La nave Vulcano non ha mai raggiunto la Striscia di Gaza
L'operazione della Marina Militare italiana si è rivelata più complicata del previsto e ora si trova in un porto egiziano
Lo scorso 8 novembre è salpata dal porto laziale di Civitavecchia una nave della Marina Militare attrezzata con un ospedale a bordo. L’operazione era stata annunciata con una conferenza stampa dal ministro della Difesa Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia. Crosetto in particolare aveva esaltato la tempestività dell’iniziativa italiana, rivendicando come il nostro paese fosse stato il primo a essersi mosso in questa direzione.
Al momento della partenza, la nave aveva a bordo un equipaggio di oltre 170 marinai, di cui circa 30 medici, infermieri e chirurghi della Marina impiegati nella struttura sanitaria, oltre a due infermiere volontarie della Croce Rossa. Non era chiaro quale sarebbe stata la destinazione della nave. Esponenti di maggioranza e diversi giornali e trasmissioni televisive avevano detto che la Vulcano salpava «verso Gaza». Il comunicato diramato dal ministero della Difesa utilizzava una formula più vaga, parlando della nave «pronta a partire verso il Medio Oriente», quindi verso il Mediterraneo orientale.
La missione prevedeva in una seconda fase anche l’installazione di un ospedale da campo, dopo i sopralluoghi necessari per capire quale sarebbe potuto essere il luogo più idoneo, cioè quello al tempo stesso più sicuro e più vicino al territorio della Striscia di Gaza.
L’operazione si è rivelata più complessa di come la si era descritta inizialmente. La nave Vulcano è salpata dal porto di Civitavecchia senza sapere quale fosse la sua destinazione finale. Il piano prevedeva una prima sosta a Cipro, dove erano già operative altre quattro navi militari italiane impegnate nella missione di pattugliamento “Mediterraneo Sicuro”. Solo in un secondo momento si sarebbe stabilito il porto d’attracco definitivo, a seconda dell’esito dei colloqui che i ministeri della Difesa e degli Esteri, con la collaborazione dell’intelligence, stavano avendo con altri paesi dell’area. Nel frattempo la Vulcano ha fatto salire a bordo una squadra di sei medici e infermieri militari del Qatar, e altri specialisti italiani: tre anestesisti, due chirurghi, un ortopedico, diciannove infermieri con diverse specializzazioni, un tecnico di radiologia e due biologi. La Fondazione Francesca Rava, partner della Difesa, ha inviato poi due pediatri, un ginecologo e un’ostetrica.
Negli ultimi giorni di novembre si è capito che l’ipotesi che era stata presa in considerazione dalla Difesa, cioè fare rotta verso il Sud della Striscia di Gaza, non era praticabile: era troppo alto il rischio di esporre la nave ad attacchi o minacce che avrebbero peraltro potuto complicare ulteriormente la guerra in corso. Dopo un coordinamento con gli alleati della NATO, la Vulcano ha ricevuto l’autorizzazione da parte del governo egiziano di attraccare il 3 dicembre nel porto di Al-Arish, nel nord della penisola del Sinai, una cinquantina di chilometri a ovest del varco di Rafah al confine tra il sud della Striscia e l’Egitto.
Il porto di Al-Arish e l’area circostante erano stati scelti dall’Egitto come una sorta di base logistica degli aiuti umanitari inviati da diversi paesi del mondo alla Striscia fin dal 13 novembre, quando era stato installato proprio lì un ospedale da campo inviato dalla Turchia. Nei giorni seguenti erano arrivati altri container di aiuti da alcuni paesi europei, e il personale della Mezzaluna Rossa – l’equivalente della Croce Rossa – aveva iniziato a lavorarci. Il 29 novembre aveva attraccato al porto di Al-Arish una portaelicotteri anfibia della Marina francese, la Dixmude, attrezzata con un ospedale a bordo proprio come la Vulcano. Ad Al-Arish c’è inoltre uno dei principali ospedali dell’area, che cura molti palestinesi in fuga dalla Striscia.
«Il nostro vuole essere il primo passo di un’iniziativa nella quale non vogliamo essere gli unici, anzi vogliamo essere i primi, soltanto», aveva detto il ministro Crosetto poche ore prima della partenza della Vulcano. Quando la nave è arrivata ad Al-Arish, il 3 dicembre, c’erano già varie unità operative di altri paesi. La Dixmude francese era partita dal porto di Tolone il 20 novembre, dodici giorni dopo rispetto alla Vulcano, ma dopo aver già ottenuto l’autorizzazione del governo egiziano. Era arrivata ad Al-Arish il 27 novembre, ospitando i primi pazienti a bordo a partire dal giorno dopo. Il primo dicembre sulla nave francese sono stati eseguiti i primi interventi chirurgici.
La Vulcano è entrata pienamente in funzione alcuni giorni dopo, tra il 4 e il 5 dicembre, quando ha ricevuto a bordo i primi pazienti palestinesi che avevano lasciato la Striscia di Gaza ed erano stati già ricoverati negli ospedali egiziani. In questo modo la nave italiana contribuisce ad alleggerire la pressione sul sistema sanitario dell’Egitto. Nel frattempo lo Stato maggiore della Difesa italiano ha avviato colloqui con le autorità della Giordania e degli Emirati Arabi Uniti, che hanno già personale sanitario attivo nella Striscia, per valutare se e come sia possibile ospitare e curare direttamente sulla Vulcano persone in fuga dalla Striscia.
Sulla Vulcano si effettuano ormai da giorni interventi piuttosto delicati, che si svolgono nelle due sale operatorie presenti e sono finalizzati soprattutto a salvare arti feriti, a rischio amputazione. Il primo caso è stata una donna di 38 anni, vittima di un’esplosione ed estratta dalle macerie con gravi lesioni a entrambe le braccia: l’intervento è durato cinque ore e ha compreso tra l’altro il trapianto di un nervo. La donna ha recuperato la funzionalità delle braccia. In altri casi, le operazioni chirurgiche servono a stabilizzare dei pazienti, soprattutto giovani, arrivati in gravi condizioni, e che solo dopo un primo intervento parziale possono essere poi trasferiti al Children Hospital di Doha, in Qatar.
Quanto alla seconda fase dell’operazione, che prevede l’installazione di un ospedale da campo, la situazione è proibitiva. Il 6 dicembre scorso il ministro Crosetto ha riferito alla Camera sullo stato di avanzamento della missione. Ha spiegato che l’intenzione del governo è di «poterlo collocare all’interno della Striscia di Gaza», e ha aggiunto che «da giorni sono in corso interlocuzioni con Israele, Egitto ed Emirati Arabi Uniti per l’individuazione della soluzione più idonea». Ha poi aggiunto il dettaglio più importante: il 5 dicembre «era stata avviata la ricognizione da parte del nostro team militare nel Sud di Gaza».
Crosetto si riferiva a una squadra composta da una dozzina di militari che è andata in perlustrazione per capire quale potesse essere il luogo dove installare l’ospedale. L’ipotesi più accreditata era farlo in prossimità di un ospedale da campo con circa 150 posti letto che gli Emirati Arabi Uniti avevano aperto il 2 dicembre nel Sud della Striscia, in accordo col governo e l’esercito israeliani. L’esito della ricognizione italiana, secondo il ministero della Difesa, è però stato molto negativo: mentre erano sul campo, pochi chilometri a nord di Rafah, i militari hanno assistito a scontri e violenze tra diversi gruppi di palestinesi, e questo ha reso sconsigliabile per ora procedere con la missione.