In Cile resterà in vigore la Costituzione di Pinochet
È stato bocciato un referendum che proponeva un testo molto di destra, dopo che nel 2022 ne era stato respinto uno di sinistra
In Cile la maggioranza degli elettori ha votato contro la proposta di creare una nuova Costituzione, per sostituire quella voluta nel 1980 dal dittatore di destra Augusto Pinochet. Nel referendum che si è svolto domenica, con voto obbligatorio, ha votato contro la proposta il 55,76 per cento, mentre solo il 44,24 per cento si è espresso a favore.
È la seconda volta in due anni che gli elettori cileni bocciano l’adozione di una nuova Costituzione per cambiare quella elaborata nel corso della dittatura militare di Pinochet. Nel settembre del 2022 un primo referendum respinse con il 62 per cento dei voti una bozza di Costituzione ritenuta molto di sinistra e voluta fortemente dal presidente Gabriel Boric, del partito di sinistra Convergencia Social. Dopo la bocciatura il testo era stato riscritto dal Consiglio costituzionale, composto da 50 membri eletti a maggio di quest’anno e controllato da esponenti di partiti di destra ed estrema destra.
Il testo, approvato a novembre, riprendeva molti dei princìpi sociali ed economici della Costituzione già esistente, introducendo modifiche in senso ancora più conservatore e liberista. I partiti che sostengono il governo di Boric avevano indicato ai propri elettori di votare contro la nuova Costituzione, mentre le opposizioni di destra erano a favore del Sì.
La bocciatura della nuova Costituzione era ampiamente prevista dai sondaggi. La Costituzione voluta da Pinochet resterà in vigore e il fallimento dei lavori per sostituirla conferma l’estrema polarizzazione della politica cilena. «Il paese si è polarizzato, diviso», ha detto Boric durante un discorso televisivo dopo la proclamazione dei risultato, e ha aggiunto che il suo governo non cercherà un terzo tentativo di cambiare la Costituzione. «Ciò che la cittadinanza chiede è una migliore capacità di dialogo, di consenso, ma soprattutto di azione», ha detto Boric, specificando che da qui alle elezioni parlamentari e presidenziali del 2025 si dedicherà soprattutto a cercare di introdurre riforme in tema di pensioni e di fisco.
Il processo per il referendum era iniziato dopo le enormi proteste sociali del 2019, che iniziarono per il carovita ma che riguardarono ben presto tutto il sistema politico e sociale cileno, ritenuto diseguale e ingiusto. Per il Cile la riforma della Costituzione è una questione politica centrale ormai da anni: il centrosinistra aveva da tempo tra le sue priorità la sostituzione della Costituzione voluta più di quarant’anni fa da Pinochet, che nonostante decine di emendamenti fatti nel corso degli anni ha ancora un impianto decisamente conservatore.
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Dalle proteste del 2019, che raccolsero il favore di buona parte della popolazione, nacque una nuova classe dirigente giovane e di sinistra, che portò all’elezione nel 2021 di Boric, il presidente più giovane della storia del paese e quello più di sinistra da oltre cinquant’anni. Nel 2020 i cileni indissero un referendum per sostituire la Costituzione e nel 2021 elessero la Convenzione costituzionale, un organo deputato alla scrittura di un nuovo testo composto da 155 persone, di cui la metà donne. Nel 2022 il testo fu presentato pubblicamente alla popolazione: era una delle Costituzioni più progressiste e femministe del mondo. Fu però respinta, con il 62 per cento dei voti contrari, perché considerata troppo identitaria e ambiziosa, nonché potenzialmente problematica.
A quel punto il presidente Boric fece ripartire il processo di stesura di un testo completamente nuovo: sarebbe stato scritto da una commissione di esperti proposta dal parlamento e poi emendato da un Consiglio costituzionale eletto, quello composto da 5o membri. L’esito delle elezioni portò a una maggioranza fortemente spostata su posizioni conservatrici. I 23 rappresentanti del Partito Repubblicano, di estrema destra, e gli 11 di Chile Vamos, di destra tradizionale, hanno proceduto a modificare da soli la Costituzione scritta dagli esperti, senza cercare un accordo o una mediazione con i 17 rappresentanti del centrosinistra. Da un testo piuttosto equilibrato si è quindi passati a uno molto più conservatore.
Il testo definitivo, risultato di otto mesi di emendamenti, era considerato da buona parte dell’opinione pubblica cilena come problematico, sotto vari punti di vista: non includeva nessun riferimento alle popolazioni indigene, come invece faceva il primo testo, ed era considerato peggiorativo anche dei diritti per le donne (non solo non c’erano indicazioni ispirate dalla ricerca di una maggiore uguaglianza dei sessi, ma alcuni articoli potevano portare alla cancellazione del già ridotto diritto all’aborto).