Chi ha ottenuto cosa nell’accordo fra governi europei sul Patto di stabilità
Paesi come Italia e Francia l'hanno spuntata su una riduzione del debito spalmata nel tempo, la Germania e i paesi del Nord su molto altro
Mercoledì pomeriggio i ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno trovato un accordo all’unanimità su una proposta per riformare il Patto di stabilità, ossia l’insieme di complesse regole fiscali a cui tutti i paesi membri sono sottoposti. La proposta sarà valutata dal Parlamento Europeo, ma a meno di sorprese ci si aspetta che sarà approvata in via definitiva nei primi mesi del 2024.
In linea generale le norme del Patto di stabilità servono a far sì che ciascun paese tenga i propri bilanci in ordine e non faccia troppo ricorso al debito, in modo da evitare problemi che possano ricadere sul resto dell’Unione. Le norme erano state sospese nella primavera del 2020 a causa della pandemia, per dare modo ai paesi di spendere miliardi di euro in aiuti e sussidi senza troppi vincoli. In seguito però non sono mai state reintrodotte, anche a causa dell’inizio della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica. Il Patto di stabilità sarebbe dovuto tornare in vigore a partire dal 2024, ma da tempo si discuteva della necessità di riformarlo al di là delle emergenze, perché considerato eccessivamente rigido e ormai datato (risale nelle sue parti principali a ormai più di 25 anni fa).
La proposta di riforma è frutto di un delicato compromesso negoziato negli ultimi mesi fra paesi che in certi casi hanno una visione sulle regole fiscali e una condizione economica assai diversa. Vari paesi del Nord Europa, fra cui soprattutto la Germania e i Paesi Bassi, hanno tradizionalmente opinioni piuttosto conservatrici in materia economica. Ritengono per esempio che ciascun paese debba evitare di indebitarsi per sostenere ingenti investimenti pubblici, a maggior ragione in un sistema come quello dell’Unione Europea che lega in maniera molto stretta le economie di 27 paesi.
Ma all’interno dell’Unione Europea ci sono paesi che già oggi hanno un debito pubblico superiore al loro PIL, come Grecia, Italia, Francia, Spagna, Portogallo e Belgio: e tradizionalmente prevedono un ruolo piuttosto prominente dello Stato nelle proprie economie.
Il compromesso trovato mercoledì prova a venire incontro alle esigenze di entrambe queste fazioni: le norme fiscali europee sono state rilassate rispetto al passato, ma al contempo sono stati introdotti nuovi parametri da rispettare, di modo che il monitoraggio dell’Unione Europea sui bilanci dei singoli paesi diventi ancora più oculato.
Se l’accordo trovato mercoledì diventerà definitivo i paesi dell’Unione Europea non verranno valutati anno per anno dalla Commissione Europea – cioè l’organo esecutivo dell’Unione, che mantiene il suo ruolo di supervisione dei bilanci nazionali – ma dovranno concordare un piano individuale di riduzione del debito in quattro anni, prorogabile fino a sette, con obiettivi spalmabili nel tempo a seconda del contesto politico ed economico del momento.
È un cambiamento importante, dato che finora la riduzione prevista era di un ventesimo della quota di debito in eccesso ogni anno: un parametro considerato poco realistico, e mai davvero applicato.
Alla fine dei quattro o dei sette anni inoltre i paesi col debito più alto non potranno avere un deficit annuale – cioè i soldi spesi a debito – superiore all’1,5 per cento del PIL (le attuali regole garantivano un margine annuale del 3 per cento).
I paesi che invece hanno un debito già molto alto, come la Francia e l’Italia, hanno ottenuto sia la possibilità di spalmare la riduzione del debito su più anni sia una misura temporanea che scorpora il pagamento sugli interessi del debito da tutti questi calcoli fino al 2027. Il Financial Times scrive che è stata una misura dell’ultimo minuto chiesta esplicitamente dalla Francia.
Anche le multe per i paesi che violeranno il piano di riduzione del debito saranno più contenute di prima: saranno dello 0,05 per cento del proprio PIL, in base al testo del compromesso letto dal sito di news Euractiv. Difficilmente però si arriverà mai a questo punto, esattamente come oggi: EUobserver fa notare che fra il 1999 e il 2016 la Commissione Europea ha registrato 114 violazioni dell’attuale Patto di stabilità, senza però che nessun paese sia mai stato multato.
È del tutto possibile che anche con la nuova riforma la Commissione Europea continuerà ad adottare anche criteri politici per valutare i bilanci nazionali, esattamente come oggi: l’allineamento di un certo paese all’Unione Europea, la disponibilità ad attuare alcune riforme e ad abbandonarne altre. Molto dipenderà anche dall’approccio che sceglierà di usare la nuova Commissione Europea che dopo le elezioni europee di giugno 2024 sostituirà quella attuale, guidata da Ursula von der Leyen.
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