L’orecchio assoluto è innato o si sviluppa?
È una delle cose che non sappiamo della capacità di riconoscere istintivamente la nota corrispondente a un suono, posseduta da una persona su diecimila
In uno dei suoi libri più conosciuti, Musicofilia, il neurologo e scrittore Oliver Sacks scrisse di un suo paziente violinista che a proposito del suono continuo che sentiva in testa (acufene) lo aveva descritto come un «Fa naturale alto». Aveva aggiunto quel dettaglio con naturalezza, come se fosse per lui normale parlare in quel modo dei suoni, reali o immaginari che fossero. Acufene a parte, il paziente di Sacks aveva l’“orecchio assoluto”.
L’orecchio assoluto è la capacità di distinguere con precisione e all’istante la nota di qualsiasi suono: riconoscendo, per esempio, che un certo suono corrisponde a un Do, Fa o Sol senza bisogno di confrontarlo con un altro suono utilizzato come standard di riferimento. Le persone che ne sono dotate – circa una su diecimila – non hanno quindi bisogno di un diapason o di un accordatore elettronico per sapere quando un suono è un La, la nota su cui per convenzione sono accordati gli strumenti nelle orchestre. Ed è una cosa diversa dall’“orecchio relativo”, che indica invece la capacità – più comune – di distinguere l’altezza di due o più note: saper riconoscere cioè gli intervalli tra una nota e un’altra, ovvero la distanza che le separa sulla scala musicale.
Sebbene sia più diffuso tra i musicisti, l’orecchio assoluto è una capacità di cui sono dotate anche persone che non leggono la musica né la studiano, purché abbiano appreso un insieme di “etichette” verbali condivise (i nomi delle note della scala musicale) da poter correlare ai suoni. Allo stesso modo la stragrande maggioranza dei musicisti non ha questa capacità, senza che questo implichi una loro minore abilità musicale. I compositori tedeschi Robert Schumann e Richard Wagner non avevano l’orecchio assoluto, Mozart sì, sebbene alcuni racconti relativi alla precocità di questa sua abilità siano probabilmente apocrifi.
Secondo un aneddoto riportato nel volume The Oxford Companion to Music, citato da Sacks ed edito fin dagli anni Trenta, una volta a sette anni Mozart commentò il suono del violino del suo amico Johann Andreas Schachtner, poi diventato suo librettista, dicendo: «Se non hai più cambiato l’accordatura del tuo violino da quando l’ho suonato io l’ultima volta, rispetto al mio è calante di un quarto di tono» (cioè un microtono a metà tra due semitoni nella scala diatonica, la scala di sette suoni alla base della tradizione musicale occidentale).
Nello stesso volume è citata la storia di un professore di musica di Oxford ricordato per il suo eccezionale orecchio assoluto, che gli permise di rendersi conto già all’età di cinque anni dell’altezza di tutti i suoni che aveva intorno. Era in grado di dire, per esempio, che suo padre si soffiava il naso in Sol, che il vento soffiava in Re e che i rintocchi dell’orologio erano in Si: tutte affermazioni facilmente verificabili confrontando le note di quei suoni con quelle prodotte da uno strumento musicale.
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L’esatta distribuzione dell’orecchio assoluto non è ben documentata, ma secondo una stima risalente alla fine degli anni Ottanta e ripresa da successivi studi riguarda lo 0,01 per cento della popolazione. La precisione con cui le persone con questa capacità riescono a riconoscere l’altezza esatta dei suoni è variabile, ma la maggior parte di loro è in grado di riconoscere oltre settanta note, nei suoni che stanno nella parte centrale della gamma di frequenze udibili.
Spesso si parla delle persone che hanno l’orecchio assoluto come se avessero un senso aggiuntivo, estraneo alla maggior parte della popolazione. Ma sia la ricerca che l’aneddotica sulle caratteristiche di questa capacità suggeriscono che dalla prospettiva di chi ne è dotato distinguere l’altezza dei suoni sia perfettamente normale. Per quelle persone ciascun suono ha una qualità unica e riconoscibile «con la stessa immediatezza e facilità con cui la maggior parte delle persone può nominare i colori», ha detto a Live Science la psicologa inglese Diana Deutsch, una delle più citate studiose dell’orecchio assoluto.
Secondo Deutsch e altre persone che si occupano di questi studi specifici le persone che hanno l’orecchio assoluto «sentono» la qualità di un accordo di Re minore, per esempio, proprio come la maggior parte delle persone vede che un oggetto è blu e non giallo. È un’analogia utile a spiegare anche problemi e stranezze che l’orecchio assoluto può provocare in alcuni casi. Una volta, secondo un aneddoto riportato in The Oxford Companion to Music e citato da Sacks, un illustre pianista riuscì a completare solo con enormi difficoltà l’esecuzione della Sonata «Al chiaro di luna» (l’op. 27 n. 2 di Ludwig van Beethoven, un pezzo tecnicamente semplice), perché il pianoforte che stava utilizzando aveva un’accordatura a cui lui non era abituato.
Lo spostamento verso l’alto o verso il basso di tutta l’accordatura dello strumento era omogeneo, quindi tale da non produrre stonature, ovviamente percepibili anche dalle persone prive di orecchio assoluto. Per il pianista suonare un pezzo conosciuto in una certa tonalità ma ascoltarlo in un’altra, per quanto di poco più alta o più bassa, produceva invece una sensazione di grande fastidio, a tratti paralizzante. Come scritto nel 2005 dai due psicologi della McGill University di Montréal Daniel Levitin e Susan Rogers, in uno studio citato da Sacks, ascoltare una musica familiare nella tonalità sbagliata per una persona con l’orecchio assoluto è come «andare al mercato e scoprire che, per via di un temporaneo disturbo dell’elaborazione visiva, tutte le banane sono arancioni, la lattuga gialla e le mele viola».
La ragione dell’interesse per l’orecchio assoluto è che descrive un’esperienza percettiva che la maggior parte delle persone non riesce nemmeno a immaginare: per provare a farlo deve appunto ricorrere ad analogie che richiamano sensi diversi dall’udito. È inoltre una capacità apparentemente poco legata alla musicalità o ad altre capacità, e per questo motivo oggetto di studi in diversi ambiti di ricerca. Non è chiaro se l’orecchio assoluto sia una capacità innata o appresa, ma è possibile che siano influenti sia fattori genetici che condizionamenti ambientali.
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Una delle teorie sull’origine dell’orecchio assoluto la riconduce a fattori ereditari, ma i tentativi di individuare cause genetiche specifiche non hanno prodotto risultati convincenti. È abbastanza difficile, tra le altre cose, distinguere l’influenza della genetica da quella ambientale: genitori dotati di orecchio assoluto potrebbero infatti essere più propensi a dedicare del tempo alla formazione musicale dei figli, che è a sua volta un probabile fattore alla base dell’orecchio assoluto.
Una spiegazione più convincente e condivisa fa riferimento agli stimoli ricevuti durante un certo stadio dello sviluppo – all’incirca prima degli otto anni – in cui, come nel «periodo critico» per l’apprendimento del linguaggio, le persone hanno maggiori probabilità di coltivare l’orecchio assoluto in base all’esposizione a determinate influenze ambientali. I risultati di uno studio del 1998 condotto su 612 musicisti mostrarono che il 40 per cento di quelli che avevano cominciato a esercitarsi all’età di 4 anni (o prima ancora) aveva l’orecchio assoluto, mentre solo il 3 per cento di quelli che avevano cominciato musica dopo i nove anni aveva questa capacità.
Deutsch è nota principalmente per alcune sue ricerche sull’influenza della prima lingua appresa sull’orecchio assoluto, secondo cui la probabilità di averlo è maggiore tra le persone la cui lingua madre è una lingua tonale, come il mandarino o il vietnamita: lingue in cui l’intonazione con cui le parole sono pronunciate ne modifica il significato. Man mano che i bambini crescono in questi ambienti linguistici cominciano ad associare il significato delle parole all’intonazione con cui le pronunciano. In quelli che successivamente decidono di prendere lezioni di musica, secondo Deutsch, potrebbero verificarsi gli stessi processi ma applicati all’acquisizione dei toni musicali.
In uno studio del 2006 Deutsch e altri ricercatori e ricercatrici analizzarono la diffusione dell’orecchio assoluto in due diverse popolazioni di allievi al primo anno di musica: un gruppo frequentava la Eastman School of Music di Rochester, nello stato di New York, e l’altro gruppo il Central Conservatory of Music di Pechino. Considerando gli allievi che avevano cominciato a studiare musica tra i quattro e i cinque anni, circa il 60 per cento di quelli cinesi e solo il 14 per cento di quelli statunitensi (che parlano una lingua non tonale) avevano l’orecchio assoluto. Tra gli allievi che avevano cominciato a studiare musica più tardi le percentuali si abbassavano in entrambi i gruppi, ma molto di più in quello statunitense.
Come si sente dire spesso anche per le persone musicalmente poco o per niente intonate, che possono migliorare attraverso l’esercizio, anche l’orecchio assoluto potrebbe essere allenato in età adulta, secondo alcune ipotesi. Nel 2015 un gruppo di ricerca della University of Chicago guidato dallo psicologo Stephen Van Hedger mostrò che è possibile insegnare alle persone ad avere l’orecchio assoluto, anche se la capacità acquisita in età adulta è tipicamente inferiore rispetto a quella acquisita nel periodo critico. In generale, scrisse il gruppo, le probabilità di successo in età adulta dipendono dalla memoria di lavoro uditiva: la capacità di trattenere in mente stimoli uditivi che non sono più fisicamente presenti e di eseguire operazioni mentali su di essi.
I risultati della ricerca guidata da Van Hedger sono in parte compatibili con altre ricerche nell’ambito delle neuroscienze. Un gruppo di psicologi del Centre for Vision Research della York University, a Toronto, mostrò in uno studio pubblicato nel 2019 che in un gruppo di 61 musicisti professionisti quelli dotati di orecchio assoluto avevano rispetto agli altri una corteccia uditiva (l’area del cervello che riceve, gestisce ed elabora le stimolazioni uditive) molto più estesa. Tendenzialmente il cervello dei musicisti con orecchio assoluto reagiva inoltre a una gamma di frequenze del suono più ampia.
In ricerche precedenti un gruppo guidato dallo stesso Van Hedger aveva ipotizzato che l’orecchio assoluto non sia una capacità inalterabile. Un loro studio pubblicato nel 2013 sulla rivista Psychological Science scoprì che la capacità di distinguere l’altezza delle note in un gruppo di persone dotate di orecchio assoluto subiva dei cambiamenti se quelle persone venivano esposte all’ascolto di musica che veniva progressivamente “scordata” dagli sperimentatori di una frazione di semitono.