Come siamo arrivati al voto contrario sulla riforma del MES
La decisione è stata di Meloni, spinta dalla rivalità con Salvini e da un tentativo poco credibile di rivalersi sulla Germania
Giovedì la Camera ha respinto la proposta di ratifica del MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità spesso chiamato anche “fondo salva Stati”: un fondo europeo che garantisce assistenza economica ai paesi in difficoltà nel finanziarsi sul mercato. Il voto non ha in alcun modo fatto venire meno la validità o l’efficacia del MES nel suo complesso. La cosa in discussione era la ratifica del trattato che riforma e potenzia il MES, rafforzando soprattutto la rete di sicurezza per le banche europee sistemiche, cioè quelle più importanti, che dovessero entrare in crisi. Questa nuova versione del trattato è stata già ratificata da 19 dei 20 Stati europei che aderiscono al MES: l’Italia è l’unica a non averlo ancora fatto, e il voto di giovedì allontana di almeno qualche mese il momento in cui anche il nostro paese si adeguerà all’orientamento del resto dell’Unione Europea.
L’esito del voto ha sorpreso sia analisti e commentatori, sia molti esponenti dell’opposizione. Ma anche diversi parlamentari di maggioranza sono rimasti disorientati dalla scelta presa dal governo. La convinzione generale, alimentata anche dalle dichiarazioni di vari ministri negli ultimi mesi, era che la maggioranza di destra che sostiene il governo di Giorgia Meloni avrebbe accettato di ratificare il trattato dopo avere portato a termine i negoziati sulla riforma del Patto di stabilità e crescita, cioè delle nuove regole finanziarie e di bilancio dei paesi europei. La riforma è stata definita mercoledì dopo una videoconferenza dell’Ecofin, cioè dei ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri.
Invece è stata proprio la conclusione delle trattative sul Patto di stabilità che ha indotto Meloni a imporre alla maggioranza un voto contrario, fortemente simbolico, sul MES. L’inizio di questo ripensamento può essere collocato a martedì sera, quando le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia di un incontro in corso a Parigi tra il ministro dell’Economia francese Bruno Le Maire e quello delle Finanze tedesco Christian Lindner, a colloquio proprio per annunciare il raggiungimento di un’intesa sul Patto di stabilità.
Francia e Germania insieme sul Patto di stabilità
Le trattative sul Patto andavano avanti da aprile, e solo nelle ultime settimane si sono avvicinate a una faticosa mediazione che andasse bene per tutti i 27 Stati membri dell’Unione Europea. Come quasi sempre succede nelle dinamiche europee, l’accordo tra Francia e Germania, che pure erano su posizioni inizialmente piuttosto distanti, è stato decisivo per trovare un accordo complessivo. Martedì sera, quando alcuni cronisti italiani presenti a Parigi hanno fatto notare agli staff di Le Maire e Lindner l’assenza del loro collega italiano, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, la risposta è stata grossomodo questa: sappiamo che anche Giorgetti è d’accordo perché ci sono stati contatti telefonici. Dallo staff di Giorgetti è arrivata poi una conferma che quelle telefonate c’erano effettivamente state, senza però dire nulla sul merito delle conversazioni.
Mercoledì mattina, a poche ore dalla videoconferenza decisiva, è successa una cosa singolare: dal ministero dell’Economia francese sono stati diffusi comunicati secondo cui il compromesso raggiunto sul Patto di stabilità era assolutamente positivo per l’Italia, e che Giorgetti condivideva sostanzialmente le stesse posizioni di Le Maire. È inusuale che un ministro di un paese parli indirettamente a nome di un suo collega straniero e alcuni membri dello staff di Giorgia Meloni hanno fatto sapere al Post che la presidente del Consiglio è rimasta infastidita dall’atteggiamento di Lindner e Le Maire: per qualche ora nel governo italiano è stata valutata persino l’ipotesi di mettere un veto all’accordo sul Patto di stabilità, cosa che ne avrebbe impedito l’approvazione che richiede l’unanimità dei 27 Stati membri.
Alla fine però l’Italia non si è opposta. Nei giorni precedenti all’accordo Giorgetti era stato abbastanza ambiguo sulle intenzioni del governo e aveva anche detto che a suo avviso era poco opportuno che l’accordo venisse chiuso in videoconferenza e non con un incontro in presenza. Poi mercoledì mattina, insieme a Meloni, ha deciso che se le condizioni contenute nell’ultima versione del Patto non fossero state rese più rigide dalle richieste della Germania, avrebbe potuto esserci il consenso del governo all’accordo.
Nel frattempo, in parlamento
Alla Camera proprio in questi giorni si stava concludendo il lungo percorso di discussione della proposta di legge di ratifica del nuovo MES, un voto che come vedremo si è incrociato con le vicende del Patto di stabilità. Siccome il governo per mesi si è rifiutato di approvare una legge per avviare la ratifica del MES, come invece avviene sempre nei casi di trattati internazionali, a dicembre del 2022 il Partito Democratico e Italia Viva avevano presentato una loro proposta di legge a nome dell’opposizione per procedere alla ratifica e forzare il governo. La destra aveva rinviato più volte la discussione e il voto di questo provvedimento, ricorrendo a vari espedienti procedurali e a tattiche dilatorie in parlamento.
Infine da martedì scorso l’aula della Camera era in attesa di poter votare sul MES: serviva però che la commissione Bilancio esprimesse il suo parere, un passaggio formale necessario prima che i provvedimenti vengano discussi dall’assemblea generale dei deputati. Per tutta la giornata di martedì, la maggioranza aveva adottato ulteriori stratagemmi per prendere tempo e attendere che si definisse l’accordo sul Patto di stabilità. All’interno della maggioranza però la Lega aveva già manifestato l’intenzione di non indugiare oltre, portare il provvedimento in aula e votare contro.
Mercoledì sera, quando lo staff di Matteo Salvini ha diffuso un comunicato per rivendicare il risultato raggiunto da Giorgetti sul Patto di stabilità, sembrava che per la Lega a quel punto si potesse procedere con la ratifica, in virtù del fatto che la tattica attendista sul MES avesse permesso di ottenere un buon accordo sulle nuove regole europee fiscali e di bilancio. Ma si è capito presto che non era così. Un’ora più tardi Meloni ha diffuso una nota di commento sul Patto non proprio entusiasta, e in cui anzi esprimeva il rammarico per il fatto che alcune richieste italiane non fossero state accolte nella versione finale dell’accordo con gli altri 26 Stati membri. Insomma, le opinioni della presidente del Consiglio e di uno dei principali partiti al governo sull’esito del negoziato erano sostanzialmente differenti.
Giovedì mattina alle 8:30 era previsto un incontro alla Camera tra i capigruppo di maggioranza della commissione Bilancio per decidere se dare oppure no il parere sulla proposta di legge di ratifica del MES. Alla riunione la Lega si è presentata non soltanto con la sua capogruppo in commissione, Silvana Comaroli, ma anche con Alberto Bagnai, che è il responsabile economico del partito ed è uno degli esponenti più euroscettici, da anni impegnato in una campagna contro il MES.
Bagnai ha ribadito la volontà della Lega di procedere con un voto contrario. Fratelli d’Italia a quel punto si è adeguata. Forza Italia ha tentato di mediare, proponendo piuttosto di rinviare ulteriormente la discussione a gennaio e rifiutandosi di assecondare gli alleati che chiedevano una dimostrazione di compattezza dell’alleanza di governo. Forza Italia è infatti la componente più moderata della coalizione di destra, quella più europeista. Quando il segretario del partito Antonio Tajani, ministro degli Esteri, è stato contattato dai suoi deputati che gli chiedevano indicazioni sul da farsi, lui ha detto loro che aveva già esposto le sue ragioni a Meloni e Salvini, e che dunque Forza Italia si sarebbe astenuta in caso di voto in aula.
A quel punto la commissione Bilancio si è riunita e ha votato per dare parere contrario alla proposta di legge. Le motivazioni sono state un po’ pretestuose, è stato citato il fatto che la proposta di legge non garantisse il coinvolgimento del parlamento in caso di un eventuale ricorso da parte dell’Italia ai finanziamenti straordinari del MES, ma in effetti la commissione Bilancio deve valutare essenzialmente la sostenibilità finanziaria del provvedimento, non dare giudizi di merito sul coinvolgimento o meno del parlamento.
A quel punto è diventato chiaro che la maggioranza si sarebbe spaccata: subito dopo, in aula, Fratelli d’Italia e Lega hanno votato contro e Forza Italia si è astenuta.
L’insofferenza di Meloni
La scelta è stata di Meloni stessa, spinta da due motivi. Il primo riguarda l’esito del negoziato sul Patto di stabilità. In particolare i suoi collaboratori raccontano di una certa insofferenza per il metodo con cui si è arrivati a questo accordo, con Francia e Germania protagonisti e gli altri, Italia inclusa, sullo sfondo.
Un comunicato inviato alle agenzie di stampa dallo staff di Meloni dice che l’attivazione della nuova versione del MES, quella cioè che dipende dalla ratifica italiana, contiene «un’integrazione di relativo interesse e attualità per l’Italia, visto che come elemento principale prevede l’estensione di salvaguardie a banche sistemiche in difficoltà, in un contesto che vede il sistema bancario italiano tra i più solidi in Europa e in Occidente». In pratica il governo italiano è convinto che l’attivazione di un fondo di salvaguardia per le banche possa servire più alla Germania che all’Italia, e dunque la mancata ratifica del MES viene intesa come una sorta di rivalsa dei confronti dei tedeschi: una tesi assai controversa e per nulla condivisa dagli esperti, ma su cui Meloni e Fratelli d’Italia insistono da molto tempo, dicendo che il MES si è trasformato nel «fondo salva banche tedesche».
L’altro motivo che ha indotto Meloni a questa decisione ha invece a che fare con la politica interna. Da mesi Salvini fa una campagna per accreditarsi come il più “sovranista” all’interno del governo, a scapito di Meloni che avrebbe assunto posizioni sempre più moderate da quando è presidente del Consiglio. Il voto sul MES si inserisce in questa dinamica, visto che da anni sia la Lega sia Fratelli d’Italia lo descrivono come uno strumento assolutamente nefasto, una specie di strumento con cui Francia e Germania possono ricattare l’Italia.
Da tempo la Lega insisteva coi suoi esponenti più euroscettici a dire che non ha cambiato idea, al riguardo, e che quindi avrebbe votato contro la ratifica, proprio per ribadire le sue posizioni radicali. Meloni evidentemente non ha voluto concedere questo spazio all’alleato, specialmente in un momento in cui è di fatto iniziata la campagna elettorale per le elezioni europee, che si terranno nel giugno 2024.
«Vedo una certa rincorsa a destra, a chi va più a destra, per lanciare la campagna elettorale» ha detto il capogruppo di Forza Italia Paolo Barelli subito dopo il voto che ha bocciato la ratifica del MES. «Noi abbiamo espresso le nostre perplessità per questa strategia, ma la Lega si è mostrata determinata nel voler votare contro e a quel punto anche Fratelli d’Italia ha assecondato questa idea». Il capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, parlando con alcuni colleghi deputati fuori dall’aula, ha detto che «quando si sorpassa a destra, si finisce in corsia d’emergenza, solo che bisogna stare attenti perché più a destra della corsia d’emergenza non si può andare».
Il voto di giovedì di fatto rinvia con ogni probabilità l’eventuale ratifica del MES a dopo le elezioni europee. Il parlamento non può votare sull’approvazione di una proposta di legge già bocciata se prima non trascorrono sei mesi, anche se in teoria esistono modi per aggirare questo divieto. Per esempio il governo potrebbe procedere con un provvedimento di ratifica e inviarlo al Senato, che potrebbe così nel frattempo esprimersi con un primo voto favorevole anche in tempi rapidi. Oppure potrebbe modificare marginalmente il testo della proposta di legge di ratifica appena bocciato, magari inserendo un maggiore coinvolgimento del parlamento nell’eventualità di un ricorso ai fondi del MES, e ripresentarla alla Camera.
Ma politicamente queste ipotesi restano abbastanza improbabili, perché la maggioranza di destra a quel punto dovrebbe ratificare il MES proprio a ridosso delle elezioni europee.