La candidatura di Ron DeSantis scricchiola
Il governatore della Florida era considerato il più promettente tra gli avversari di Trump alle primarie Repubblicane, ma poi le cose sono cambiate
La candidatura di Ron DeSantis alle primarie del Partito Repubblicano, in vista delle elezioni presidenziali statunitensi del 2024, sembra sempre più debole. Nelle ultime settimane sei persone si sono dimesse o sono state licenziate da Never Back Down, il comitato politico fondato per sostenere la candidatura, e i numeri nei sondaggi non sono cresciuti come previsto. Nonostante questo DeSantis sta continuando a fare campagna elettorale, concentrandosi soprattutto nei primi stati in cui si voterà, a partire dall’Iowa.
DeSantis, che dal 2019 è governatore della Florida, aveva annunciato la sua candidatura a maggio del 2023 ed era subito stato considerato come una delle alternative più convincenti all’ex presidente Donald Trump, al momento in forte vantaggio in tutti i sondaggi. La candidatura di DeSantis non è però mai davvero decollata, anzi: di recente è stata messa in discussione non solo da Trump ma anche da Nikki Haley, ex governatrice del South Carolina ed ex ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, nonché unica donna candidata alle primarie Repubblicane.
Secondo gli ultimi sondaggi nazionali, aggiornati al 17 dicembre, Trump è saldamente in testa con il 63 per cento dei voti, seguito da DeSantis con il 12,3 per cento e da Haley con il 10,7 per cento. I consensi di DeSantis sono però calati notevolmente negli ultimi mesi: a maggio, poco dopo l’annuncio della sua candidatura, era dato al 23 per cento. Haley invece si è fatta notare durante la campagna elettorale e nei vari dibattiti organizzati dal partito, guadagnando voti e imponendosi come un’alternativa valida a DeSantis per il “secondo posto” alle primarie.
A meno di grossi sconvolgimenti, rimane comunque molto probabile che sia Trump a vincere e diventare il candidato del partito alle prossime elezioni presidenziali, in programma a novembre del 2024.
A partire da fine novembre il comitato politico – il cosiddetto “PAC” – di DeSantis, chiamato Never Back Down (“mai tirarsi indietro”), ha iniziato a perdere pezzi. Il 22 novembre si era dimesso il direttore Chris Jankowski, parlando di opinioni inconciliabili con il resto della dirigenza, e a inizio dicembre la nuova direttrice Kristin Davison è stata licenziata e sostituita con Scott Wagner, un amico di lunga data di DeSantis. Di recente altri due membri del comitato sono stati licenziati, mentre il presidente del consiglio di amministrazione Adam Laxalt si è dimesso. Infine sabato scorso si è dimesso anche Jeff Roe, tra i principali organizzatori del PAC e fondatore della società di consulenza elettorale Axiom Strategies, da sempre legata al Partito Repubblicano.
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Tra marzo e luglio il comitato ha raccolto più di 130 milioni di dollari, ma per ora i fondi non si sono trasformati in voti.
Le primarie per il Partito Repubblicano inizieranno dall’Iowa il prossimo 15 gennaio, tra meno di un mese. DeSantis ha appena concluso un tour di tutte le 99 contee dello stato, un’operazione molto ambiziosa fatta principalmente per farsi conoscere dagli elettori e convincerli della solidità della sua candidatura. Il tour però non sembra avere dato i risultati sperati: i sondaggi danno DeSantis intorno al 20 per cento in Iowa, ben lontano dal 50 per cento di Trump.
Per ora DeSantis non ha commentato le difficoltà del suo comitato, preferendo attaccare Trump e soprattutto Haley, accusandola in varie occasioni di essersi candidata non per vincere la nomination alle presidenziali ma per farsi notare e sperare in un ruolo da vicepresidente al fianco di Trump. DeSantis ha detto più volte di non essere interessato ad alcun altro ruolo nel governo federale se non a quello di presidente, e che crede di poter fare di più restando governatore della Florida: «Non sono il tipo che fa il numero due», ha detto durante un’intervista per un podcast del Wisconsin. Anche Haley ha detto di non essere interessata a «giocare per il secondo posto».
DeSantis è considerato un politico molto conservatore, tanto che nel 2015 fu tra i fondatori del gruppo parlamentare Freedom Caucus, diventato poi l’espressione dell’estrema destra repubblicana. Negli anni da senatore per lo stato della Florida, tra il 2013 e il 2018, e poi da governatore, si è sempre imposto sulla scena politica locale e nazionale come un esponente dell’ala radicale del partito, soprattutto per quanto riguarda i diritti delle minoranze, e come un sostenitore di Trump.
Tra le altre cose si disse favorevole alla costruzione di un muro con il Messico (una delle principali promesse elettorali di Trump, solo parzialmente mantenuta), e nel suo primo mandato come governatore aumentò i diritti per i detentori di armi in Florida, limitò l’accesso al voto di alcune minoranze e approvò una legge molto restrittiva sull’aborto, limitandone la legalità alle sole prime sei settimane dal concepimento. La legge non è ancora formalmente entrata in vigore in attesa di un pronunciamento della Corte Suprema della Florida, e in un recente dibattito per le primarie DeSantis si è detto favorevole a vietare l’aborto dopo 15 settimane dal concepimento.
Durante la pandemia di Covid-19 adottò un approccio quasi negazionista: accusò i media di stare creando «il panico» in modo immotivato e fu tra i primi governatori a rimuovere le restrizioni imposte per limitare i contagi, aprendo le scuole e le attività commerciali molto presto e togliendo l’obbligo di indossare le mascherine.
Approvò anche la legge chiamata informalmente “Don’t say gay” (“non dire gay”), che tra le altre cose proibisce di parlare di orientamento sessuale e di identità di genere nelle scuole. La decisione fu molto criticata dalla multinazionale dell’intrattenimento Disney e finì al centro di un lungo contenzioso legale tra l’azienda e lo stato della Florida. Inizialmente DeSantis approfittò della questione per imporre i propri ideali conservatori e presentarsi come “uomo forte” della destra americana, ma nel tempo la questione ha giocato a suo svantaggio, soprattutto a causa dell’enorme peso che Disney ha sull’economia e sull’occupazione in Florida: il parco divertimenti Walt Disney World di Orlando dà lavoro a oltre 70mila persone nello stato, senza contare l’indotto.
In generale però la sua netta contrarietà alla cosiddetta ideologia «woke», un termine usato in modo dispregiativo per riferirsi all’atteggiamento delle persone particolarmente attente e impegnate contro le ingiustizie sociali, gli ha fatto guadagnare molto consenso tra gli elettori più radicali del Partito Repubblicano.
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Nel 2022 DeSantis fu confermato come governatore con quasi 20 punti di vantaggio sul candidato democratico, Charlie Crist, nonostante in quella tornata elettorale i sostenitori di Trump avessero ottenuto risultati inferiori alle attese. Trump però aveva già iniziato a prendere le distanze da DeSantis, in vista proprio di una sua possibile candidatura alle primarie del partito.