L’incontro tra governo e sindacati sull’ex ILVA non ha portato a niente
Il primo vorrebbe mantenere un assetto privato, i secondi vorrebbero un coinvolgimento maggiore dello Stato
Mercoledì a Palazzo Chigi c’è stato un incontro tra governo e sindacati per decidere il futuro delle Acciaierie d’Italia, l’impianto siderurgico di Taranto meglio conosciuto come ex ILVA. Da mesi i sindacati fanno pressione affinché l’azionista di maggioranza, la multinazionale franco-indiana ArcelorMittal, e l’azionista pubblico di minoranza Invitalia, società che si occupa degli investimenti dello Stato, raggiungano un accordo per consentire allo stabilimento di proseguire l’attività produttiva.
Lo scorso 7 dicembre, durante l’ultima assemblea dei soci dell’ex ILVA, ArcelorMittal aveva rifiutato di approvare il rifinanziamento di 300 milioni di euro necessario per proseguire l’attività e saldare i debiti con i fornitori. Peraltro, oltre a questi 300 milioni, la ricapitalizzazione necessaria a continuare l’attività produttiva dovrebbe ammontare complessivamente a 1,5 miliardi di euro. L’incontro di mercoledì avrebbe dovuto sbloccare questa situazione, ma non ha portato a risultati concreti: il governo si è limitato a confermare genericamente l’intenzione di «continuare a fare la propria parte», ha assicurato che «sarà garantita la continuità aziendale», e ha convocato un altro incontro con i sindacati per il 28 dicembre, alla fine del quale dovrebbe comunicare cosa intende fare per evitare la chiusura dello stabilimento.
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Una delle possibilità che potrebbero permettere all’ex ILVA di continuare a funzionare, sostenuta fortemente dai sindacati, è la nazionalizzazione: esiste infatti una clausola che permetterebbe allo Stato, attraverso Invitalia, di diventare azionista di maggioranza dell’azienda passando dall’attuale 38 per cento delle azioni (contro il 62 della multinazionale franco-indiana) al 60 per cento. «Chiediamo che lo Stato salga in maggioranza e gestisca l’azienda fornendo garanzie occupazionali per il rilancio della produzione di acciaio senza danni ambientali», ha detto in proposito Michele De Palma, il leader della FIOM (Federazione Italiana Operai Metalmeccanici).
Il governo vorrebbe invece mantenere un assetto privato, e da tempo sta cercando di individuare un nuovo socio che possa sostituire ArcelorMittal come azionista di maggioranza: negli scorsi mesi si era parlato in particolare del gruppo ucraino Metinvest, lo stesso che controlla l’acciaieria Azovstal distrutta dai russi a Mariupol, in Ucraina, e di Tata Group, uno dei maggiori gruppi industriali indiani.
L’ultima possibilità è che venga constatata l’assenza dei presupposti per garantire la continuità aziendale, con la conseguente messa in liquidazione della società e il suo commissariamento. L’ex ILVA è l’acciaieria più grande d’Europa, occupa una superficie superiore a quella della città di Taranto e dà lavoro a 10.500 dipendenti, senza contare l’indotto, ossia tutte le aziende a cui vengono affidati lavori non direttamente collegati alla produzione di acciaio, come la manutenzione degli impianti.
L’azienda è in crisi da molti anni ma è considerata troppo grande e strategica per essere lasciata fallire. Lo scorso anno il governo aveva concesso ad Acciaierie d’Italia un prestito da 680 milioni di euro, il decimo fatto con soldi pubblici all’ex ILVA, che si inseriva in un percorso che ha portato lo Stato a diventare un importante azionista dell’azienda. Allo stesso tempo, pur essendo così importante dal punto di vista occupazionale, l’ex ILVA ha sempre costituito anche un grande problema ambientale per la città: si trova molto vicina al centro abitato e i suoi metodi di produzione dell’acciaio erano altamente inquinanti soprattutto in passato, con effetti dannosi sulla salute dei residenti.