi e sia riconosciuto anche fuori dal paese. «Attualmente nessuno nella regione fa distinzioni tra gli yemeniti e gli Houthi, e questa, per gli Houthi, è la cosa migliore che possa succedere».