La strage di Fiumicino, 50 anni fa
All'epoca fu il più grave attentato terroristico avvenuto in Europa: morirono 32 persone e ci furono grosse polemiche politiche
Il 17 dicembre del 1973 un gruppo di cinque terroristi palestinesi attaccò l’aeroporto di Fiumicino, prendendo ostaggi e lanciando bombe dentro a un aereo della Pan Am: morirono 32 persone e i terroristi riuscirono a fuggire. Fu la più grave strage terroristica avvenuta in Europa fino a quella di Bologna del 1980 e portò a grandi polemiche all’interno del dibattito politico italiano.
Le motivazioni specifiche dell’attacco rimangono a oggi sconosciute, così come l’organizzazione di cui facevano parte i terroristi, benché siano circolate moltissime ipotesi. In quegli anni diversi gruppi armati e terroristici palestinesi organizzarono numerosi attacchi sia in Europa che in altre parti del mondo, fra cui ad esempio quello alle Olimpiadi di Monaco del 1972.
Intorno a mezzogiorno e mezzo del 17 dicembre 1973 cinque terroristi palestinesi scesero all’aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino da un aereo appena arrivato da Madrid. All’epoca i controlli di sicurezza agli aeroporti erano praticamente inesistenti: nei bagagli che portavano con sé i terroristi avevano mitra e bombe a mano. Quando arrivarono alla barriera del controllo passaporti, i cinque tirarono fuori le armi e presero in ostaggio sei agenti di polizia. Il gruppo si divise: quelli con gli ostaggi si diressero verso il gate 14, mentre altri cominciarono a sparare contro le vetrate per poter uscire direttamente sulla pista.
Sulla pista in quel momento si trovava il volo Pan Am 110, che si preparava al decollo con un ritardo di circa 25 minuti. Il capitano Andrew Erbeck e gli altri membri dell’equipaggio nella cabina di pilotaggio videro la gente che scappava e che cercava riparo nel terminal mentre i terroristi sparavano per aprirsi una strada. Erbeck avvertì i passeggeri che stava succedendo qualcosa all’interno dell’aeroporto e ordinò che tutti si sdraiassero in terra.
Uno dei due gruppi di terroristi stava raggiungendo l’aereo proprio in quell’istante. Alcuni di loro salirono sulla scala mobile che era ancora poggiata alla fiancata dell’aereo e lanciarono all’interno due granate dirompenti e una bomba al fosforo, un materiale incendiario che procura ustioni particolarmente gravi e genera fiamme molto difficili da spegnere. L’onda d’urto stordì numerosi passeggeri, mentre le fiamme si propagarono rapidamente fino a raggiungere il carburante nei serbatoi. Luigi Peco, uno dei sopravvissuti alla strage, raccontò che il terzo scoppio aprì uno squarcio sul tetto dell’aereo che permise a parte del fumo dell’incendio di uscire, rendendo l’aria più respirabile.
Dopo le esplosioni, alcuni assistenti di volo riuscirono ad aprire un’uscita di emergenza sul lato dell’aereo. Gran parte dei passeggeri e del personale riuscì a salvarsi, ma 30 persone, quattro delle quali italiane, morirono soffocate o per le ustioni causate dal fosforo.
Mentre era in corso l’attacco contro il Pan Am 110, un secondo gruppo di terroristi, insieme a sei ostaggi italiani presi in precedenza, raggiunse l’altro aereo che si trovava in quella parte della pista: un Boeing 737 della Lufthansa che era in attesa di partire. Sotto l’aereo si trovava un militare della Guardia di Finanza, Antonio Zara, di 20 anni. I terroristi gli immobilizzarono le braccia e dopo avergli detto di allontanarsi gli spararono alla schiena. Dopo aver preso altri due ostaggi dal personale di terra dell’aeroporto ed essersi riuniti con il primo gruppo, i terroristi salirono a bordo dell’aereo Lufthansa e obbligarono l’equipaggio a decollare: 40 minuti dopo l’inizio dell’attacco, l’aereo partì diretto ad Atene.
Una volta arrivati in Grecia i terroristi iniziarono a trattare con il governo chiedendo la liberazione di terroristi palestinesi arrestati l’estate precedente dopo un attacco al terminal dell’aeroporto di Atene. Le trattative durarono 16 ore, durante le quali gli attentatori uccisero uno degli ostaggi italiani e abbandonarono il suo corpo sulla pista d’atterraggio. L’aereo quindi ripartì verso l’aeroporto di Beirut, dove il governo libanese gli negò l’accesso e occupò la pista con mezzi militari per impedirgli di atterrare. Cipro fece lo stesso.
I terroristi lo diressero quindi a Damasco, in Siria, l’unico aeroporto che li accolse e li rifornì di carburante, poi ripartirono. Dopo diverse ore di volo in cui non trovavano un aeroporto disposto ad accoglierli atterrarono all’aeroporto internazionale di Kuwait City. Il governo del Kuwait negoziò con i terroristi il rilascio di tutti gli ostaggi ancora a bordo in cambio della loro libertà. L’Italia chiese la loro estradizione, ma queste richieste non vennero prese in considerazione. Morirono in tutto 32 persone, tra cui sei cittadini italiani.
I cinque terroristi vennero comunque arrestati, ma dopo essere stati interrogati furono trasferiti in Egitto sotto la responsabilità dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che al tempo era un’organizzazione di lotta armata. Rimasero in carcere al Cairo fino al 24 novembre del 1974 ma furono liberati dopo che altri attentatori dirottarono un aereo britannico chiedendo la scarcerazione di alcuni terroristi palestinesi. Il governo egiziano li liberò quindi in Tunisia e da quel momento non si seppe più nulla di loro.
Le ricadute politiche dell’attacco a Fiumicino furono notevoli. Fu dopo l’attentato che in Italia si cominciò a parlare apertamente del fatto che il governo avesse una specie di accordo segreto con i gruppi terroristici palestinesi attivi al tempo. Questo patto verrà definito in seguito “accordo Moro”, o “lodo Moro”, dal nome del cinque volte presidente del Consiglio Aldo Moro, il dirigente della Democrazia Cristiana sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse nel 1978, al tempo ministro degli Esteri: in base al patto, i terroristi palestinesi avrebbero potuto utilizzare l’Italia come punto franco di passaggio, e in cambio non avrebbero attaccato l’Italia. Non fu mai chiaro, anche perché non furono identificati i diretti responsabili dell’attacco, il motivo dietro alla scelta dell’aeroporto di Fiumicino come obiettivo dei terroristi.
Quello del 1973 non fu l’unico attacco contro l’aeroporto di Fiumicino, né il più famoso, dato che il 27 dicembre del 1985 sempre un gruppo di terroristi palestinesi attaccò il terminal della compagnia aerea israeliana El Al, uccidendo 13 persone e ferendone altre 76. L’attentato di Fiumicino del 1973 è stato per molti anni dimenticato ed è stato commemorato per la prima volta in via istituzionale alla presenza dei famigliari delle vittime solo nel 2023. Oltre ad Antonio Zara, furono uccisi altri cinque cittadini italiani: Raffaele Narciso, Domenico Ippoliti, Giuliano De Angelis, sua moglie Emma Zanghi e la loro figlia Monica di 7 anni.
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