C’è un accordo sulla riforma del Patto di stabilità
È stato trovato dai ministri dell'Economia dei 27 stati membri dell'Unione Europea, ma dovrà essere approvata dal Parlamento
Mercoledì i ministri dell’Economia e delle Finanze dei 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno approvato all’unanimità una proposta per riformare il Patto di stabilità, ossia l’insieme di complesse regole fiscali a cui tutti gli stati membri sono sottoposti. Prima di entrare in vigore la riforma dovrà essere discussa e approvata dal Parlamento Europeo, e in ogni caso non impatterà i piani di spesa dei vari paesi per il 2024, che sono già stati approvati.
In linea generale, le regole previste dal Patto di stabilità servono a far sì che ciascun paese tenga i conti pubblici in ordine e non faccia troppo ricorso al debito, in modo da evitare problemi che possano ricadere sul resto dell’Unione. Le regole erano state sospese nella primavera del 2020 a causa della pandemia di Covid-19, per dare modo ai paesi di spendere miliardi di euro in aiuti ai propri cittadini senza troppi vincoli. In seguito però non sono state reintrodotte, anche a causa dell’inizio della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica. Il Patto di stabilità sarebbe dovuto tornare in vigore a partire dal 2024, ma da tempo si discuteva della necessità di riformarlo al di là delle emergenze, perché considerato eccessivamente rigido.
Lo scorso aprile la Commissione Europea aveva presentato una proposta di riforma, poi discussa e modificata dal Consiglio dell’Unione Europea, l’organo in cui sono rappresentati i governi dei 27 paesi membri. In estrema sintesi la proposta prevede una semplificazione delle regole, trattamenti diversi a seconda della condizione economica “di partenza” dei paesi e un rafforzamento delle procedure di infrazione.
Rimangono invariati due parametri già presenti nella precedente versione del Patto, e particolarmente discussi: gli stati membri dovranno avere un debito pubblico inferiore al 60 per cento del prodotto interno lordo (PIL), e il rapporto tra deficit e PIL non dovrà superare il 3 per cento. Il deficit è l’eccesso di spesa annuo rispetto alle entrate.
La riforma permette però agli stati con un debito particolarmente alto di stabilire con le autorità europee dei piani di spesa individuali della durata di quattro anni, prorogabili fino a sette anni, che permettano di ridurlo e rimettersi in linea con gli standard europei.
Sono previsti degli obiettivi generali, che però sono stati ammorbiditi rispetto alla precedente versione. Per esempio, i paesi con un rapporto tra debito e PIL superiore al 90 per cento dovranno ridurlo di un punto percentuale all’anno per la durata del loro piano di spesa, e di mezzo punto se il rapporto è superiore al 60 per cento ma inferiore al 90 per cento. È un cambiamento importante, dato che finora la riduzione prevista era di un ventesimo della quota in eccesso ogni anno: un parametro considerato poco realistico, e mai davvero applicato. Inoltre sarà possibile scorporare dal calcolo del debito pubblico la spesa per gli interessi, almeno fino al 2027. Sono previste sanzioni specifiche per i paesi che non seguono le indicazioni dei propri piani.
Nelle ultime settimane il ministro italiano dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva minacciato di mettere il veto sulla proposta, ma ha poi deciso di approvarla «nello spirito del compromesso». In un comunicato stampa, Giorgetti ha detto che nella riforma «ci sono alcune cose positive e altre meno», ma ha definito l’accordo come «sostenibile» per l’Italia e affermato che questo prevede «regole più realistiche di quelle attualmente in vigore». La trattativa era stata particolarmente complessa per il governo italiano, che aveva dovuto ridimensionare le proprie richieste e pretese per andare incontro a quelle di paesi più rigorosi in materia di conti pubblici, come la Germania.
L’Italia è tra i paesi europei con deficit e debito pubblico più alti: secondo dati dell’Eurostat riferiti al 2022 il debito pubblico italiano è stato il secondo più alto dopo quello della Grecia, più del 144 per cento del PIL, quasi due volte e mezzo la soglia del 60. Il rapporto tra deficit e PIL è invece pari all’8 per cento, ben al di sopra della soglia del 3 per cento prevista dai parametri del Patto di stabilità: subito dopo vengono Ungheria e Romania (col 6,2 per cento) e Malta, col 5,8 per cento.
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