La crescita del turismo dei millennial in Mongolia
Il vastissimo paese dell'Asia centrale punta ad attirare nuovi visitatori, specialmente giovani: si direbbe con un certo successo
Ogni anno la giornalista del New York Times Lauren Jackson, che vive a Londra, si ritrova con suo cugino Cole Paullin, di Philadelphia, per fare un viaggio insieme da qualche parte: quest’anno hanno girato la Mongolia, spostandosi su un fuoristrada con tenda sul tetto per potersi fermare dove capitava e visitare alcuni dei luoghi più noti del paese dell’Asia centrale. Durante il viaggio, che ha raccontato in un articolo pubblicato a settembre, Jackson ha incontrato molti altri turisti, soprattutto millennial, che come lei erano stati attirati dalla natura, dai vasti spazi e dalle varie esperienze che offre la Mongolia: le stesse cose che il governo mongolo sta cercando di promuovere per diversificare la propria economia, apparentemente con un certo successo.
La Mongolia si trova tra la Cina e la Russia e occupa una superficie di oltre 1,5 milioni di chilometri quadrati, più di quattro volte quella della Germania, ma ha solo 3,4 milioni di abitanti. Quasi la metà vive nella capitale Ulan Bator, nel nord del paese, mentre circa un quarto è composta da pastori nomadi, che si spostano due, tre o quattro volte all’anno con le loro famiglie e le loro mandrie. L’economia del paese dipende soprattutto dalle esportazioni legate all’attività di estrazione, ma da qualche tempo il governo ha cominciato a puntare sul turismo anche per risollevarsi dalla crisi globale legata alla pandemia da coronavirus.
Il principale aspetto che sembra attirare le persone in Mongolia è la sua vastissima natura incontaminata, che comprende i monti Altaj nel nord-ovest del paese, le ampie steppe e praterie nella parte centrale e il deserto del Gobi nel sud-est. Attraversandola si trovano aree protette e parchi naturali in cui vivono il leopardo delle nevi e il cavallo di Przewalski, una rara specie di cavallo selvatico, ma si può anche conoscere la vita dei pastori nomadi e dormire in una delle loro iurte, le tradizionali tende a pianta circolare sostenute da intelaiature di legno e rivestite con pelli animali o altri materiali.
Oltre al raduno annuale di cacciatori con le loro aquile, ci sono diversi eventi che ogni anno attirano visitatori avventurosi dall’estero: sono il Mongol Rally, una gara in cui si attraversano l’Europa orientale e l’Asia a bordo di pick-up o macchine scassate, e il Mongol Derby, la corsa di cavalli più lunga del mondo, una gara di resistenza composta da 25 tappe da 40 chilometri l’una, per un totale di mille, lungo il percorso ideato da mongolo Gengis Khan nel 1224 per facilitare le comunicazioni nel suo impero.
Olivia Hankel, una 25enne dell’Oregon che Jackson ha incontrato all’aeroporto di Ulan Bator a fine luglio, era andata in Mongolia per allenarsi proprio per il Mongol Derby. Willie Freimuth, che ha 28 anni, viene dal North Carolina e studia paleontologia, era lì per studiare i fossili. Era invece alla sua ottava volta nel paese Sangjay Choegyal, un 36enne di Bali in viaggio con amici per visitare la valle dell’Orhkon, tra le zone più suggestive e interessanti del paese dal punto di vista paesaggistico, archeologico e culturale.
A Karakorum, antica capitale dell’impero mongolo, Jackson ha poi incontrato un gruppo di ex compagne di università di vari paesi europei che non volevano un viaggio organizzato, ma un’esperienza in cui potessero fermarsi dove capitava, un po’ come lei e suo cugino.
Negli ultimi dieci anni i millennial come lei, cioè le persone nate tra i primi anni Ottanta e metà anni Novanta, hanno cominciato a scegliere sempre più di frequente posti lontani dai centri del turismo di massa per le loro vacanze, osserva Jackson. Forse è una reazione a «un mondo che è sempre più condensato all’interno dei nostri smartphone, dove nei feed di Instagram e sui blog di viaggio continuano a comparire sempre le stesse destinazioni», prosegue, e in cui «quello che si guadagna in accessibilità si perde in serendipità». A detta di Jackson, il governo mongolo sta cercando di sfruttare al meglio questa tendenza e di rivolgersi a questo target, anche perché un sondaggio del 2019 citato dal ministero del Turismo locale indica che metà dei turisti che avevano visitato il paese quell’anno aveva meno di 40 anni.
Le persone che visitano la Mongolia arrivano perlopiù da Russia, Cina, Corea del Sud e dal vicino Kazakistan, ma tra il 2021 e il 2022 quelle provenienti da Europa e Stati Uniti sono aumentate del 500 per cento, scrive sempre Jackson. Così il governo del primo ministro Luvsannamsrain Oyun-Erdene ha avviato una campagna di marketing online orientata alle persone tra i 23 e i 40 anni e dal gennaio di quest’anno ha esentato dall’obbligo del visto turistico i cittadini di 34 nuovi paesi, compresi Stati Uniti e Italia, per attirare ancora più turisti (i paesi per cui non c’è l’obbligo di visto turistico per viaggiare in Mongolia ora sono 61). Secondo i dati del ministero del Turismo alla fine di ottobre il numero di turisti stranieri arrivati in Mongolia dall’inizio di quest’anno aveva superato i 600mila: un record, più di tutti quelli arrivati nell’intero 2019, circa 577.300.
L’obiettivo di Oyun-Erdene, che ha dichiarato il periodo compreso tra il 2023 e il 2025 «gli anni per visitare la Mongolia», è superare il milione di turisti all’anno.
La crescita del turismo in Mongolia sembra essere confermata anche da alcuni addetti del settore. L’agenzia di viaggi Follow The Tracks aveva fatto il tutto esaurito in tutti e tre i viaggi organizzati in Mongolia nell’estate del 2023, così ha programmato altri viaggi, ha detto il suo co-fondatore, Max Muench. Sia il noleggio auto a cui si era rivolta Jackson all’aeroporto di Ulan Bator che altri in città avevano quasi finito i mezzi a disposizione. Specialmente dopo la pandemia «le persone vogliono di nuovo sperimentare un senso di libertà», dice Muench, e quindi «la cercano nel vasto vuoto della Mongolia».
Tom Morgan, fondatore di The Adventurists, società inglese che organizza viaggi estremi e un po’ strampalati, sostiene che in Mongolia si possano fare esperienze «molto più interessanti, trasformative e coinvolgenti che al Taj Mahal», citando il più famoso monumento indiano.
Jackson, che ha viaggiato per 45 ore nel giro di una settimana, ha raccontato che nonostante il territorio mongolo sia enorme e la popolazione molto sparsa i collegamenti tra la capitale e le destinazioni più popolari sono accessibili. Ha potuto usare quasi sempre internet con una SIM mongola e ha dormito in una delle iurte di una famiglia di pastori, che spesso sono dotate di pannelli solari per poter avere l’elettricità. Quando lei e il cugino si stavano per impantanare in un torrente – un’esperienza che descrive come standard per chi viaggia in Mongolia – sono stati soccorsi da persone con cui avevano comunicato scambiandosi messaggi su Google Translate, che permette di tradurre rapidamente le frasi da una lingua a un’altra.
Migliorare le strade e le infrastrutture del paese e creare più alloggi per i turisti è uno degli obiettivi del governo mongolo per lo sviluppo del settore. Il sito di notizie Mongolia Weekly cita inoltre alcune potenziali nicchie a cui potrebbero essere rivolte ulteriori attenzioni, come il turismo di lusso, quello basato sui ritiri spirituali o il cosiddetto turismo sostenibile, orientato cioè a tutelare l’integrità dei posti visitati, ad avere il minore impatto ambientale possibile e a creare benefici per le popolazioni locali.
Un’altra iniziativa del governo per incentivare il turismo riguarda il gioco d’azzardo. Il parlamento sta discutendo di legalizzare i casinò, imitando un po’ il modello di Macao, la regione amministrativa speciale cinese che negli ultimi vent’anni è diventata il più importante centro del gioco d’azzardo al mondo. L’idea sarebbe quella di costruire un casinò vicino all’aeroporto di Ulan Bator, in modo da stimolare gli investimenti e attirare un pubblico più ampio, ma al momento gli abitanti sembrano piuttosto scettici e i politici ci stanno andando cauti anche per alcuni casi di corruzione avvenuti in passato, scrive sempre Mongolia Weekly.
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