«Una delle elezioni più caotiche al mondo»
Si tiene oggi nella Repubblica Democratica del Congo, contestate dall'opposizione e in mezzo a conflitti e violenze
Mercoledì 20 dicembre si vota per eleggere il nuovo presidente della Repubblica Democratica del Congo, il paese più grande dell’Africa sub-sahariana, grande otto volte l’Italia e con una popolazione di oltre 100 milioni di persone. Quelle in Congo sono «tra le elezioni più caotiche al mondo», ha scritto l’Economist: si svolgono nel mezzo di una serie di conflitti e violenze che potrebbero ostacolarne lo svolgimento, con lacune organizzative che molto probabilmente causeranno ritardi e problemi, e modalità di voto che sono state contestate dall’opposizione come poco trasparenti.
Alle elezioni si vota anche per rinnovare il parlamento nazionale e quelli delle 26 province in cui è diviso lo stato. Le attenzioni però sono rivolte soprattutto alle presidenziali: sono le prime elezioni da dopo la fine del lunghissimo governo dell’ex presidente Joseph Kabila, iniziato nel 2001 e terminato nel 2019 con le elezioni vinte dall’attuale presidente uscente Felix Tshisekedi, che si candida per un secondo e ultimo mandato (la Costituzione fissa il limite di mandati a due).
Formalmente nella Repubblica Democratica del Congo si svolgono elezioni democratiche dal 2006, ma nei fatti quello tra Kabila e Tshisekedi è stato il primo trasferimento di poteri pacifico da quando il paese ottenne l’indipendenza dal Belgio, nel 1960. La stessa vittoria di Tshisekedi alle elezioni del 2019, rinviate più volte e svolte nel mezzo di un’epidemia di ebola e in una situazione politica molto tesa, era stata molto contestata sia dalle opposizioni che da alcuni osservatori internazionali per via di brogli documentati anche da inchieste giornalistiche indipendenti.
I candidati sono in tutto una ventina, ma Tshisekedi è dato per favorito e quelli considerati più competitivi sono principalmente tre. Martin Fayulu, l’uomo che secondo diversi osservatori internazionali fu il vincitore legittimo delle elezioni del 2019, e quello che fece appello contro il risultato ufficiale chiedendo un riconteggio alla Corte Costituzionale; Moise Katumbi, ricco imprenditore e proprietario della Tout Puissant Mazembe, una delle squadre di calcio più importanti dell’Africa centrale, oltre che ex governatore della provincia di Katanga; e Denis Mukwege, medico congolese vincitore nel 2018 del premio Nobel per la Pace per il suo lavoro sulle persone sopravvissute agli stupri di guerra.
Alle elezioni vincerà chi ottiene più voti, indipendentemente dal raggiungimento della maggioranza assoluta: non è quindi previsto un ballottaggio. I risultati preliminari sono previsti per il 31 dicembre, ma potrebbero anche arrivare prima. Il presidente eletto si insedierà il 20 gennaio.
A rendere caotiche le elezioni attuali è anzitutto l’alto livello della violenza, che riguarda sia i conflitti etnici sia l’attività di vari gruppi armati attivi nel paese, soprattutto nelle zone orientali. Negli ultimi 30 anni le persone uccise in attacchi di gruppi armati e nelle violenze locali sono state oltre sei milioni.
Tra i gruppi armati più attivi ci sono l’M23, un gruppo ribelle formato soprattutto da persone di etnia Tutsi, le Forze Democratiche Alleate, gruppo islamista, e le milizie armate che compongono il CODECO (Coopérative pour le développement du Congo), un’ex cooperativa agricola diventata movimento armato di ribelli contro il governo. Gli attacchi dei vari gruppi hanno colpito e continuano a colpire anche obiettivi civili, e nelle province del Kivu Nord e di Ituri hanno portato il governo a imporre stati d’assedio in decine di occasioni. Sempre per via delle violenze la Repubblica Democratica del Congo è tra i paesi che hanno più sfollati interni al mondo: da marzo 2022 a oggi quasi sette milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni.
Ci si aspetta che l’insicurezza e l’instabilità causate dalle violenze ostacolino lo svolgimento delle elezioni: lo scorso ottobre sono ripresi nuovi scontri tra l’M23 e l’esercito, con un impatto diretto sul diritto al voto. L’insicurezza ha fatto sì che più di un milione di persone a Nord Kivu restasse senza tessera per votare e si teme che anche chi è in possesso della tessera possa non riuscire a votare.
Nei mesi scorsi sono state messe in atto violenze anche da parte della Guardia Repubblicana, un’unità di soldati di élite indipendente che si occupa della sicurezza del presidente, e che lo scorso agosto ha ucciso oltre 50 civili che manifestavano contro le Nazioni Unite accusandole di non fare abbastanza per proteggere i civili dalle frequenti violenze. Questi e altri episodi hanno reso più concreto il rischio di abusi da parte delle forze di sicurezza anche in periodo elettorale.
Anche il governo stesso si è a lungo lamentato con le Nazioni Unite dell’inefficacia della missione di peacekeeping inviata nel paese. In seguito a queste lamentele il 20 dicembre il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato il ritiro di tutti i soldati dalla Repubblica Democratica del Congo entro la fine del 2024, quindi con un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista per la missione.
A complicare le cose è stata anche la pessima organizzazione del voto: in molte aree le tessere per votare non arriveranno in tempo, mentre in molti altri casi sono state ricevute ma sono difettose. Per molte persone potrebbe quindi essere impossibile votare e ci si aspettano ritardi e possibili estensioni del periodo di voto.
L’organizzazione del voto è stata inoltre contestata dall’opposizione, che ha accusato il governo di frodi elettorali e di aver gestito il tutto in modo poco trasparente. Nella Repubblica Democratica del Congo le elezioni sono organizzate dalla CENI (Commission Électorale Nationale Indépendante), un organo formalmente indipendente, autonomo e neutrale, ma accusato dall’opposizione di essere troppo vicino al presidente Tshisekedi. Le accuse riguardano soprattutto l’uomo a capo della commissione, Denis Kadima, accusato di voler favorire il presidente in carica, che tra le altre cose appartiene al suo stesso gruppo etnico.
A fine novembre la missione dell’Unione Europea presente nel paese aveva annunciato il proprio ritiro dopo il fallimento dei negoziati per il raggiungimento di un accordo con il governo congolese sui dispositivi di comunicazione che avrebbero dovuto importare nel paese. Sarà però presente per il monitoraggio internazionale delle elezioni insieme alla Conferenza episcopale della Chiesa cattolica congolese e alla Chiesa di Cristo in Congo, due organizzazioni religiose ritenute affidabili sia all’interno del paese che fuori.
In tutto questo la Repubblica Democratica del Congo si trova da tempo in condizioni economiche molto critiche, nonostante la crescita dell’economia locale degli ultimi anni e le risorse minerarie di cui il paese è ricco.
La Repubblica Democratica del Congo resta un paese con alti tassi di povertà, un accesso molto basso ai servizi di base, gravi carenze infrastrutturali, un’inflazione molto alta e una situazione complessiva in cui gran parte della cittadinanza non ha visto gli effetti della crescita economica degli ultimi anni. Tshisekedi ha avviato una serie di iniziative, estendendo per esempio l’accesso all’istruzione e ai servizi medici di base, ma queste misure non si sono accompagnate con miglioramenti in altri ambiti molto critici, come quello della sicurezza e della corruzione: complessivamente la popolarità di Tshisekedi è calata e anche se i sondaggi lo danno per favorito saranno elezioni combattute.