L’attentato dell’ETA contro l’erede designato di Francisco Franco
Cinquant'anni fa a Madrid il gruppo terroristico basco uccise con un’autobomba Luis Carrero Blanco, in uno dei suoi attacchi più notevoli
Il 20 dicembre del 1973, cinquanta anni fa, intorno alle 9 e mezza del mattino un’esplosione nella via Claudio Coello di Madrid sbalzò un’auto Dodge Dart fino al quinto piano di un palazzo vicino. L’auto, che pesava 1.700 chili, atterrò su un ampio balcone di una scuola gesuita. A bordo c’era l’ammiraglio e primo ministro Luis Carrero Blanco, designato alcuni mesi prima a capo del governo del dittatore spagnolo Francisco Franco, e considerato il suo erede politico. Carrero Blanco morì sul colpo, così come il suo autista e l’uomo della scorta che lo accompagnava.
In serata l’organizzazione terroristica basca ETA (Euskadi Ta Askatasuna, che in basco significa “Paese Basco e Libertà”) rivendicò l’attentato, il più celebre di una lotta armata durata oltre quarant’anni. Francisco Franco morì solo due anni dopo, nel 1975, di fatto senza lasciare veri eredi politici. L’ETA, che rivendicava l’indipendenza dei Paesi Baschi, annunciò la fine definitiva delle sue attività il 20 ottobre del 2011: il conflitto con lo stato spagnolo provocò 855 morti, migliaia di feriti e un’enorme destabilizzazione della società.
Luis Carrero Blanco conosceva Franco dal 1925, ma divenne influente a livello politico dal 1941, quando una sua relazione approfondita convinse il dittatore a non prendere parte alla Seconda guerra mondiale al fianco di Germania, Italia e Giappone. Condivideva con Franco una visione ultracattolica, anticomunista e profondamente conservatrice della società e fu per decenni un esponente di alto livello del regime, anche per la capacità di tenere insieme le varie famiglie dell’organizzazione franchista (pur non appartenendo a nessuna) e per alcuni risultati internazionali ottenuti come la normalizzazione dei rapporti con Stati Uniti e Vaticano. Nel giugno del 1973 fu nominato “presidente del governo” e diventò di fatto il secondo uomo più importante del regime.
L’ETA era attivo in Spagna dal 1958, quando alcuni gruppi studenteschi si staccarono dal Partito Nazionalista Basco con l’obiettivo di mettere in pratica una strategia di «azione diretta» a favore dell’indipendentismo basco. L’ETA era un gruppo secolare e di sinistra, e in questo si differenziava dal tradizionale indipendentismo basco, che è in gran parte conservatore e cattolico. Il suo obiettivo primario era la conquista con la forza dell’indipendenza dei Paesi Baschi, un ampio territorio situato in gran parte nel nord della Spagna e in parte minore nel sud-ovest della Francia. Il primo atto violento, il tentativo di far deragliare un treno militare, risaliva al 1961, il primo omicidio premeditato fu del 1968.
Nel 1973 si erano create le condizioni per un attentato di alto livello: a gennaio l’ETA aveva sequestrato l’industriale Felipe Huarte, ottenendo 50 milioni di pesetas per il riscatto (il corrispettivo di circa 5 milioni di euro attuali) e nello stesso mese aveva rubato in una polveriera ad Hernani, nei Paesi Baschi, 3.075 chili di dinamite. Aveva i mezzi e aveva le informazioni: Eva Forest, dissidente del Partito Comunista e principale collaboratrice dell’organizzazione a Madrid, da alcuni mesi teneva informati i vertici dell’ETA della routine quotidiana dell’allora ministro Carrero Blanco. Il politico ogni mattina andava a fare la comunione in una chiesa vicina, poi rientrava in casa per colazione e infine andava al lavoro al ministero.
La prima idea dell’ETA fu di rapirlo, per poi organizzare uno scambio con i 150 militanti nelle carceri spagnole, ma la promozione di Carrero a capo del governo aumentò la scorta e le misure di sicurezza. Si decise quindi per l’attentato con l’esplosivo: nell’organizzazione erano presenti un ingegnere minerario e alcuni militanti esperti di esplosivi. L’ETA affittò uno scantinato lungo via Coello, che sarebbe stata percorsa dalle auto del primo ministro: partendo da lì fu scavato in un mese un tunnel verso il centro della strada, dove furono piazzati 70 chili di dinamite. Una trentina di militanti lavorò all’attentato, senza mai essere intercettati dalle forze di sicurezza: l’ETA fino a quel momento non aveva mai colpito fuori dai Paesi Baschi e la polizia non riteneva un attentato nella capitale una possibilità concreta.
Gli indipendentisti attesero che si concludesse una visita nella capitale del segretario di Stato americano Henry Kissinger (l’ambasciata statunitense era vicina) e poi passarono alla fase operativa. José Miguel Beñarán, detto Argala, e Jesús Zugarramurdi, Kiskur, travestiti da elettricisti schiacciarono il pulsante che provocò l’esplosione al momento del passaggio dell’auto: poi fuggirono a piedi verso l’auto dove li aspettava Javier Larreategi, detto Atxulo. Da lì scapparono verso un covo nella periferia madrilena, dove restarono un mese prima di completare la fuga in Francia.
L’esplosione causò un cratere largo 19 metri e profondo quasi tre: oltre ai tre morti risultarono feriti tre collaboratori di Carrero Blanco, un tassista, un’arredatrice, la portinaia del palazzo più vicino e le sue due figlie. A un paio d’ore dall’attentato fu trovato il tunnel, alle 12 Franco fu informato dell’accaduto, che venne reso pubblico alle 9 di sera. Intorno alle 11 di sera l’ETA lo rivendicò per la prima volta: sarebbero seguiti quattro comunicati ufficiali, una conferenza stampa in Francia con militanti incappucciati e poche settimane dopo anche un libro, Operación Ogro (Operazione Orco), scritto da Eva Forest sotto pseudonimo. Nel libro si raccontavano nascita e motivazioni dell’attentato, inserendo particolari falsi per sviare le indagini.
La reazione dello stato fu duplice: pubblicamente non vennero attuate misure straordinarie, perché si volle mantenere la calma, mascherare gli errori e sottolineare la normalità del proseguimento dell’azione di governo; all’interno del governo alcuni esponenti chiesero «misure risolute» per punire responsabili e antifranchisti.
Per quel che riguarda il gruppo terroristico, l’attentato segnò un punto di svolta. La fazione definita “militare”, più convinta che la lotta armata fosse l’unica via, prevalse sulle componenti operaie, indipendentiste e marxiste-leniniste che invece si opponevano a un uso generalizzato della violenza.
Nel 1975, alla morte di Franco, il regime non aveva un vero erede politico designato: il primo ministro Carlos Arias Navarro dovette presto cedere alle pressioni della stampa, alle proteste di piazza e alle richieste di cambiamento del settore economico e dello stesso partito franchista. Gli storici oggi ritengono che anche Carrero Blanco, erede designato, avrebbe potuto esprimere una resistenza limitata, ma sicuramente l’attentato aiutò il fronte antifranchista.
Il primo ministro che gli succedette fu Adolfo Suárez, che nel 1977 propose e fece approvare una legge di amnistia per i crimini commessi durante la guerra civile e il regime franchista: i vertici militari dell’ETA e gli esecutori materiali dell’attentato, per cui stava per iniziare il processo, non andarono mai a giudizio. Il mancato processo negli anni favorì la nascita di una serie di teorie cospirative sull’Operazione Orco, che in alcuni casi sostenevano fossero intervenuti i servizi segreti, ora statunitensi, ora sovietici: queste teorie non solo non hanno mai avuto conferme, ma i rapporti desecretati della CIA e i dispacci svelati da Wikileaks non contengono alcuna indicazione di un coinvolgimento di paesi esteri.