Le trattative per una nuova tregua a Gaza non vanno bene
Hamas e Israele stanno negoziando da giorni con la mediazione di Egitto e Qatar, ma ci sono ancora diversi punti su cui non riescono a mettersi d'accordo
Da settimane si discute di una possibile nuova pausa dei combattimenti nella Striscia di Gaza, per permettere l’arrivo di nuovi aiuti internazionali e frenare la gravissima crisi umanitaria in corso tra la popolazione palestinese. Le trattative sono diventate più intense e concrete negli ultimi giorni, ma le possibilità che ci sia una tregua nel breve periodo sembrano piuttosto scarse.
Mercoledì uno dei principali leader politici di Hamas in esilio all’estero, Ismail Haniyeh, è andato in visita al Cairo, in Egitto, per trattare una nuova tregua. Secondo quanto raccontato da alcune persone a conoscenza dei fatti a diversi giornali internazionali, Haniyeh avrebbe proposto una tregua di una settimana in cui Hamas libererebbe 40 ostaggi israeliani, tra cui donne, bambini e maschi anziani o malati, ma non soldati.
Hamas però vorrebbe che, prima che qualsiasi negoziazione venga formalizzata, Israele sospenda tutte le operazioni militari a Gaza – sia i bombardamenti che l’invasione di terra – e permetta l’arrivo di nuovi convogli con aiuti umanitari nella Striscia.
Questa richiesta è stata confermata da Hamas giovedì in un comunicato in cui ha detto che «c’è una decisione nazionale palestinese per cui non ci saranno discussioni sulla liberazione di prigionieri o accordi di scambio se non dopo una cessazione completa dell’aggressione». Non è chiaro cosa intenda Hamas con «decisione nazionale palestinese» e se implichi che nelle discussioni sia stato coinvolto anche il Jihad Islamico, che è il secondo gruppo armato più grande della Striscia e che si ritiene abbia in ostaggio alcune delle persone rapite il 7 ottobre.
Su questo punto sembra non ci siano al momento possibilità di trovare una convergenza, dato che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha più volte ripetuto negli ultimi giorni che non ha intenzione di fermare l’invasione di Gaza fino a che non avrà realizzato «tutti gli obiettivi che abbiamo fissato: eliminare Hamas, liberare i nostri ostaggi e rimuovere ogni minaccia da Gaza».
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Da quando è cominciata la guerra nella Striscia c’è stata solo una breve tregua, che è durata dal 24 novembre al primo dicembre e ha portato alla liberazione di 105 ostaggi israeliani da parte del gruppo radicale palestinese di Hamas in cambio di 240 prigionieri palestinesi. Hamas tiene in ostaggio ancora un centinaio di persone, che secondo Israele sarebbero in tutto 129, per lo più uomini. Nella prima tregua erano stati liberati solo donne e minori israeliani, oltre a ostaggi di altre nazionalità, prevalentemente thailandesi, ma sulla base di accordi separati che non facevano parte di quelli per la tregua con Israele.
Le trattative per una nuova tregua sono portate avanti separatamente da Israele e Hamas, che non comunicano direttamente ma solo tramite intermediari internazionali. Per Israele a fare da mediatore c’è il governo del Qatar, che ha buoni rapporti con entrambe le parti e che aveva già negoziato la prima tregua, mentre i leader politici di Hamas stanno discutendo con l’Egitto, paese che confina a sud con la Striscia di Gaza, e che ha un ruolo fondamentale per l’arrivo di aiuti internazionali: il varco di confine di Rafah è stato per settimane l’unico aperto tra Gaza e l’estero, e solo negli ultimi giorni Israele ha permesso l’apertura di un varco al confine tra il proprio territorio e la Striscia, quello di Kerem Shalom, nel sud-est del paese, per permettere l’ingresso di camion con aiuti umanitari.
Nel corso della prima tregua la sospensione dei combattimenti veniva prolungata di giorno in giorno, e solo dopo che Hamas aveva consegnato a Israele una lista delle persone in ostaggio che avrebbe liberato il giorno seguente. Adesso però Hamas vorrebbe avere la garanzia di una tregua stabile di almeno sette giorni, e quella di non dover sottoporre ogni giorno a Israele una lista degli ostaggi da liberare.
Questa proposta è ritenuta per ora inaccettabile da Israele, che vorrebbe poter negoziare di volta in volta con Hamas soprattutto per cercare di ottenere la liberazione di alcuni dei soldati tenuti in ostaggio a Gaza: la liberazione dei militari avrebbe un valore politico molto importante per il governo israeliano, ma finora Hamas non ha voluto trattare questa possibilità.
Dalla fine della tregua intanto Israele ha ripreso a bombardare con grande intensità tutta la Striscia, e ha cominciato a invadere anche la parte meridionale del territorio, che fino a quel momento era stata esclusa dalle operazioni militari di terra. Centinaia di migliaia di persone palestinesi sono state costrette a lasciare le proprie case e ad andare verso sud, al confine con l’Egitto, senza però possibilità di lasciare la Striscia.
In questa parte di territorio si erano già ammassati circa 2 milioni di civili palestinesi che erano fuggiti dal nord all’inizio dell’invasione israeliana, e tra la diffusione di malattie e la scarsità di cibo, acqua e generi di prima necessità le condizioni di vita per la popolazione stanno diventando sempre più complicate.
Nel frattempo ci sono negoziazioni in corso anche alle Nazioni Unite tra i principali governi mondiali per trovare una soluzione. Nelle scorse settimane il Consiglio di Sicurezza, il principale organo esecutivo dell’agenzia, aveva più volte respinto le proposte per approvare una risoluzione che chiedesse un cessate il fuoco umanitario, immediato e permanente.
Lo ha fatto soprattutto per via del veto degli Stati Uniti, che sono uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, e quindi hanno il potere di bloccare qualsiasi decisione. Lunedì il Consiglio avrebbe dovuto riunirsi per votare una nuova risoluzione, in cui il punto principale avrebbe dovuto essere l’arrivo di nuovi aiuti umanitari a Gaza più che la sospensione dei combattimenti. Ma secondo quanto raccontato da varie fonti ai giornali internazionali la formulazione del testo ha incontrato ancora diverse opposizioni, e il voto è stato rimandato per due volte sia martedì che mercoledì.
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